di Franco Giordano della segreteria Nazionale del PRC
Care/i compagne/i, a più di sei mesi dallavvio delliniziativa
di inchiesta sul lavoro (e sul non-lavoro), promosso dal partito nellautunno
scorso, ci sembra opportuno farne un primo bilancio, che coinvolga il partito
in tutte le sue articolazioni e strutture, sia quelle che sono già
state direttamente impegnate in lavori di inchiesta in questa prima fase,
sia quelle che sono ancora rimaste ai margini delliniziativa.
Per questo vi inviamo in proposito una nota che insieme al bilancio del lavoro svolto e di orientamento per i suoi sviluppi futuri. 1. Un bilancio della prima fase del lavoro di inchiesta
In questo quadro, essa è utile per sviluppare potenzialità nuove della nostra iniziativa di massa, quali ad es. sono emerse dalla manifestazione di Milano per la riduzione dorario, o per evitare che siano disperse potenzialità quali quelle emerse a suo a suo tempo nella manifestazione di Venezia del settembre scorso. 2. Di qui, nasce la scelta di concentrare il lavoro di inchiesta
su alcuni dei temi centrali delliniziativa del partito in questa fase.
A partire da queste valutazioni, si propongono alcune indicazioni organizzative per i prossimi due tre mesi. Come si può vedere, alcune di esse riguardano principalmente limpegno delle strutture centrali del partito, ma altre richiedono uniniziativa capillare delle strutture locali. a) La pubblicizzazione / valorizzazione dei primi risultati di inchiesta deve vedere la partecipazione dei compagni dirigenti locali del partito e dei compagni della direzione alle iniziative locali in cui essi verranno presentati, o deve trovare uno spazio adeguato e continuativo sulla stampa del partito. b) E necessario rafforzare lintelaiatura organizzativa del dipartimento lavoro (ad es. coordinamento incontri periodici tra i responsabili regionali lavoro ed il dipartimento nazionale) e del lavoro di inchiesta (ad es. richiedono un preciso impegno dei responsabili lavoro a livello provinciale e regionale se possibile, allargando il nucleo centrale di coordinamento dellinchiesta). c) E necessario che linchiesta sia uno dei riferimenti centrali della conferenza meridionale (in particolare sulla tematica lavoro/non lavoro), anche attraverso proposte rivolte allesterno: ad es. con una proposta di inchiesta a Napoli sul lavoro sommerso, che raccolga in positivo il dibattito (spesso politicamente ambiguo) sulla necessità di far emergere il tessuto di lavoro (non sempre arretrato e povero) esistente nel Mezzogiorno. d) Linchiesta può essere un elemento centrale di una conferenza dei lavoratori e delle lavoratori e delle lavoratrici: elemento centrale non il senso formale (la conferenza non deve essere una sfilza di rapportini di inchiesta, ma deve intrecciare elementi di analisi, di denuncia e di proposta non necessariamente provenienti dellinchiesta), ma nel senso che essa può alimentare con elementi concreti e aggiornati di conoscenza della realtà il dibattito della conferenza (come in parte è già avvenuto alla riunione dei circoli aziendali tenutasi a Bologna il 28 Marzo) e) Infine, sarebbe opportuno utilizzare la presenza e i rapporti del partito a livello europeo per allargare lorizzonte dellinchiesta: I) raccogliendo materiali e informazioni, ad es. sul tema della riduzione dorario, e raccogliendo risultati di altre inchieste affini alla nostra impostazione; II) gettando le basi per un futuro collegamento del lavoro di inchiesta tra diversi paesi. |
Di Gino Bortolozzo e Devi Sacchetto
Nellambito dellinchiesta che da più di un anno stiamo portando
avanti nella Riviera del Brenta, abbiamo ritenuto importante conoscere
la realtà delle lavoratrici a domicilio spesso immaginata come un
residuo del passato ma che viene a calarsi a pieno titolo come elemento
indispensabile nella forma dei rapporti di produzione odierni e nella struttura
produttiva dellarea. Nella Riviera del Brenta lindustria calzaturiera
investe lintero territorio dalle fabbriche fin dentro alle abitazioni
dove numerose orlatrici a domicilio (chiamate anche mistre) lavorano alla
cucitura delle tomaie, come anche al completamento della scarpa.
