Call center revolution

Call center revolution

di Antonio Sciotto – il manifesto

Una marea di cuffiette e microfoni invade Roma. È il «no delocalizzazioni day»: i lavoratori chiedono appalti in regola e garanzie contro la fuga all’estero delle aziende. Che in parte condividono

I gio­vani lavo­ra­tori sono tor­nati in piazza, e il sin­da­cato – nono­stante gli attac­chi subiti e tante pec­che – è ancora vivo. Una mani­fe­sta­zione riu­scita quella di ieri a Roma, uno scio­pero con migliaia di ope­ra­tori dei call cen­ter che ha riem­pito i Fori Impe­riali. «No delo­ca­liz­za­zioni», «Basta appalti al mas­simo ribasso», le parole d’ordine, in una bat­ta­glia che vede alleate, almeno su alcuni punti, anche le imprese. Tra i più agguer­riti, gli addetti sici­liani e cala­bresi: le cuf­fiette hanno attec­chito molto al Sud, gra­zie agli incen­tivi e a costi più bassi, ma pro­prio loro sono oggi più a rischio.

La maglietta di ordi­nanza ha un «Urlo» di Munch con le cuf­fiette. Rosi, di Alma­viva Palermo, dice: «Non siamo stan­chi di pren­derci paro­lacce dai clienti, ma di sen­tirci dire: “final­mente ci risponde un ope­ra­tore ita­liano”». Natale, di Alma­viva Cata­nia, fa il verso al pre­mier Renzi: «Dice di essere veloce. Ma qui ci sono lavo­ra­tori che risol­vono un pro­blema in 3 minuti e 15. Ora tocca a lei rispon­dere velo­ce­mente ai nostri que­siti». Fabio, di Tele­per­for­mance Taranto, chiede di «poter con­ti­nuare a vedere un futuro in una città che vive già tanti drammi».

Va detto che in piazza erano pre­senti soprat­tutto i dipen­denti dei grossi gruppi in outsour­cing – da Alma­viva a Com­data, da Call&Call a Tele­per­for­mance – quelli cioè che godono (non tutti, poco più di una metà del totale) di con­tratti rego­lari e a tempo inde­ter­mi­nato. Quindi i più facili da orga­niz­zare sin­da­cal­mente – e infatti la piazza era fit­tis­sima di ban­diere, non solo Cgil, Cisl e Uil, ma pure Cobas e Ugl – ma anche quelli più espo­sti alla per­dita del posto di lavoro a causa della glo­ba­liz­za­zione. Ottan­ta­mila i lavo­ra­tori del set­tore, 1,3 miliardi il fatturato.

Le imprese: l’estero è essenziale

Tante imprese oggi delo­ca­liz­zano: Alba­nia, Roma­nia, Tuni­sia, dove trovi addetti che par­lano in modo decente l’italiano. E che ovvia­mente costano molto meno. Come ci spiega Paolo Sar­zana, respon­sa­bile comu­ni­ca­zione di Tele­per­for­mance, mul­ti­na­zio­nale fran­cese che ha 3500 dipen­denti in Ita­lia, 2000 dei quali in un grosso call cen­ter di Taranto. «In Ita­lia il costo ora­rio di un addetto è di 17.80 euro, in Alba­nia di 5. Cio­no­no­stante noi vogliamo restare in Ita­lia, ma il governo deve met­terci nelle con­di­zioni per farlo».

Tele­per­for­mance ha call cen­ter in Roma­nia e Alba­nia, ma assi­cura che non tol­gono lavoro all’Italia, ma che anzi pos­sono por­tarne di più: «Qual­che anno fa abbiamo vinto un appalto Ali­ta­lia, che aveva costi proi­bi­tivi per gli stan­dard nazio­nali – con­clude Sar­zana – Siamo riu­sciti a pren­derlo per­ché abbiamo dato il 60% dei volumi agli addetti alba­nesi. Il restante 40% per gli ita­liani, diver­sa­mente non lo avremmo mai avuto».

