Pane, cozze, caffè: ma che truffa

Pane, cozze, caffè: ma che truffa

di Antonio Sciotto – il manifesto

Contraffazioni. Il crimine alimentare è un business: aumentano fatturati e sequestri. Sarà pure il tema dell’Expo, ma su questo fronte restiamo deboli. Il dossier Cgil

E pro­prio nel paese dell’Expo 2015 – tema la qua­lità del cibo – le con­traf­fa­zioni abbon­dano. Il Rap­porto su Agro­ma­fie e Capo­ra­lato dell’Osservatorio Pla­cido Riz­zotto pre­senta un’interessante disa­mina dei casi più ecla­tanti di truffe ali­men­tari, spesso orga­niz­zate dalla cri­mi­na­lità. Bufala, pane, caffè, pesce, olio, pomo­dori: «un menù per tutti i gusti», lo slo­gan scelto dalla Flai Cgil per il dossier-denuncia.

Intanto qual­che dato: secondo l’Ocse dal 2000 al 2007 il com­mer­cio di pro­dotti con­traf­fatti, e il rela­tivo fat­tu­rato, sono aumen­tati del 150%. Solo in Ita­lia, negli ultimi 10 anni, secondo la Com­mis­sione par­la­men­tare d’inchiesta su que­sto feno­meno, siamo al +128%: il giro d’affari del cibo «truf­fal­dino» sarebbe di 1 miliardo di euro, pari al 16% sulla tota­lità dei pro­dotti con­traf­fatti. Molto più ampio invece il fat­tu­rato delle agro­ma­fie: ben 12,5 miliardi di euro, secondo il rap­porto dello scorso gen­naio della Dire­zione Nazio­nale Antimafia.

Per que­sta ultima cifra, il rife­ri­mento è all’intera filiera: ovvero il con­trollo che le orga­niz­za­zioni cri­mi­nali eser­ci­tano su pro­du­zione, arrivo delle merci nei porti, mer­cati all’ingrosso e grande distri­bu­zione e confezionamento.

Tor­niamo però ai casi di con­traf­fa­zione ali­men­tare del made in Italy. Come detto, nel nostro Paese siamo intorno a 1 miliardo di euro di fat­tu­rato. Ma se ci rife­riamo ai pro­dotti ali­men­tari ita­liani nel mondo, quello che dovrebbe essere il nostro fiore all’occhiello, secondo i dati del mini­stero dello Svi­luppo la fat­tu­ra­zione del con­traf­fatto sale a ben 60 miliardi di euro. Un terzo circa del fat­tu­rato dei pro­dotti ori­gi­nali: si tratta del cosid­detto Ita­lian soun­ding, cioè l’utilizzo di eti­chette e sim­boli che evo­cano l’italianità ma che in realtà di ita­liano non hanno nulla. Come dire: ci sarebbe lo spa­zio poten­ziale per ben 60 miliardi di euro per i pro­dut­tori ita­liani, che oggi ci ven­gono «sof­fiati» da chi si mil­lanta come tale.

In Ita­lia, c’è il caso del caffè di cat­tiva qua­lità impo­sto dal clan Vol­laro ai bar napo­le­tani e dalla mafia a quelli sici­liani. Caffè Nobis e Caffè Flo­riò: i bar erano costretti comun­que a com­prare pro­dotto di qua­lità per non per­dere la clien­tela. Da Brin­disi invece, la Sacra Corona Unita impone insieme al caffè pes­simo anche slot truccate.

In Pro­vin­cia di Caserta le frodi riguar­dano la moz­za­rella di bufala: l’azienda Man­dara ad esem­pio è sotto pro­cesso per­ché secondo la Dda di Napoli uti­liz­zava latte di bufala con­ge­lato pro­ve­niente dall’Est Europa, spac­ciando il pro­dotto per moz­za­rella Dop.

E il pomo­doro delle nostre salse? in buona parte viene dalla Cina. Inda­gini doga­nali hanno dimo­strato che tutto il con­cen­trato impor­tato dalla Cina ha come unica desti­na­zione Napoli e Salerno (dove si tro­vano più della metà degli impianti di tra­sfor­ma­zione ita­liani). L’import di con­cen­trato cinese è aumen­tato negli ultimi 10 anni del 272%. E così sono stati seque­strati milioni di barat­toli di «San Mar­zano Dop», falso, desti­nati al mer­cato Usa.

Pasta e taralli? Vit­time anche loro. Decine di ton­nel­late di pro­dotti eti­chet­tati con «Qua­lità e tipi­cità 100% made in Puglia» o «Pro­dotta con semola di grano duro della Puglia» sono state seque­strate in pro­vin­cia di Bar­letta, Andria e Trani: il grano era extra Ue.

A Palermo si è sco­perto che l’intero mer­cato di Bal­larò era rifor­nito da un maxi macello clan­de­stino: carne con­trol­lata dal man­da­mento di Porta Nuova. A Napoli sono decine i pani­fici clan­de­stini seque­strati, ma non basta: molto attivo è anche il con­trab­bando di pesce e addi­rit­tura di acqua di mare (inqui­nata), men­tre a Taranto i clan si fanno la guerra per il com­mer­cio delle cozze.


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