Le ragioni della protesta di Palmoli e la demagogia del sindaco di Chieti

Le ragioni della protesta di Palmoli e la demagogia del sindaco di Chieti

di Stefano Galieni e Maurizio Acerbo

L’altro giorno a Palmoli, comune della provincia di Chieti nel vastese al confine con il Molise, una quarantina di profughi, accolti in un centro del paese, si sono mobilitati per protestare contro la lentezza con cui le proprie domande di asilo politico vengono esaminate. Aspettano mesi per avere una risposta che consenta loro di progettarsi un futuro più sereno, possibilmente in un luogo in cui ricostruirsi una vita. Ieri invece il sindaco uscente di Chieti, Umberto di Primio (Ncd), ha partecipato ad una iniziativa indetta da Casa Pound per impedire, l’arrivo, peraltro neanche confermato, di circa 20 profughi nel capoluogo abruzzese.

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Quanto accaduto a Palmoli, ma accade in ogni parte d’Italia da nord a sud, ha ragioni specifiche. Lo scorso anno, a fronte dell’aumento degli arrivi, il governo aveva predisposto un ampliamento delle commissioni territoriali per il diritto d’asilo e uno snellimento delle procedure, con la possibilità che ad ascoltare il richiedente asilo potesse essere anche un solo membro della commissione, solitamente composta da 4 persone. Molte di queste commissioni non si sono ancora insediate o, se l’hanno fatto,  si sono ritrovate con un immenso lavoro arretrato da smaltire. Ma l’assurdo è che spesso basta poco,  un interprete inadeguato, una inesattezza nel racconto delle ragioni per cui si è fuggiti, la scarsa preparazione di chi è adibito ad esprimere un parere, volontà restrittive, che la domanda venga respinta. Allora si deve ricorrere in appello. Di solito si vince ma si ottiene la protezione internazionale o sussidiaria, in pratica un provvedimento temporaneo  che non permette neanche di lasciare l’Italia e che vincola alla provincia in cui si è fatta richiesta d’asilo. Questi tempi, che in altri stati come la Svezia durano poche settimane in Italia si traducono in attese che arrivano ai 18 mesi. 18 mesi in cui si vive nel nulla, senza prospettive, ammassati, malnutriti, spesso senza neanche poter iniziare  percorsi di inserimento (dalla lingua italiana alla formazione lavoro) si sentono pesi morti che portano soltanto soldi alle cooperative che gestiscono i centri, a volte in maniera seria altre, ricordate a Roma Mafia Capitale, divenendo centri di speculazione. Non è un emergenza e spetta al governo definire con certezza tempi e modalità di risposte alle richieste di asilo, si tratta di un obbligo internazionale a cui non ci si può sottrarre e in cui gli errori e le negligenze non possono ricadere su chi è fuggito dalla guerra e sui comuni che debbono garantire accoglienza. Anche quanto accade a Chieti ha delle ragioni molto meno nobili: alleati del Pd nazionale si schierano insieme alla destra razzista per raccogliere consensi e creare inutile allarme sociale. Certo che se a gestire il ministero degli Interni e’ il leader del partito del sindaco di Chieti c’è poco da aspettarsi di positivo.

Per i migranti che hanno protestato è stata disposta l’espulsione, chi semina xenofobia continua a raccattare voti nelle nostre città.


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