Il numero delle lavoratrici a domicilio è difficilmente stimabile in quanto oltre alle circa mille persone registrate ufficialmente sono presenti numerose lavoratrici che svolgono lattività in modo irregolare. Il lavoro irregolare può essere causato sia dalle richieste delle imprese sia dalle esigenze delle lavoratrici dato lesiguo salario che spesso gli viene corrisposto; non è quindi tanto il livello di tassazione elevato quanto i prezzi di pagamento delle commesse ad essere troppo esigui. In molti casi, sembra esistere una soglia minima che le imprese richiedono perché le lavoratrici possano essere regolarizzate; questa condizione è richiesta, probabilmente, dalle esigenze di tassazione delle imprese. In ogni caso, la demarcazione tra lavoro sommerso e regolare non è di facile definizione: vi sono casi di lavoratrici a domicilio regolari che svolgono anche commesse in nero per altre ditte o per la stessa ditta; in altre situazioni le orlatrici lavorano per alcuni anni in regola (o in nero) e poi cambiano il loro rapporto di lavoro; possono poi coesistere situazioni in cui una lavoratrice è pienamente regolare e qualche parente o amica svolge il lavoro in sub-sub-commessa in modo totalmente irregolare (il salario può anche essere pari a quello della lavoratrice regolare). In altri casi esistono veri e propri distributori di lavoro che gestiscono e distribuiscono il lavoro ad una serie di orlatrici per poi andare a recuperarlo una volta terminato. Allinterno del ciclo produttivo calzaturiero lattività di orlatura è la fase lavorativa maggiormente decentrabile allesterno delle fabbriche: il modesto investimento tecnologico necessario e lestrema flessibilità della forza lavoro, quasi sempre femminile e poco sindacalizzata, risultano elementi fondamentali per la riduzione dei costi produttivi. Solitamente allesterno vengono assegnate lavorazioni particolari di alta qualità che trovano maggiori difficoltà ad essere svolte allinterno di una catena produttiva in cui i tempi di esecuzione sono sempre più ristretti. Le mistre devono provvedere ad ogni operazione in base ai tempi fissati per lesecuzione delle scarpe che non prevedono rotture del macchinario; il loro salario dipende da un cottimo fissato dallazienda sulla base di calcoli dellimpresa stessa. Loperazione viene eseguita da unoperaia, spesso la più capace ed esperta, debitamente cronometrata, dopo che loperaia ha avuto modo di familiarizzare con il modello: sulla base di questo tempo è stabilita la tariffa. Le lavoratrici a domicilio raramente dispongono delle stesse attrezzature interne e sono perciò costrette ad allungare indefinitamente il tempo per la lavorazione di ogni tomaia. Il momento più critico è quando si cambia modello perché occorre studiare quale sia la costruzione più rapida del nuovo tipo di calzatura; effettivamente ad ogni cambio di modello le orlatrici a domicilio si trovano a dover perdere tempo prezioso e neppure le più esperte sono in grado di affrontare immediatamente la lavorazione nel tempo ottimale. In alcuni casi poi esse sono costrette a ritornare in fabbrica dopo aver completato una serie di campioni per la visione e lassenso dellimprenditore o di un suo delegato. Tutto il tempo e le spese necessarie per i viaggi fino al committente è ovviamente a carico dellorlatrice che non ottiene nessun rimborso per questo lavoro; solo in alcuni casi le lavoratrici vengono rifornite del lavoro direttamente nella propria abitazione. Lapplicazione di tempi particolarmente ristretti per lesecuzione dei modelli permette agli imprenditori di mantenere bassi i costi sia allinterno sia allesterno della fabbrica. In effetti, la persistenza di lavoro a domicilio a basso salario e di lavoro dipendente allinterno delle fabbriche con salari di poco superiori ma comunque particolarmente ridotti sono due fenomeni concatenati che peggiorano la qualità della vita oltre che del lavoro. Le lavoratrici a domicilio di uno specifico datore di lavoro raramente si conoscono e spesso è lo stesso imprenditore a cercare di dividere, per quanto possibile una classe operaia già di per sé sparpagliata nel territorio. Ma chi sono e come vivono le lavoratrici a domicilio ? Siamo andati ad intervistare, garantendo lanonimato, alcune lavoratrici a domicilio per cercare di mettere a fuoco il vissuto di queste lavoratrici: donne, madri, casalinghe che cercano di coniugare lavoro produttivo e lavoro riproduttivo. I riferimenti geografici, i nomi delle persone e le situazioni che potevano facilitare il riconoscimento dei soggetti intervistati sono stati cambiati, mentre il nome degli imprenditori sono quasi sempre originali. Le interviste sono state raccolte tra dicembre 1997 e gennaio 1998). Entriamo in casa di Fabrizia, lodore del mastice, usato per le lavorazioni, ci colpisce subito; queste esalazioni respirate giorno dopo giorno diventano parte integrante della vita, entrando nel corpo delle lavoratrici ma anche dei familiari. Fabrizia adesso è pensionata: Ho sessantanni non faccio più lorlatrice però ancora poco tempo fa mi hanno telefonato chiedendomi se volevo lavorare, io non ho neanche contrattato. Ho