M5S, il declino della non politica

M5S, il declino della non politica

di Alessandro Dal Lago – da il manifesto

Ogni tanto, l’infinita crisi del M5S, inin­fluente in par­la­mento e poco visi­bile nella società, è rav­vi­vata dalle espul­sioni di qual­che deputato.

Se non ci fos­sero le risi­bili con­sul­ta­zioni online sulla sorte dei reprobi, che osano cri­ti­care i lea­der, nes­suno par­le­rebbe più di Grillo e tanto meno di Casaleggio.

Ecco, forse, la vera ragione della stan­chezza di Grillo: la noia di chi ha dato vita a un movi­mento e ora non sa più dove sbat­tere la testa.

È molto dif­fi­cile che il M5S si possa ripren­dere dalla crisi, anche se i son­daggi gli attri­bui­scono un certo radi­ca­mento sociale.

Dopo strea­ming insul­tanti o inu­tili, risul­tati elet­to­rali delu­denti (soprat­tutto nelle realtà locali), pole­mi­che inces­santi tra par­la­men­tari e staff, licen­zia­menti di comu­ni­ca­tori e altre ame­nità, il M5S si trova di fronte al solito bivio: o met­tersi a far poli­tica e quindi delu­dere il suo elet­to­rato anti-sistema o con­ti­nuare con la finta oppo­si­zione, le sce­neg­giate con il bava­glio e tutto il reper­to­rio fol­clo­ri­stico che por­terà a un lento ma ine­vi­ta­bile declino. Insomma, o l’assimilazione o l’irrilevanza.

Il fatto è che il M5S si fonda su alcuni equi­voci che, a meno di due anni dai trionfi elet­to­rali del 2013, sono venuti cla­mo­ro­sa­mente alla luce. Il primo è senz’altro una lea­der­ship a dir poco impre­sen­ta­bile: un impren­di­tore New Age, non si sa se più affa­ri­sta o lunare, e un comico che non fa più ridere, domi­nato dai suoi mute­voli umori dema­go­gici. Il secondo equi­voco è l’assenza di qual­siasi cul­tura poli­tica. Chi non vuol essere né di destra, né di sini­stra, e sce­glie il giu­sti­zia­li­smo più ovvio, alla fine si con­danna a non essere e basta. Il terzo è l’assenza di tra­spa­renza orga­niz­za­tiva del movi­mento, sosti­tuita dalla mito­lo­gia della rete come esclu­siva arena democratica.

La verità banale è che la rete, per defi­ni­zione, è influen­za­bile e mani­po­la­bile. Chi decide di indire i refe­ren­dum sulle leggi e le con­sul­ta­zioni sulle espul­sioni? Ovvia­mente, i due lea­der (con i loro staff più o meno segreti). Più che cit­ta­dini indi­pen­denti, gli iscritti che votano sul blog di Grillo sem­brano ostaggi di un mar­ke­ting auto­ri­ta­rio e impolitico.

Detto que­sto, il declino del M5S mette un po’ di malin­co­nia e suscita qual­che inter­ro­ga­tivo. Che Casa­leg­gio, Grillo (con loro yes men par­la­men­tari) fini­scano nell’oblio o cer­chino di tor­nare alle loro occu­pa­zioni più o meno lucra­tive non inte­ressa a nes­suno. Ma resta il fatto che milioni di per­sone in buona fede hanno cre­duto in loro e reste­ranno ine­vi­ta­bil­mente a dispo­si­zione della dema­go­gia che avanza, soprat­tutto a destra.

Il modello di Renzi ane­ste­tizza buona parte della società, ma radi­ca­lizza tutti coloro che non vogliono iden­ti­fi­carsi con il blai­ri­smo chiac­chie­rone e pseudo-decisionista del pre­si­dente del con­si­glio. Ed ecco spa­lan­carsi pra­te­rie per la Lega, per l’estrema destra, per i movi­menti urbani xeno­fobi, che magari durano lo spa­zio di pochi giorni, come i for­coni di qual­che anno fa, ma sono infi­ni­ta­mente ripro­du­ci­bili in altre forme, sin­tomi di uno sfa­scio sociale senza fine.

Il para­dosso è che a rac­co­gliere tutto que­sto disa­gio, que­sta voglia di farla finita con le solite facce, que­sta pro­te­sta – in breve, un con­fuso ma potente appello al cam­bia­mento che da anni sale dalla società – non è la sini­stra, che sem­bra essersi rifu­giata nell’astensionismo, nella ripe­ti­zione di vec­chi slo­gan o nella ripro­po­si­zione di vec­chie alleanze, già fal­lite e con­se­gnate alla sto­ria minore.

E allora, per com­pren­dere per­ché un feno­meno come il gril­li­smo è potuto esplo­dere e implo­dere nel giro di pochi mesi, biso­gne­rebbe riflet­tere, a sini­stra, sulle idee di lea­der­ship, di movi­mento, di com­po­si­zione sociale, di lavoro, di Europa. È que­sto il lavoro che ci attende, e non il ritorno in scena di un’accozzaglia di lea­der bol­liti da anni o di gio­vani leoni irre­pa­ra­bil­mente invecchiati.

ALESSANDRO DAL LAGO

da il manifesto


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