La richie­sta prin­cipe, con­di­visa anche dal sin­da­cato, è quella di non per­met­tere gare di appalto al mas­simo ribasso: o meglio, fare in modo che il ribasso non sia tale da dover andare sotto il con­tratto nazio­nale. Ieri la segre­ta­ria della Cgil Susanna Camusso lo ha detto dal palco: «Il lavoro deve essere digni­toso, non può scen­dere sotto un certo livello. Altri­menti non è lavoro. E a chi ci dice che siamo con­ser­va­tori, rispon­diamo che sì, siamo per con­ser­vare: le garan­zie e i diritti delle persone».

Cgil: «Più tutele nelle gare»

Chiaro il rife­ri­mento a Mat­teo Renzi, che ha sem­pre attac­cato il sin­da­cato, tanto più oggi quando lo scon­tro si è acuito con lo scio­pero Rai. «La legge sugli appalti si può e si deve cam­biare», ha aggiunto Camusso. Si rife­ri­sce alla richie­sta di inter­ve­nire sull’articolo 2112 del codice civile che rego­la­menta la garan­zia dell’occupazione nel pas­sag­gio da un’impresa uscente alla nuova appal­tante: Slc, Fistel e Uil­com chie­dono una modi­fica per­ché si possa appli­care anche ai call center.

Il casus belli – anche poli­tico – è scop­piato con il call cen­ter 020202 del Comune di Milano. «Base d’asta 45 cen­te­simi al minuto, che per i 40 medi par­lati fanno 18 euro l’ora. Quindi non ci paghi nem­meno i dipen­denti», pro­te­sta Umberto Costa­ma­gna, pre­si­dente di Asso­con­tact Con­fin­du­stria. Che infatti ha chie­sto alle imprese ade­renti (tra cui la sua, la Call&Call) di non par­te­ci­pare, e ha fatto ricorso all’Autorità di vigi­lanza per i con­tratti pub­blici. La stessa Alma­viva di Marco Tripi – il mag­gior gruppo ita­liano, 14 mila dipen­denti nel nostro Paese e 18.500 all’estero – che aveva gestito l’appalto pre­ce­dente con 200 addetti, ha deciso di non ripre­sen­tare un’offerta.

Su que­sto fronte, quello degli appalti, dice la sua il pre­si­dente della Com­mis­sione Lavoro della Camera, Cesare Damiano (Pd), che quando era mini­stro del Lavoro, nel 2007, avviò una cam­pa­gna di sta­bi­liz­za­zioni: «La legge per non ribas­sare sul lavoro c’è già, l’avevamo varata con Prodi. È che non viene appli­cata: dispone che si scor­pori il costo dei con­tratti nazio­nali e della sicu­rezza, e che su quello non si possa ribassare».

La Com­mis­sione Lavoro ha aperto una inda­gine par­la­men­tare sui call cen­ter, men­tre un tavolo con imprese e sin­da­cati – che tor­nerà a riu­nirsi entro fine giu­gno – è stato isti­tuito al mini­stero dello Svi­luppo. Il sot­to­se­gre­ta­rio Clau­dio De Vin­centi ha detto ieri che «lo scio­pero è uno sti­molo per dare rispo­ste al set­tore». E annun­cia che si lavo­rerà su «con­tra­sto alle delo­ca­liz­za­zioni, rivi­si­ta­zione legi­sla­tiva dei cambi d’appalto così da tute­lare i diritti dei lavo­ra­tori, con­cor­renza fiscale tra regioni».

«Noi spe­riamo si inter­venga pre­sto – dice Michele Azzola, segre­ta­rio Slc Cgil – Gli 80 mila lavo­ra­tori del set­tore aspet­tano rispo­ste, molti sono in soli­da­rietà o in cassa. E cen­ti­naia hanno già perso il posto». Infine, il sin­da­cato chiede di appli­care in modo strin­gente la nor­ma­tiva Ue sulla pri­vacy: i dati sen­si­bili, come le carte di cre­dito dei clienti, vanno affi­dati solo a imprese den­tro i con­fini Ue, o comun­que iper-controllate.


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