iniziato a sei anni a lavorare, perché noi a casa abbiamo sempre avuto lavoro, sono arrivata fino a cinquantacinque quando sono andata in pensione e da lì non ho più lavorato. Se potessi tornare indietro non sceglierei più questo lavoro, perché non sono stata ripagata per niente da questo lavoro; mi ricordo quando avevo otto anni e mezzo portavo su il lavoro alle mie sorelle che lavoravano e ti dicevano ma vai ancora a scuola ? non sei capace di scrivere il tuo nome ?; ecco, bastava essere capaci di scrivere il proprio nome, poi la scuola era tutto tempo perso. Mia sorella che ha undici anni più di me e quindi ha iniziato prima quando cerano poche fabbriche, anche qua a Freggia, lavoravano tutte di ricamo, non cerano tutte queste fabbriche; lei ha finito la quinta (elementare, N.d.a.) ed è andata ad imparare il mestiere in fabbrica. E stato negli anni dopo la guerra che si sono impiantate le fabbriche di scarpe nel 1944, nel 1945, cera Voltan, Zanaga, Caovia. Io mi ricordo che mia sorella aveva venticinque anni ed ha fatto in tempo ad andare in una fabbrica di scarpe ma prima andava dalle suore a lavorare di ricamo e là prendevano ancora meno e dieci anni dopo siamo arrivati in mezzo alle fabbriche. La categoria più sfruttata è proprio questa e non sono mai riuscite a farsi i conti; quando lavoravo in fabbrica nel 1963-1964 io facevo i tempi che poi loro usavano per fare i prezzi alle scarpe: facevano il prezzo su un paio di scarpe, veniva là a vedere quanto tempo ci mettevo e schiacciava il cronometro e guardava quanto tempo ci mettevo e allora quando mi dicevano vediamo quanto ci impieghi a fare queste cuciture sulle fodere, io gli dicevo che bisognava fare la prova almeno su dodici paia perché allora si spacca lago, devi fare su il filo, finisci la spola, insomma hai un insieme di cose che perdi tempo. A quei tempi là, erano i tempi del progresso, diciamo così, le persone, tutti quanti prendevano soldi, tutti i padroni ma anche i lavoratori ma non tenevano presente quanto gli altri prendevano e quanta fatica si faceva. Io ho lavorato dal 1956, quando avevo diciannove anni, poi mi sono sposata a venti cinque e sono andata a lavorare un altro anno e mezzo, ho sempre fatto i tempi, i prezzi e dopo è sempre andata peggio fino a che però guarda lui (limprenditore) come ha tirato su il personale, hanno iniziato a prendere macchine, hanno inserito la manovia (la catena di montaggio usata nel settore calzaturiero, N.d.a.) che è stata una piccola rivoluzione perché prima si lavorava a banchetto. In quegli anni cerano quindici lavoratrici che facevano il lavoro completo e poi cerano trenta persone che facevano sempre la stessa operazione, poi cerano settanta, ottanta persone che lavoravano a domicilio, in tutto cerano circa trecento persone tra dentro e fuori. In quellepoca chi era in grado di farsi i conti ?, chi aveva fatto la quinta ?; non erano neanche capaci di firmare. La mia amica aveva fatto la terza e io la quinta e tutti gli altri avevano fatto meno di noi. A partire dal 1984-1985 ho iniziato ad avere dei problemi con mia madre che poi è mancata; pensa che prima delle dieci e mezza undici non riuscivo a sistemarla e dopo avevo queste scarpe e mi toccava sedermi ed andare avanti fino alle due, due e mezza della notte e dopo la mattina iniziare di nuovo. Ce lho fatta per un pezzo ma dopo era troppo pesante. Io ho dolori alle mani dal 1982, potrebbe anche essere stato il mastice, perché lo davo con le dita come si faceva un tempo, perché i pennelli sono usciti dopo; ho fatto due anni che ho preso soldi, e sono stati gli unici due anni in quarantanni che ho fatto questo lavoro che posso dire di aver preso dei soldi, ero in regola però poi ho avuto dei problemi in casa con mia madre e per essere in regola bisogna lavorare tanto altrimenti non ti tengono in regola; facevo venticinque, ventotto paia di scarpe al giorno, lavoravo sei, sette ore, ero già fuori regola, perché non volevano mettermi in regola perché bisognava prendere almeno seicento mila lire al mese e io prendevo quattrocento mila lire o quattrocento e cinquanta mila lire. Il lavoro a domicilio dipende anche dal carattere perché stare sempre sedute in casa per tutte quelle ore perché andando fuori hai un altro modo per vedere le cose, perché ad esempio quella signora che abita vicino a casa mia mi ha detto che lei non lavora più nelle scarpe ma preferisce andare a servire ed ha quarantasette anni. Adesso tante donne che facevano le orlatrici sono a servire, a fare lavoro domestico, a stirare per diecimila lire allora che prendono di più che non a fare scarpe dove cè anche maggiore professionalità, ma non viene pagata. Cambiamo casa, il solito tenace odore di mastice che ci seguirà per tutte le interviste, sembra quasi che la Riviera sia impregnata di mastice. Claudia ci racconta: sono sposata ho quarantacinque anni e ho un figlio, faccio questo lavoro da quindici anni, attualmente lavoro per una ditta artigianale sono assunta in regola con un contratto per lavoratrice a domicilio; prima di sposarmi ho fatto anche altri lavori ma da quando mi sono sposata ho sempre fatto