Il ruggito di Bersani: «Sbraniamo chi ci accusa»

Il ruggito di Bersani: «Sbraniamo chi ci accusa»

di Riccardo Chiari -
Cerca di reagire Pierluigi Bersani. Di fronte agli attacchi sulle presunte responsabilità del Pd per il buco nero del Monte dei Paschi di Siena, il segretario democrat replica senza troppi giri di parole. Dalla tappa di Genova del suo tour elettorale, le bordate più incisive e tutto sommato più facili sono riservate a Pdl e Lega: «La destra e i suoi giornali, quasi in subliminale, lasciano intendere che ci sarebbe qualcosa di men che corretto da parte nostra. Lo affermino e – scandisce Bersani – li sbraniamo. Non si azzardi ad aprire bocca gente che ha avuto a che fare con ‘robine’ del tipo Crediteuronord, gente che ha avuto a che fare con ‘robine’ come Credito cooperativo fiorentino».
Più complicato rispondere a Monti («Il Pd c’entra in questa vicenda perché ha sempre avuto molta influenza sulla banca e la vita politica di Siena»). Bersani ricorda il caso di Alfredo Monaci, in lista con il professore bocconiano dopo essere stato uno dei congiurati che ha fatto cadere il sindaco Ceccuzzi, tra i fautori del nuovo corso del Monte. Ma quando il discorso cade sulla disastrata realtà dell’istituto di credito senese, l’unica proposta è quella di dare pieni poteri al tandem Profumo-Viola: «Visto che sulla banca c’è un problema serio, tanto per chiarirci su come finirla con i condizionamenti locali, noi siamo favorevoli a dare poteri commissariali all’attuale gruppo dirigente, ad Alessandro Profumo e a Fabrizio Viola».
In altre parole il ministro dell’economia, su proposta della Banca d’Italia, dovrebbe decretare lo scioglimento degli organi di amministrazione e di controllo del Monte, per poi riaffidare la guida come commissari agli stessi amministratori uscenti Profumo e Viola. Un meccanismo quantomeno bizantino per uscire dalle secche.
Ancora più complicato affrontare il tema dei derivati. Bersani li definisce «micidiali strumenti finanziari, che hanno infettato banche e sistema delle autonomie locali». Poi però si limita ad accusare la destra berlusconiana di aver impedito, quando era al governo, le limitazioni e le regolamentazioni chieste dal Pd. Come se quest’ultime avessero potuto davvero contribuire a cambiare le attuali regole del sistema finanziario globale.
Intanto le critiche sulla vicenda Montepaschi arrivano anche da sinistra. Per gli ingroiani di Rivoluzione civile parla Antonio Di Pietro: «Da quando è scoppiato il caso, partiti e finanza si affannano a scaricare le colpe. Sembra di essere tornati indietro di vent’anni: come con Mani pulite, la verità non è come vorrebbero farla apparire ma è completamente diversa, e chiama in causa direttamente il potere politico e finanziario».
L’ex pm attacca anche l’ipotesi di commissariamento all’attuale presidente della banca: «Come se non bastasse tutto questo marciume, il segretario del Partito democratico propone di affidare il commissariamento del Monte dei Paschi di Siena ad Alessandro Profumo. Quello stesso Profumo, indagato per frode fiscale ai danni dello Stato, di cui avevamo chiesto la revoca da presidente della banca Mps con un’interrogazione parlamentare». A Di Pietro risponde a stretto giro di posta il socialista Riccardo Nencini: «La demagogia è il peggiore dei mali e può provocare danni formidabili. Quando Grillo parla di un buco stratosferico del Monte dei Paschi e Di Pietro ne mette in dubbio la solvibilità, sostengono il falso e provocano un accidente per i risparmiatori e per i lavoratori della banca. Altra cosa è chiedere trasparenza, controlli più efficaci e assunzione di responsabilità da chi ha governato la terza banca d’Italia». Anche se il Monte l’hanno governato in tanti, vista la tradizione consociativa di Siena.
Intanto, nel silenzio della procura, si ipotizzazzano diverse indagini. Oltre a quella sulla presunta maxi-tangente transitata sull’acquisizione di Antonveneta da parte di Mps, i magistrati indagherebbero anche per appropriazione indebita e falso in bilancio e ci sarebbero persone iscritte nel registro degli indagati.

il manifesto 27 gennaio 2013


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