Pena ridotta ai vertici Thyssen

Pena ridotta ai vertici Thyssen

di Mauro Ravarino -
Le urla dei familiari dei morti alla Thyssenkrupp sono un brivido gelido che paralizza. «Maledetti», «Che schifo», «Vergogna, non c’è giustizia». Indossano le maglie con le foto dei loro loro cari. Sono le madri, i padri e le sorelle di Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Bruno Santino, Antonio Schiavone, Roberto Scola. Le sette vittime del rogo all’acciaieria, in quella notte maledetta del 6 dicembre 2007. Le grida si levano nell’aula del Tribunale di Torino subito dopo la lettura della sentenza d’appello, che ha ridotto le pene a tutti gli imputati. La corte d’Assise d’appello, presieduta da Giangiacomo Sandrelli, ha escluso il dolo per il principale imputato, l’amministratore delegato Harald Espenhahn. Non fu, dunque, omicidio volontario con dolo eventuale (come, in modo innovativo, proposto dal pm Raffaele Guariniello e confermato in primo grado), ma omicidio colposo con l’aggravante della colpa cosciente. La pena è stata così rideterminata da 16 anni e mezzo a dieci anni.
«Speravamo nel dolo, ma resta una sentenza storica, mai in Italia sono state date pene così alte per un incidente sul lavoro. È vero, l’aspetto storico legato al dolo è venuto meno, ma noi comunque porteremo avanti questa tesi anche nel prossimo grado di giudizio» ha commentato il procuratore Guariniello, mentre esplodeva la protesta dei parenti, che hanno occupato l’aula in segno di protesta. Ridotte le pene anche per gli altri imputati: sette anni per i manager Gerald Priegnitz e Marco Pucci, nove per il dirigente Daniele Moroni, otto e mezzo per il direttore dello stabilimento torinese Raffaele Salerno e otto per il responsabile sicurezza Cosimo Cafueri, l’unico per cui l’accusa aveva chiesto uno sconto.
Nella maxi aula del Palagiustizia è presto salita la tensione, rinnovando un dolore indelebile. Laura Rodinò, sorella di Rosario, ha urlato: «Perché gli hanno tolto il dolo? Dieci anni non se li faranno mai. Voglio sapere perché facevano fare i vigili del fuoco a sette ragazzi senza che avessero fatto un corso antincendio. Sono morti – ha sottolineato – non mentre lavoravano ma per spegnere il fuoco». I parenti hanno occupato i banchi per almeno tre ore. Lacrime, disperazione. «Se vogliono portarmi via, mi porteranno via con la forza», ha detto Rosina Platì, mamma di Giuseppe Demasi: «Devono mandarci qualcuno da Roma, vogliamo il presidente Napolitano o il ministro della Giustizia. Devono venire qui e spiegarci il motivo di questa sentenza vergognosa. Sono pronta a morire qui dentro».
Antonio Boccuzzi è l’unico sopravvissuto al rogo appena rieletto parlamentare con il Pd, non trattiene lo sconforto: «Sono profondamente deluso. Al processo d’appello non sono emersi elementi nuovi rispetto al dibattimento di primo grado – ha osservato – che facessero pensare alla derubricazione dal dolo alla colpa». Sparisce, quindi, il profilo doloso dell’incendio, tranne che per l’articolo 437 del codice penale: confermata per tutti la condanna per omissioni dolose di norme anti-infortunistiche.
I familiari non hanno sciolto l’occupazione fino a quando non è tornato in aula il pm Guariniello, insieme al procuratore generale Marcello Maddalena, per cercare una mediazione. Ci è riuscito, con una promessa: «Ho detto che Eternit sarebbe stato il mio ultimo processo ma ora mi impegno a rimanere con voi per riuscire a combattere questa battaglia fino in fondo. Cominceremo da domani a scrivere il ricorso in Cassazione – ha detto loro il pm – Non ci accontentiamo della colpa cosciente ma vogliamo che sia riconosciuto il dolo eventuale». I parenti delle vittime, nel tardo pomeriggio, si sono diretti in Prefettura, dove hanno chiesto un incontro con Napolitano.
Parzialmente soddisfatto della sentenza è, invece, l’avvocato Ezio Audisio, legale dell’ad Thyssen. La difesa aveva puntato a sostenere che la responsabilità dell’incendio fu in parte degli operai. «Noi non potevamo fare nulla di più, è un tentativo di colpevolizzare i lavoratori» ha attaccato Boccuzzi. Molte le reazioni: delusione espressa da Fiom, Cgil, e da esponenti di Pd, Sel, Prc e M5s. Tra novanta giorni si avranno le motivazioni si potrà capire meglio una sentenza dai risvolti importanti, perché in fabbrica (vedi l’Ilva) o semplicemente sul lavoro si continua a morire.

Il Manifesto – 01.03.13


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