questo. Attualmente lavoro otto ore al giorno, mediamente percepisco da novecento a un milione e cento mila lire al giorno, mi sono riconosciute le ferie e le gratifiche natalizie e in percentuale anche la cassa malattia; oltre a questo lavoro faccio la casalinga. Questo lavoro lho imparato da unaltra lavoratrice a domicilio, il periodo di apprendimento è durato dai due anni e mezzo ai tre anni, in questo periodo mi davano la mancia. Sono nove anni che sono assunta in regola. Ho scelto di fare questo lavoro per motivi familiari per badare a mia figlia e a mio marito perché i vantaggi di questo lavoro sono che ti gestisci il lavoro e puoi fare come vuoi; non è un lavoro che mi dispiace anche se ho pensato di cambiare lavoro soprattutto per avere un salario più elevato. Io inizio a lavorare alle otto del mattino e lavoro fino a mezzogiorno, poi di nuovo dalle due fino alle sei, il resto lavoro per pulire la casa, fare da mangiare, lavare e stirare. Il lavoro lo faccio in salotto, di solito uso il mastice ed anche quello ad acqua da circa un anno ma io non sono capace di lavorarlo, loro ti obbligano ad usarlo ma io non sono capace di adoperarlo. I collanti mi sono forniti dalla ditta che mi fornisce tutto allinfuori degli aghi per cucire che li comperò io nei negozi dove vendono il materiale per i calzaturifici e che non mi vengono rimborsati. Conosco qualche altra mistra ma non ho contatti con le mistre che lavorano per la stessa fabbrica per cui lavoro io. Il problema di questo lavoro è che tu devi fare prima il campione, poi lo porti là e ti dicono se va bene oppure no; quindi ti capita anche di disfare la scarpa e questo è tutto tempo che non ti viene retribuito perché se questo succede in fabbrica il tempo ti viene retribuito mentre io perdo uno o due giorni al mese che non mi vengono pagati e questo mi succede ad ogni cambio di modello. Ho chiesto che mi fosse retribuito ma mi hanno risposto che così è, se vuoi, altrimenti ne possiamo trovare anche altre mistre. I tempi e quindi anche i prezzi sono stabiliti dalla fabbrica è raro che ti modifichino i prezzi perché quando il prezzo è fatto rimane così per tutta la stagione. Io non so come facciano i prezzi e i tempi; i prezzi li sai solo alla fine del mese, quando io cambio il modello non so il prezzo e lo vengo a sapere solo a fine mese. Io conosco persone che facevano le mistre e hanno smesso, adesso fanno le domestiche; nel nostro circondario ci sono molte persone che facevano le mistre e subito dopo quando hanno visto che prendevano pochissimi soldi e cera tanto da lavorare sono partite e sono andate nelle case dei medici, dei padroni delle fabbriche a fare le pulizie, a fare i servizi di casa perché prendono più soldi e non hanno limpegno di stare là, sotto la luce, di usare il mastice, che non sono occupate la sera e che sono più pagate; anchio tempo fa ho dedicato anche qualche sera a questo lavoro. E difficile fare i calcoli di quanto prendo allora comunque mediamente credo siano intorno alle cinquemila lire allora, dipende perché ci sono le giornate che riesci a prendere duemila lire allora e altre che riesci anche a prendere seimila lire allora ed è per questo che tante mistre hanno cambiato mestiere perché andare a servizio come minimo prendono diecimila lire allora. Molti tentano anche di andare dentro ai tomaifici perché prendono un milione e due, un milione e quattrocento mila lire al mese perché là è un lavoro a catena, invece unorlatrice a casa deve fare tutto; mi avevano proposto di entrare in un tomaificio ma io ho preferito stare a casa perché mi gestisco meglio il tempo. Cambiamo scena. Franca: Ho 32 anni e non sono sposata, sono circa sedici anni che faccio questo lavoro, non ho mai svolto altri lavori. Adesso lavoro per una ditta artigianale, sono assunta in regola con un contratto per lavoro a domicilio da quasi quattro anni; lavoro otto ore e mezza, nove ore, percepisco mediamente un milione e trecento mila lire al mese; non sono tanti soldi perché se fai il conto sono meno di ottomila lire allora scarsi e questi sono lordi saranno seimila lire netti, mentre io per andare bene dovrei prendere dodicimila lire allora. Per imparare sono andato a lavorare per un anno da unaltra orlatrice, questo periodo mi è stato pagato anche se erano cifre irrisorie, piccole mance. Ho fatto questo lavoro per avere degli altri orari e per essere più libera in orari che a me interessavano; i vantaggi nella mia occupazione è proprio questo che si può variare lorario di lavoro e gli svantaggi sono principalmente che non mi danno la tredicesima in dicembre e le ferie in agosto. Ho pensato talvolta di abbandonare questo lavoro ma per il momento non saprei che cosa andare a fare in alternativa. Non ho mai avuto problemi di salute per il tipo di lavoro che svolgo e non mi sono mai infortunata sul lavoro, ho fatto una visita specialistica nella ditta per cui lavoro con un medico di medicina del lavoro un anno o due fa che non mi ha riscontrato niente anche se non ho mai fatto analisi del sangue per quanto riguarda gli effetti dei collanti. Ho contatti con altre mistre che fanno questo stesso