Fiscal Compact, la rivelazione di Ignazio Visco

Fiscal Compact, la rivelazione di Ignazio Visco

di Roberto Ciccarelli – il manifesto

Austerità. Per la prima volta il governatore della Banca d’Italia ammette i pericoli del patto fiscale europeo. Non servono tagli da 40-50 miliardi di euro, ma una crescita al 3% e più investimenti. La via maestra è la sostenibilità del debito, condizione anche per chiedere “flessibilità” all’Ue. Anche il governatore della Bce Mario Draghi punta su una politica fiscale con meno tasse e più spesa. Ma nel 2014 cresceremo solo dello 0,6%, 1,1 nel 2015

A dif­fe­renza di quanto soste­nuto da alcuni com­men­ta­tori, per ridurre l’alto debito pub­blico dell’Italia non sareb­bero neces­sa­rie mano­vre cor­ret­tive da 40–50 miliardi di euro all’anno, non sarebbe richie­sto man­te­nere un orien­ta­mento per­ma­nen­te­mente restrit­tivo alla poli­tica del bilan­cio». Lo ha detto ieri il gover­na­tore della Banca d’Italia Igna­zio Visco durante una lec­tio magi­stra­lis all’Almo Col­le­gio Bor­ro­meo di Pavia. Sia pure con una for­mula ipo­te­tica adot­tata per negare lo tsu­nami che si abbat­terà dal 2016 sulle finanze pub­bli­che ita­liane, è la prima volta che un alto espo­nente del ceto diri­gente cita il peri­colo incom­bente su uno dei paesi più inde­bi­tati d’Europa con il 132,6% sul Pil. Per evi­tare que­sto rischio, ha detto Visco, biso­gna pun­tare sulla cre­scita vicina al 3% e sugli inve­sti­menti, «al tempo stesso fat­tore di offerta e com­po­nente fon­da­men­tale della domanda». «La poli­tica mone­ta­ria non può da sola garan­tire la sta­bi­lità finan­zia­ria dell’eurozona — ha pun­tua­liz­zato Visco — se prima non saranno risolti i pro­blemi all’origine della crisi dei debiti sovrani».

La regola sul debito è uno dei più insi­diosi impe­ra­tivi det­tati dal «Patto di bilan­cio euro­peo», il trat­tato del «Fiscal Com­pact» rati­fi­cato da 24 dei 25 paesi dell’Unione Euro­pea e appro­vato in una set­ti­mana (tra il 12 e il 19 luglio 2012) dal Senato e poi dalla Camera in Ita­lia. Per rispet­tare que­sta regola il governo Renzi dovrà infatti appron­tare una prima mano­vra finan­zia­ria per tagliare il debito pub­blico di 40–50 miliardi a par­tire da gen­naio 2016.

Secondo gli arti­coli 3 e 4 del trat­tato, infatti, il nostro paese dovrà pro­se­guire con i tagli per i pros­simi vent’anni, fino al 2036, poi­ché ha accet­tato l’obbligo di ripor­tare il debito pub­blico al 60% del Pil, ridu­cen­dolo al ritmo di un ven­te­simo all’anno (il 5%, pari a 40–50 miliardi di euro, appunto). Un’operazione di «aggiu­sta­mento strut­tu­rale» di tali pro­por­zioni e con­se­guenze sulla spesa sociale e sulla con­vi­venza civile che ren­derà un pal­lido ricordo le dif­fi­coltà attuali.

«La regola sul debito pub­blico che sarà appli­cata all’Italia per la prima volta nel 2016 — ha con­ti­nuato Visco — richiede una ridu­zione media annua del suo rap­porto rispetto al Pil pari a circa un ven­te­simo della parte che eccede il limite del 60 per cento». Per rispet­tarla, «non è neces­sa­rio ridurre il valore nomi­nale del debito. In con­di­zioni di cre­scita “nor­male”, vicina al 3 per cento nomi­nale, sarebbe infatti suf­fi­ciente man­te­nere il pareg­gio strut­tu­rale del bilancio».

Nell’imminenza delle ele­zioni euro­pee di mag­gio, quando si pre­vede l’avanzata delle destre neo-sovraniste e dei popu­li­smi «anti-euro» il mes­sag­gio di Visco si fa ancora più chiaro quando annun­cia la pos­si­bi­lità di «alcuni mar­gini di fles­si­bi­lità sulla regola del debito». «Le regole con­cor­date in sede euro­pea sono il mezzo, non il fine». Ma per farlo, biso­gna garan­tire la «soste­ni­bi­lità del debito pub­blico, con­ti­nuando comun­que a tagliarlo per­ché «non lo si può fare cre­scere inde­fi­ni­ti­va­mente. Lo si può fare se si fanno inve­sti­menti e ci sono ritorni».

«Il punto — ha detto Visco — è che noi lo abbiamo fatto cre­scere per molti anni in assenza di inve­sti­menti». Per il ban­chiere cen­trale biso­gna garan­tire il pieno accesso al mer­cato, fon­da­men­tali «in un momento in cui i rischi di crisi restano, le ten­sioni sui mer­cati si pos­sono riac­cen­dere, men­tre «emer­gono rin­no­vati segnali di inte­resse per i mer­cati ita­liani, incluso quello per i titoli di Stato». In cam­bio, l’Italia potrebbe otte­nere una «fles­si­bi­lità» sul Fiscal Com­pact, così almeno fa inten­dere Visco.

Ieri, da Parigi, in suo soste­gno è inter­ve­nuto anche il gover­na­tore della Bce Mario Dra­ghi, che ha insi­stito sulla neces­sità di pro­se­guire con le «riforme strut­tu­rali», una poli­tica fiscale che assi­curi i conti, ma anche lo svi­luppo attra­verso gli inve­sti­menti. Una piena con­so­nanza sul ruolo da dare ad una poli­tica fiscale «meno con­cen­trata sull’aumento delle tasse — ha detto Dra­ghi — e più sulle prio­rità di spesa».

È la strada per ammor­bi­dire l’austerità sulla quale insi­stono da tempo i ban­chieri cen­trali, e non solo. Potrebbe fun­zio­nare se tut­ta­via la cre­scita fosse ben più alta di quella men­zio­nata da Visco.

Una bozza del «World eco­no­mic outlook» del Fondo Mone­ta­rio Inter­na­zio­nale dif­fuso nelle ultime ore ha con­fer­mato che la cre­scita del Pil ita­liano sarà dello 0,6% nel 2014. Nel 2015 l’economia dovrebbe avan­zare dell’1,1%, ben al di sotto del 3% che per­met­te­rebbe di non pro­ce­dere al taglio del debito, in pre­senza di un pareg­gio strut­tu­rale del bilan­cio. Una pre­vi­sione che non lascia tran­quilli, nem­meno il gover­na­tore Visco.


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