
Migranti, Ferrero (Prc): “Sto col Papa che fa ponte, perché coi muri si fanno le guerre”
Pubblicato il 18 giu 2015
“Sto col Papa sul ponte. Il muro come difesa delle identità dei popoli è un’idea falsa inventata dalla destra: basta leggere Gesù…”. “La situazione di oggi è stata creata dalla Lega che ha firmato il trattato di Dublino”. “La Francia sbaglia, ma Hollande, Merkel e Renzi sono più o meno la stessa cosa”. Così Paolo Ferrero, segretario di Rc, declina la differenza tra ponte e muro nella conversazione con Intelligonews.
Il Papa lancia un ponte, l’Ungheria costruisce un muro: qual è il modello giusto? Lei da che parte sta?
«Ha ragione il Papa che pone un problema di umanità. Facciamo parte tutti della stessa umanità e non si può trattare bene il proprio cane e pensare che i migranti possano morire in mezzo al Mediterraneo. Il mio dissenso col Papa è che io voglio per tutti i diritti che lui pensa abbiano i maschi eterosessuali. Invece, io penso che gli stessi diritti ce li hanno le donne e tutti, indipendentemente da qualsiasi orientamento sessuale. Ma sul concetto di umanità Francesco ha ragione».
Intanto l’Ungheria tira su il muro ai propri confini. Confini che limitano o confini che delimitano?
«Beh, lì c’è un governo fascista e non ci rendiamo conto che ciò che esiste in Ungheria sta risorgendo in Europa e spinge sui nazionalismi in modo assurdo».
La Francia non è fascista e non lo è Hollande, eppure trasforma le frontiere in muri per i migranti. Da uomo di sinistra come la vede?
«Io distinguerei così: da un alto ci sono i nazionalisti fascistoidi; dall’altro ci sono i neo-liberisti puri. Da questo punto di vista Merkel, Hollande, Renzi sono più o meno la stessa cosa: sono varianti di uno stesso discorso. Io penso che la sinistra sia un’altra cosa. Qual è il punto?».
Dica lei.
«E’ che loro agiscono sull’ultimo pezzo della questione e quindi si discute se accogliere o non accogliere. Io penso, invece, che quando si arriva all’ultimo pezzo, bisogna accogliere chi scappa dalla guerra ma il problema va posto a monte ed è che tipo di relazione deve avere l’Europa con l’Africa e coi Paesi del Mediterraneo e in questo senso sollevo tre punti…».
Quali?
«Primo: l’Europa, deve vendere armi ai Paesi africani? Io penso di no, mentre Hollande, Cameron e Merkel pensano di sì. Secondo: bisogna fare la guerra andando a destabilizzare quei Paesi come accaduto in Libia? Io penso di no, mentre Francia e Inghilterra pensano di sì. Terzo: bisogna permettere a queste persone di vivere nei loro Paesi? Io penso di sì ma, ad esempio, c’è un tema enorme che riguarda gli investimenti esteri e in larga parte europei che in Africa stanno ricostruendo il latifondo in una logica coloniale ed espellendo milioni di contadini dai loro terreni per poi produrre prodotti a bassissimo costo in Europa, distruggendo sia l’agricoltura europea che quella africana. Tutto questo per dire che quando ci si pone il problema all’ultimo pezzo io dico che bisogna accogliere, ma rivendico che il nodo vero sta a monte e pone la questione della libertà del capitale di fare tutto quello che vuole».
Sì’ ma tornando alla Francia, a Calais ci sono sbarre e barriere e c’è chi come Rocard sosteneva che non ci si può accollare la povertà del mondo. Cosa risponde?
«E’ una posizione sbagliata perché per l’appunto le povertà e le differenze che ci sono nel mondo sono inaccettabili e non è vero che non si può far nulla. Ad esempio, si potrebbe evitare di sfruttare nei modi bestiali le risorse naturali in questi Paesi. L’Fmi, quello per cui si sta litigando sulla Grecia e che vede come Paesi che decidono Usa, Francia e Germania, ha demolito il mercato interno delle economie dell’Africa trasformando i Paesi in produttori di merce finalizzati alle esportazioni, ma questo crea milioni di disoccupati e la gente tra morire e provare a scappare, sceglie di provare a scappare; cosa che farei anche io. A Salvini vorrei dire…».
Cosa?
«Gli accordi di Dublino in base ai quali si resta nel Paese in cui si arriva, li ha firmati la Lega e Maroni: quindi chi oggi abbaia in giro, lo fa avendo creato tutte le condizioni per cui siamo nella situazione di oggi. La Francia non fa altro che usare gli accordi firmati da Maroni: c’è un problemino mica da ridere con la Lega che dice una cosa e ne fa un’altra».
Ma il concetto di muro contiene al proprio interno la tutela delle identità dei popoli, la loro cultura e l’integrità dei confini. Cosa c’è di sbagliato in questa idea?
«Due notazioni. La prima: questa idea contro i migranti parte da un presupposto che viene sbandierato: c’è la crisi e non ci sono i soldi; ogni soldo dato a un migrante è un soldo sottratto a mio figlio, questo è lo schema. Ma è totalmente falso: la crisi che viviamo non è per scarsità di risorse ma per cattiva distribuzione della ricchezza: ricchi troppo ricchi e larga parte del popolo troppo povera. Si esce dalla crisi non tirando la cinghia o buttando a mare qualcuno, ma redistribuendo i soldi. Grillo, Salvini e Renzi condividono lo stesso paradigma. Secondo: sul piano identitario è una fesseria classica di una tradizione inventata. Durante la seconda guerra mondiale i confini dei Paesi sono stati spostati in modo pazzesco: la Polonia li ha spostati di duecento chilometri e prima la Germania si estendeva fino sul Baltico. Questa cosa dell’identità come se si trattasse di popoli intonsi che stanno lì dal Medioevo o dall’età di Cristo è una fesseria. Nel Medioevo c’erano i musulmani in Spagna o ancor prima in Sicilia: le culture sono dialoghi, cose che si connettono; Cristo è stato mediato dall’apostolo Paolo che non era nato mica in Svizzera… Io penso che bisogna fare un lavoro per il quale alle persone che arrivano da noi, tu devi insegnare l’italiano e chiedere il rispetto delle leggi; il resto è un meccanismo che avviene per modifiche. La Torino di oggi non è quella di 60 anni fa perché trasformata dalla migrazione meridionale e le cose che 60 anni fa sembravano una mina sociale oggi non hanno alcun senso anche tra quelli che 60 anni fa hanno litigato su questo. La capacità del mondo è dialogo e riconoscimento, non tirare su muri perché coi muri si fanno le guerre».
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