tipo di lavoro, delle amiche anche se non conosco nessuna mistra che lavora per il mio stesso datore di lavoro. Sono abbastanza soddisfatta perché è un lavoro abbastanza creativo non è così ripetitivo. I prezzi e i tempi vengono definiti dal mio datore di lavoro; io riesco a sapere quanto prendo per ogni paio di tomaie cucite di sicuro dopo e ad occhio anche prima. La mia giornata tipo è sveglia alle otto, inizio a lavorare alle otto e un quarto, fino a mezzogiorno meno un quarto, poi dalluna alle sei di sera poi se ho un po di tempo lavoro anche una mezzoretta dalle otto e mezza fino alle nove ma è raro. Non avendo bambini la giornata me la gestisco abbastanza bene. Ci muoviamo, un altro paese, pochi chilometri. Chiara: Non sono sposata ho quarantanni, ho iniziato questo lavoro dieci anni fa; allora andavo a lavorare a Grante e poi facevo mezza giornata di questo lavoro qua per arrotondare ma non arrotondi mai anche perché quando hai già fatto un certo tipo di lavoro quando vieni a casa sei abbastanza stanca, comunque lavoravo così con una socia e un ragazzo qua vicino ci portava il lavoro, almeno fino a tre anni fa. Io ho lavorato anche in fabbrica quando avevo sedici anni, poi la mia fabbrica è fallito, io cercavo ancora nel mio settore perché sapevo fare quello, però in quel periodo il settore era un po alla deriva, diciamo così, per cui tutti ti dicevano di no e quindi ho cercato altre strade; però, siccome io questo lavoro mi piace farlo e ci tengo a farlo, anche perché mi da delle soddisfazioni, perché quando tu vedi una cosa che riesci a fare bene hai anche soddisfazione a farlo. Quindi tre anni fa siamo andate a cercare poi abbiamo trovato questa fabbrica, anzi molte fabbriche poi abbiamo iniziato a lavorare per un tomaificio che ci ha tirato un bel bidone perché non pagava questa tipa e noi non possiamo star lì a lavorare e stare due, tre mesi senza stipendio e poi hanno fatto un forfait e abbiamo deciso di non lavorarci più. Io lavoro per una ditta che dista dieci, undici chilometri, vado io a prendere il lavoro e talvolta se ho problemi con la macchina vengono loro, basta che gli telefoni; non sono assunta in regola, mentre la mia socia è in regola ma se non ci sono io lei non fa niente perché lei non cuce, lei non fa la scarpa completa. Io ho fatto anche altri lavori, ho fatto la colf, ho lavorato in un albergo, sono andata a vendere piante, ne ho fatti parecchi di lavori; sono andata anche a Lorne (dista trenta chilometri) unestate a piantare il radicchio e in quasi tutti questi lavori ero quasi sempre in nero. Adesso non faccio altri lavori oltre a questo. Lavoro anche dieci, undici ore al giorno dipende da che fretta hanno, delle volte lavoro anche il sabato e la domenica se proprio sono urgenti e devono fare le spedizioni; ad esempio, dovevamo portare su delle scarpe questa mattina ma purtroppo ci sono sempre delle difficoltà tecniche e quindi siamo indietro, gliele porto su domani mattina, però martedì era festa anche per noi e non solo per loro (era lEpifania, N.d.a.). Io non so quanto prendo in media perché fanno una busta paga unica con la mia socia e poi si tengono giù tante trattenute e poi dipende dal modello perché adesso noi stiamo facendo lestivo che è sempre pagato un po meno dellinverno. Il prezzo dipende sempre dal tipo di modello, comunque in media io prendo circa un milione al mese e un altro milione lo prende la mia socia ma dipende perché se andiamo verso fine stagione il lavoro non cè e ti lasciano senza lavoro perché con il cambio di stagione la produzione cala; rimangono a casa anche in fabbrica però loro hanno la cassa integrazione mentre noi non prendiamo niente neanche la mia socia che è in regola. Ho imparato questo mestiere circa dieci anni fa, avevo trentanni; mi ha insegnato una signora, io sapevo già fare alcune cose perché quando lavoravo in fabbrica e magari non cera lavoro fai anche altre cose. Lavorare a casa, tutto sommato, hai solo le mani e quella macchina là e per esempio a noi è successo che allinizio della stagione scorsa a giugno mi sembra ci avevano dato un modello che se non hai la macchina a colonna non riesci a fare la scarpa e insomma con calma anche se i soldi sono sempre quelli perché se tu ci impieghi una giornata a farne un paio i soldi sono quelli solo del paio e noi ci abbiamo impiegato due giorni a fare dieci paia di scarpe perché non avevamo la macchina per cui là abbiamo perso solo tempo. Ci ho impiegato circa tre anni ad imparare e per questo periodo diciamo che quando vai ad imparare non ti pagano mai, ti danno qualcosa, una mancia però intanto gli mandi avanti il lavoro perché questa signora qua, da cui sono andata per imparare, andava al mercato, faceva i suoi mestieri e tutto quello che doveva fare e intanto aveva cinque o sei ragazze che gli mandavano avanti il lavoro; cioè noi facevamo sessanta paia di scarpe al giorno e lei a volte cera tutto il giorno a volte no. Ho fatto questo lavoro perché in altri settori non guadagni più di tanto e poi anche in fabbrica ti dicono sempre di no perché ormai hai una certa età e quindi non è stata proprio una scelta questo lavoro