Trent’anni fa: Berlinguer

Trent’anni fa: Berlinguer

di Paolo Ferrero -

Trent’anni fa moriva Enrico Berlinguer. Berlinguer è stato tra coloro che  hanno saputo meglio incarnare, nel corso della propria esistenza e della militanza, l’idea della diversità dei comunisti. Egli pose per primo, nel nostro Paese, il tema della “questione morale”. Lo pose con un’accezione diversa da quella poi diventata popolare in questi anni, secondo cui il problema sarebbe rappresentato unicamente dai tanti politici che rubano. Berlinguer leggeva la corruzione della cosa pubblica, allora come oggi radicata e strutturata, come il sintomo e il tassello di un modello di crescita e di sviluppo distorto, di un capitalismo malato che – per potersi alimentare e riprodurre – doveva necessariamente incubare un’economia illegale e criminale crescente, distruggere l’ambiente e i diritti conquistati dal movimento operaio. Una corruzione che riguardava l’intera classe dirigente del nostro Paese: gli esponenti dei partiti di governo, ma anche gli imprenditori e i grandi manager. Una corruzione che poteva e può essere sconfitta non solo con l’onestà e con la trasparenza, ma mettendo in discussione quelle politiche che oggi chiamiamo neo-liberiste.

Berlinguer, dopo la stagione del compromesso storico e dell’unità nazionale, a partire dalla fine degli anni Settanta, si convinse giustamente che l’unica strada da percorrere era la costruzione di un’alternativa di sinistra: Cominciò così una politica di opposizione alle politiche di ristrutturazione capitalistica e al tentativo di cancellare le grandi conquiste maturale dal movimento operaio. Quel Berlinguer era spesso isolato all’interno dello stesso Pci: quando, ad esempio, andò davanti ai cancelli della Fiat nel 1980 e disse che i comunisti dovevano stare dalla parte degli operai nei momenti migliori ma anche e soprattutto nelle fasi peggiori; quando – nel 1984-85 – scelse la strada dell’opposizione al decreto di San Valentino emanato dal governo Craxi per tagliare la scala mobile, fino ad arrivare al referendum contro quel provvedimento. L’impegno politico di Berlinguer – dalle scelte giuste ai suoi errori –  si colloca nella storia centenaria della lotta delle classi subalterne per ottenere il riscatto sociale, la libertà e la giustizia. Si colloca nella storia del paese, non nell’attimo effimero di un successo ottenuto attraverso una performance teatrale. In questo la distanza con i Renzi e i Grillo non è solo politica: è culturale e morale. Berlinguer era un compagno non un imbonitore.

“Affascinante no. Non ha mai pensato di esserlo e mi guardo bene dal pensarlo. Forse l’hanno detto gli altri, ma qui ci sono delle mode per cui quando un partito ha dei risultati brillanti, allora i suoi leader vengono definiti carismatici, affascinanti, belli e così via dicendo. E poi naturalmente invece quando – come accade nella vita dei partiti – ci sono dei periodi di stasi o di difficoltà, allora naturalmente poi diventano vecchi, superati, stanchi.

Io non mi sento stanco, sento in me, se vuole – non credo di fare della retorica – la stessa passione che ho avuto quando ho cominciato la mia milizia comunista nel 1943. Da questo punto di vista non mi è accaduto – e questa la considero la più grande fortuna della mia vita – di seguire quella famosa legge per cui si è rivoluzionari a 18 anni, a vent’anni, poi si diventa via via liberali, conservatori, reazionari. Io conservo i miei ideali di allora”.


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