Per Bianca

Per Bianca

di Stefano Galieni

Alcuni mesi, fa, ascoltando uno dei tanti aneddoti con cui raccontava, mescolando orgoglio e ironia, la propria vita, la interruppi dicendole che per l’ennesima volta mi stava regalando un tassello prezioso di Storia che avrebbe meritato di essere scritta, raccolta, raccontata a chi non l’aveva vissuta. Con quel muovere lo sguardo che le era proprio, dopo un altro tiro dell’ennesima sigaretta mi rispose con distacco: «Ma a chi vuoi che interessino queste cose? Casomai la biografia mi aiuti a scriverla quando divento vecchia!». Bianca Bracci Torsi era anche questo, ironia, gioia di vivere, lucidità e poco bisogno di vedersi riconoscere cariche e onori. Eppure Bianca, con cui per anni ho avuto il privilegio di condividere la stanza di lavoro e quindi intere giornate, nei ruoli che ha ricoperto durante la sua vita intensa e splendida, è sempre stata nei luoghi e nelle realtà in cui di lei c’era bisogno, unendo spirito di servizio e forza di volontà. La sua vita politica inizia durante la Resistenza, quando, lo raccontava con passione, pretendeva di avere un fucile e di contribuire in maniera ancora più energica alla lotta partigiana. Comunista in antitesi a chi la voleva obbediente, donna ribelle e perennemente in guerra, entra nel Pci dove ricopre spesso incarichi di estrema delicatezza. Delle sue tracce sono piene gli archivi della storia del partito. Nel 1989 era nel Collegio Nazionale di Garanzia del Partito e si oppose, con un intervento appassionato e durissimo alla svolta di Occhetto della “Bolognina”, divenendo una delle promotrici della mozione di Natta e Ingrao. Il 3 febbraio 1991era fra i 7 che si recarono dal notaio, dopo il congresso che decretava lo scioglimento del Pci, per fondare il Movimento per la Rifondazione Comunista. Da allora non ci ha mai abbandonato, con i suoi modi solo apparentemente rudi e spicci, con la sua intransigenza, etica oltre che politica, con la capacità rara di riuscire a parlare alle nuove generazioni dell’antifascismo e della Resistenza senza cadere in retorica o in autocelebrazione. Giornalista un tempo a Paese Sera e poi collaboratrice di Liberazione, era diventata funzionaria di partito per una ragione semplice, fare la “rivoluzionaria di professione”. Aveva la virtù di sapere scrivere con la semplicità di chi ha le idee chiare e nette, con lo stesso linguaggio che la vedeva intervenire alle riunioni del Comitato Politico Nazionale o in Direzione. Non aveva mai aspirato ad entrare in parlamento o in altre sedi istituzionali, preferiva lavorare, teneva soprattutto al suo incarico di Responsabile Nazionale Memoria e Antifascismo. Con quell’incarico e con il ruolo dirigenziale che ha rivestito in ambiti diversi nell’Anpi, ha attraversato quasi ogni sede del Partito; era impossibile fermarla, le sue infinite sigarette, la curiosità con cui guardava i compagni e le compagne, l’attenzione all’ascolto e la prontezza ad una replica a volte ruvida e poco incline al compromesso. Per Bianca, stare fra i compagni, parlare e cantare, bere e fumare, discutere e infervorarsi erano linfa vitale, erano gli elementi per cui vivere. A chi la chiamava nei centri sociali a parlare di antifascismo, spesso a tarda notte rispondeva: «Certo che vengo! Mica vado a letto con le galline». Ci ha insegnato a non avere remore, a non accettare il quieto vivere, era ribelle per natura e per carattere, sempre costruttiva ma indisponibile al silenzio, all’obbedienza. Credeva da sempre nel partito come comunità di uomini e donne eguali che volevano fare la rivoluzione, e nel suo essere, nel comportamento quotidiano, dall’amore sfrenato per gli animali, ai suoi tocchi di vanità, esprimeva la possibilità reale di cambiare lo stato di cose esistenti. Litigarci era facile ma ridere con lei, godersi piccole gioie, un bicchiere di grappa, una lettura comune, significava entrare nella sua intimità, ritrovarsi consapevoli di avere il privilegio di conoscerla. In questo momento in cui ci si appresta a darle l’ultimo saluto viene da pensare a cosa vorrebbe sentirsi dire. Non accetterebbe né pianti né tristezza, ci spronerebbe a lottare ancora di più, anche per lei, anche per i suoi sogni di bambina, di partigiana, di donna e di grande comunista. Ci chiederebbe di avere sempre più cura del Partito, del suo partito, quello per cui ha vissuto senza mai sentirsene proprietaria, senza sentirsi depositaria di chi sa quale carica o verità. E il miglior modo che abbiamo per affrontare anche un momento così triste, per accettare il fatto che ci mancherà tutto di lei è quello di accettare ognuno e ognuna di noi l’eredità di sapere che ci lascia, la responsabilità e l’impegno che ci ha sempre chiesto, a volte intimato, di avere. A molte e molti di noi è capitato di andare, a chi scrive molto spesso, da Bianca per chiedere consigli, pareri, giudizi. Si usciva da un colloquio con lei migliori, più consapevoli e spesso più determinati, si usciva dovendo riflettere perché in una frase coglieva il punto. Ad un appuntamento importante le capitò di sentire compagni scoraggiati per le difficoltà, compagni che parlavano di depressione. Rispose con un certo impeto che la depressione si cura dallo psichiatra, i comunisti non se la possono permettere, debbono lottare. Ti obbediamo ancora Bianca.

 

 


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