ma di sopravvivenza perché altrimenti dove andavo a mangiare, bisogna per forza vivere. I vantaggi di questo lavoro è che gli orari te li gestisci tu come vuoi perché ad esempio io quando devo andare via unora vado e poi recupero più tardi e gli svantaggi sono i prezzi che non sono mai adeguati al lavoro legato ad un certo tipo di scarpa che potrebbero essere pagati un po di più, non dico tanto ma quel po di più che comunque insomma anche se è un modello lunghissimo non è che ci prendi molti soldi e devi correre perché ti dicono io ho bisogno, perché loro quando fanno i campioni ne fanno un paio e hanno risolto tutti i problemi però la mistra è quella che deve sempre fare i miracoli perché se loro non mi modificano gli stampi o non fanno il resto a volte io non posso fare i miracoli; io mi sono alzata anche alle quattro una volta per finire il lavoro. Il rapporto con il padrone è normale, non abbiamo mai avuto problemi particolari, sono tutti molto cordiali; abbiamo trovato anche persone che ci hanno chiuso dentro in fabbrica tirandoci un carrello perché non voleva darci i soldi. Quando ci cambiano il modello troviamo qualche difficoltà perché te lo spiegano a voce e tu devi capire che cosa fare e talvolta lavorando le difficoltà tecniche arrivano; loro di solito ti dicono fammene un paio, vieni su e me li mostri però che cosa vuoi che capisca delle difficoltà con un paio perché le difficoltà le incontri quando tu ne fai tante paia. Io lavoro tra la cucina e il salotto però adesso ho intenzione di andare in unaltra stanza là fuori anche per evitare a mia madre di respirare il mastice visto che già respira il fumo; mia madre vorrebbe che non stessi qua perché magari sporco. Non sono contenta di quello che mi pagano perché potrebbero pagarmi di più visto e considerato che le mistre ormai le stanno cercando come fossero mosche bianche perché lestate scorsa è venuto uno a chiedermi se lavoravo per lui; il problema è che quando hanno le orlatrici dovrebbero tenersele strette e pagarle meglio perché altrimenti lo sanno che appena possono gli scappano e infatti una fabbrica a Stanbo sono rimaste senza orlatrici ed avevano una marea di scarpe da orlare e sicuramente alla fine della stagione ci hanno rimesso un sacco di soldi. Non ho mai pensato di abbandonare questa attività perché mi piace e mi dispiacerebbe mollarla e quindi tengo saldo proprio per questo. La mia giornata tipo è questa mi alzo alle otto, ma anche alle sei dipende, cerco sempre di svegliarmi presto, poi faccio colazione e mi metto a lavorare fino a mezzogiorno, dopo si mangia e alle due riprendo a lavorare fino alle sette, sette e mezza, alla sera qualche volta lavoro, dipende se è roba urgente; non si può fare una media mensile dipende dal periodo, ad esempio stasera avrei da lavorare, diciamo due, tre sere al mese, una sera siamo rimasti su fino alle due a lavorare. Io riesco a stabilire il prezzo che mi pagano per le scarpe dopo che le ho fatte perché non puoi capire prima, dipende da quanto ci impieghi a farle. Fabrizia, Claudia, Franca, Chiara ci mostrano un mondo sempre in bilico tra sommerso e regolarizzato nel quale lorlatrice risulta particolarmente flessibile alle esigenze produttive anche perché è un lavoro a cui ci si dedica con attenzione, è una creazione. La professionalità, mai riconosciuta a livello salariale, permette alle lavoranti a domicilio di notare subito le difficoltà di ogni modello e sono esse stesse che talvolta suggeriscono, allimprenditore, le modifiche da applicare per una maggiore linearità del processo lavorativo allinterno della fabbrica. La destrezza e labilità con cui le mistre si adoperano si contrappone alla ripetitività ossessiva che vige allinterno della fabbrica in cui lestrema parcellizzazione del lavoro impedisce la crescita professionale. Tuttavia, è chiaro che dallinterno delle proprie case, nel totale disinteresse delle istituzioni competenti (ispettorato del lavoro, sindacato, ecc.) le orlatrici a domicilio percepiscono una situazione di totale isolamento in cui una delle poche difese a disposizione rimane la ricerca di un altro committente oppure la decisione, sempre difficile, di cambiare lavoro. Allinterno delle imprese, anche quelle più piccole, si inizia invece a registrare lemergere di una più marcata differenziazione sociale con un acuirsi delle tensioni che questi piccoli agenti del capitale tentano di gestire facendo leva sulla coppia formalità ed informalità e sulla tendenziale riduzione degli aspetti lavorativi a rapporti fra conoscenti. E un processo lento, ma la differenziazione di classe anche nelle piccole imprese del miracolato veneto, frutto del tentativo di formare l'unità dei produttori, questa differenziazione comincia a manifestarsi platealmente e la classe operaia non sembra per niente disposta a continuare su quella strada che aveva garantito un ampliarsi dell'occupazione con un aumento del monte salari familiare. |
Questa ricerca rappresenta una prima indagine compiuta in Veneto
e più in particolare nella provincia trevigiana, che sarebbe interessante
approfondire ed estendere ad altre realtà territoriali.
