La camera degli ultimi

La camera degli ultimi

di Daniela Preziosi -

Alle 12 e 54, quando nell’aula di Montecitorio il presidente Leone pronuncia il trecentodecimo «Boldrini» parte l’applauso del centrosinistra, schierato al completo in aula. Liberatorio, contagioso: dalla ‘montagna’ – le ultime due file in alto dell’emiciclo – anche i grillini applaudono. Sinistra in piedi per l’ultimo miglio dello scrutinio fino al 327esimo voto. Lei, Laura Boldrini non è tra i banchi. Ascolta l’inizio dello spoglio vicino a Nichi Vendola. Dario Franceschini, fino a ieri era sicuro dell’elezione, la cerca per gli auguri, le tiene le braccia come per sostenerla: per questa elezione il passo indietro dell’ex segretario Pd è stato determinante. Poi la futura presidente esce dall’aula e si rifugia nell’ufficio a scrivere il discorso che pronuncerà di lì a poco, innanzitutto a ricomporsi dall’emozione, lei che pure da 24 anni lavora all’Onu ed è abituata alle storie forti degli «ultimi della terra».
Quando viene proclamato il risultato, scende dalla ‘montagna’ Roberto Fico. Alla votazione di ieri, la quarta, è arrivato secondo, con i suoi 108 voti, ed ora viene a stringerle la mano. Non la trova, trova invece Bersani. Fico cerca di mantenere le distanze ma i suoi gli battono le mani e anche dai banchi di Sel parte l’applauso, contagia il Pd, e quanto poco ci vorrebbe a mettersi insieme per cambiare l’Italia ora che anche il centrosinistra si è svegliato dal lungo sonno e fa un gesto così, mica solo simbolico, di cambiamento?
Quando Boldrini torna in aula è diventata la terza donna della repubblica a sedere sul più alto scranno di Montecitorio, dopo Iotti e Pivetti. Ma è la prima: a dire da lì che farà in modo «che questa istituzione sia anche il luogo di cittadinanza di chi ne ha più bisogno», a chiedere una legge per «l’umiliazione delle donne che subiscono violenza travestita di amore», a parlare di carcerati, pensionati, esodati, precari, di diritti. A mandare un saluto a don Ciotti che a Firenze celebra tutti i morti delle mafie, a ricordare i «morti senza nome» del Mediterraneo. Per venti volte venti è interrotta dagli applausi, i grillini non possono esimersi, Roberta Lombardi, capogruppo a cinque stelle inciampata in un complimento al fascismo della prima ora applaude in piedi la repubblica antifascista. La voce tradisce l’emozione, ma il discorso è sobrio e pieno di cose. È stato scritto di getto in un ufficio in cui si danno il cambio al suo fianco Vendola, Migliore e Claudio Fava: dell’incarico lei ha saputo alle 8 di mattina. Il centrodestra resta freddo e intontito dalla sorpresa. Ma è all’angolo: discorso «in gran parte condivisibile, ma sembra quello di un premier, esprime indirizzi politici che non competono a chi ricopre un ruolo istituzionale e di garanzia», non sa a che attaccarsi Giorgia Meloni. Boldrini è un colpaccio, non se l’aspetta nessuno a sinistra, figuriamoci a destra.
In aula Bersani scende fra i banchi di Sel per ascoltarla seduto vicino a Vendola. Settore sinistro, seconda fila dal basso. La stessa dove il giorno prima, mentre si sgrana il rosario della prima chiama e il centrosinistra vota scheda bianca, Migliore e il giovane turco Matteo Orfini si sono parlati. Vendola ha appena annunciato una conferenza stampa per chiedere a Bersani di votare il grillino Fico. Ma il leader Pd tratta con Monti su un nome centrista alla camera e Finocchiaro al senato: la presidente ha raccolto l’imteressante favore della Lega. Il premier in carica è irremovibile, non digerisce lo stop del Colle. E la scelta del Pd è tornata su Franceschini. Sel non ha pregiudiziali, ma insiste per un segnale che parli ai grillini ma soprattutto al paese. I giovani turchi invece hanno annunciato pubblicamente che sono contrari sia a Franceschini che a Finocchiaro: «Serve un rinnovamento». Orfini su La7 annuncia che alla riunione del mattino dopo voteranno no a Franceschini: poi, nel caso, in aula rispetteranno la decisione del grupp. Scavalcati sul loro terreno, anche i renziani, si accodano, ed è un altro passo di avvicinamento alla sinistra interna. Circola il nome della giovane Marianna Madia, ma nessuno ci scommette. Molto più forte quello di Boldrini. È un indipendente nelle liste di Sel, se ne parla anche come futura ministra, anche perché all’inizio doveva essere candidata nel Pd: Bersani l’ha voluta sul palco con lui nel novembre 2011 a Roma, per la manifestazione «Ricostruzione» a Piazza San Giovanni. Il segretario si convince che è la mossa giusta. Franceschini incassa e accetta di fare un passo indietro. Nell’incontro della sera, siamo ancora a venerdì, Casini e Cesa fanno capire che al senato non seguiranno la linea suicida di Monti. La mattina di ieri, siamo a sabato, alle 7 e mezza, riunione dei parlametari di Sel, Vendola non c’è e ancora non si sa cos’ha deciso di fare Bersani. Quando i deputati confluiscono ai gruppi del Pd, Bersani annuncia la mossa a sorpresa: «Quando si deve decidere sappiamo decidere». Applaudono tutti, e ancora di più quando Franceschini prende la parola per dire che in effetti ci teneva, ma si fa indietro.
Finisce con 327 sì, qualcosa in meno del totale di Pd-Sel: qualche malumore di chi vedeva in Franceschini, contrario a tornare al voto, un alleato prezioso per un governo del presidente. I deputati di Sel non ci possono credere: «Un segno importante, ai grillini bisogna dar tempo, il cambiamento è una strada da perseguire con tenacia», dice l’ex Fiom Giorgio Airaudo. Fra i deputati Pd che ieri sciamavano dall’aula non ce n’è ancora uno che scommetterebbe sul segretario. «Bella scelta, sì? Ma così si va dritti al voto».
il manifesto 17 marzo 2013

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