Emerge un ritratto piuttosto chiaro di quella parte del mondo delle cooperative, oggi predominante in termini di occupazione e fatturato che, interpretando nel modo più estensivo le controverse norme riguardanti lappalto di manodopera , va praticando da quasi ventanni un lavoro interinale senza regole; fino ad arrivare, nei casi limite, a nuove e nemmeno troppo celate forme di caporalato. Si è cercato di portare alla luce i vissuti e le condizioni dei soci lavoratori delle cooperative di produzione lavoro e tipo misto , con particolare attenzione ai rapporti tra soci e con le aziende committenti nei luoghi di lavoro. Per arrivare a questo ci si è serviti della collaborazione e delle testimonianze di chi ha affrontato esperienze di lavoro in questo settore; proprio le interviste ai soci sono state forse i più significativi strumenti che hanno permesso di scavare sufficientemente a fondo allinterno del mondo delle cooperative. E a partire dagli anni ottanta che le cooperative iniziano ad inserirsi in quegli spazi del tessuto produttivo delle aziende lasciati vacanti in seguito ai processi di ristrutturazione e terziarizzazione della produzione; oppure, per quanto riguarda il settore pubblico, sono le cooperative di servizi a rilevare quelle funzioni che vengono esternalizzate in seguito al progressivo sgretolarsi dello stato sociale. Le cooperative in questione coprono ruoli cruciali affittando la manodopera dei soci, rispondendo così alle esigenze di flessibilità delle imprese private e degli enti pubblici; appare chiaro, quindi, che le finalità sociali non possano più essere rispettate, essendo incompatibili con criteri di gestione propri di un qualsiasi capitalista privato. Nelle cooperative oggetto della ricerca, il nocciolo duro della compagine sociale è rappresentato da un 10-20% di lavoratori di età media con diversi anni di esperienza nel settore; sono quei soci che hanno scelto il lavoro in cooperativa piuttosto che unoccupazione dipendente, ai quali viene spesso affidata la gestione di una squadra di lavoratori allinterno di un appalto; la discriminazione tra questa minoranza ed il resto dei soci si riscontra sia per quanto riguarda lautonomia di gestione del proprio lavoro, sia per quanto riguarda il salario, nettamente superiore alla media. La maggioranza dei soci è rappresentata invece da chi si trova nella necessità di accettare unoccupazione in cooperativa, almeno temporaneamente: giovani ragazze e ragazzi nellattesa di trovare un lavoro che permetta di sfruttare il titolo di studio conseguito, studenti universitari, studenti medi nei periodi estivi; in questi casi però non sempre la precarietà si risolve in breve tempo, con il rischio che il crescente disagio ostacoli la volontà di miglioramento della propria situazione. Nelle cooperative sono presenti anche individui non più giovani, come ad esempio ex lavoratori dipendenti o autonomi, espulsi dal ciclo produttivo o falliti; sono soggetti che in un mercato del lavoro sempre più selettivo soprattutto in termini anagrafici non possono più essere competitivi; ancora, sono presenti lavoratrici e lavoratori, giovani e meno giovani, appartenenti alle fasce sociali marginali; fino ad arrivare, comè purtroppo ovvio parlando di sfruttamento, ai cittadini immigrati. Sono quindi le fasce deboli ed economicamente ricattabili della popolazione a rappresentare la fonte di reclutamento principale per le cooperative bisognose di forza lavoro. Si distinguono dalle altre le cooperative che svolgono servizi di assistenza e pulizie, nelle quali la compagine sociale è composta in maggioranza da donne che, nella maggior parte dei casi, si avventurano alla ricerca di occupazioni caratterizzate da una flessibilità che permetta di conciliare il lavoro esterno a quello domestico; ma il lavoro in cooperative di questo tipo non risponde alle loro esigenze, essendo concentrato soprattutto in fasce orarie coincidenti con i momenti cruciali della vita familiare. Va assolutamente contrastata lidea che unoccupazione di questo tipo possa permettere alla lavoratrice e al lavoratore di gestire il proprio tempo con una certa discrezionalità; non sono le aziende che si adattano alle esigenze della forza lavoro concedendo flessibilità, è semmai limposizione di questa che vincola i lavoratori alle rigidità delle aziende: è il just in time che richiede flessibilità al lavoro, non il lavoratore che per unesigenza di autonomia impone la produzione snella allazienda. E chiaro nel caso delle donne che si trovano a lavorare per le cooperative di pulizie al mattino o allora di pranzo, così come è chiaro nel caso degli universitari che si vedono costretti a modificare i programmi di studio per adattarli alle esigenze del lavoro in cooperativa. In alcuni casi, soprattutto per quanto riguarda i giovani, è il rifiuto della connessione tra salario e ripetizione routinaria della prestazione lavorativa che indirizza alloccupazione in cooperativa; ma quello che appare un lavoro a opera alla fine non è altro che una forma di cottimo che, in quanto tale, attraverso la concorrenza fra i lavoratori, non fa altro che abbassare il livello medio dei salari attraverso laumento dei salari individuali (dei pochi lavoratori che riescono a superare livelli di produzione già elevati). Le cooperative di produzione lavoro e tipo misto possono offrire una vasta gamma di prestazioni: facchinaggio, trasporti, gestione di magazzini, pulizie, raccolta e smaltimento dei rifiuti, cura del verde pubblico e privato, costruzione, manutenzione e gestione di fabbricati, assistenza ospedaliera e domestica, gestione di mense, spacci e punti vendita, corsi di formazione, gestione di progetti giovani. Secondo le leggi vigenti, il lavoro dei soci nelle aziende appaltanti dovrebbe essere impiegato esclusivamente in funzioni esterne al ciclo produttivo, come ad esempio il trasporto, il carico e lo scarico delle merci, la gestione di magazzini, la pulizia e la manutenzione; non sembra chiaro però come possa essere considerata esterna al ciclo produttivo la movimentazione delle merci in aziende che, nel gestire la produzione decentrata e la strategia del valore, hanno trasformato la logistica e la gestione dei magazzini in settori fondamentali e primari rispetto alla stessa produzione materiale (vedi Benetton). Per aggirare il divieto allinterposizione di manodopera espresso dallarticolo 1 della legge 1369/60, le cooperative che eseguono lavori di produzione diretta per le aziende appaltanti arrivano a costituire linee di montaggio in piena regola allinterno delle proprie sedi, anche se non mancano i casi in cui intere linee interne alle aziende siano fatte funzionare da squadre di cooperatori. La stessa legge vieta espressamente al committente di ingerire nellorganizzazione e nella gestione della cooperativa, ma dalle testimonianze dei soci emerge una realtà in cui lorganizzazione e la direzione del lavoro sono affidate ai capiturno ed ai responsabili del personale delle imprese; in questi casi lunica via di scampo per i soci è quella di affrontare una vertenza sindacale che finirebbe per obbligare limpresa appaltante ad assumerli; ma si possono facilmente immaginare le condizioni in cui si troverebbe a lavorare un ex socio assunto con questa modalità. Le aziende e gli enti pubblici che appaltano il lavoro allesterno, oltre a ridurre i dipendenti diretti e quindi una quota dei costi fissi, mettono allo stesso tempo in concorrenza tra loro i lavoratori ricavando così ulteriori benefici. La logica praticata dagli appaltanti è quella del massimo ribasso dei prezzi; questo vale sia per le industrie private che per le aziende pubbliche, con la differenza che per le seconde non peggiora solo la qualità del lavoro, ma come conseguenza di questo primo peggioramento si verifica inevitabilmente un peggioramento del servizio, provocando un danno diretto alla collettività; un esempio può essere quello dellassistenza domestica svolta in massima parte da donne che, in conseguenza allapplicazione del massimo ribasso nellappalto, si trovano a percepire circa 6.500 lire lora; condizioni che spingono a cambiare lavoro quanto prima, costringendo lutente a vedersi entrare in casa sempre persone diverse. Il lavoro delle cooperative ha nella disponibilità alle esigenze della produzione la sua ragion dessere. Queste esigenze di flessibilità sono fondamentali sia nelle piccole imprese, vincolate alle variazioni della domanda, sia in settori della grande industria in cui è poco conveniente la standardizzazione delle mansioni e dei tempi. In base a questi imperativi i dirigenti decidono dove muovere intere squadre di cooperatori, quale lavoro far loro svolgere, in quali orari e turni; il socio, a causa della debole protezione di cui può godere e del bisogno economico, non può far altro che subire le decisioni prese da altri; quella che formalmente dovrebbe essere una caratteristica fondamentale del rapporto societario nella cooperativa, cioè limprenditorialità collettiva, nella realtà rimane solo unutopia. Tutto questo produce un elevato turnover dei soci nei vari posti di lavoro, anche se per una limitata élite il posto rimane lo stesso dallinizio alla fine di un appalto (quindi a volte anche per anni). Per la maggioranza dei lavoratori, invece, la stabilità massima può arrivare a qualche mese di permanenza in uno stesso luogo di lavoro; i disagi derivanti da una simile situazione sono molteplici: dalla perdita di numerosi giorni di lavoro in un anno, alla continua necessaria ricostruzione di rapporti sociali sul luogo di lavoro, solo per fare due esempi. Naturalmente trasferte e spostamenti verso il luogo di lavoro sono a carico del cooperatore e non vengono considerati tempo lavorato; alcuni soci intervistati hanno fatto notare che negli appalti peggiori non è nemmeno possibile mangiare nella mensa dei dipendenti dellazienda; in questi casi si è costretti ad accontentarsi di uno spuntino portato da casa. In alcune cooperative di produzione lavoro la maggioranza dei soci è costituita da immigrati che spesso, non disponendo di un mezzo di trasporto, vengono portati al lavoro con i furgoni delle stesse cooperative; alle sei di mattina i piazzali delle stazioni ferroviarie si vedono trasformati in punti di raccolta per decine di cittadini extracomunitari in attesa che gli automezzi dei nuovi caporali arrivino a prelevarli; ma nei periodi in cui la domanda di lavoro scarseggia accade frequentemente che alcuni di loro si presentino in vano per diversi giorni. Lo scopo principale delle cooperative di produzione lavoro dovrebbe essere di tipo mutualistico: per loro natura dovrebbero quindi permettere ai soci di ottenere condizioni economiche, professionali e sociali migliori rispetto a quelle disponibili sul mercato; ma il ragionare in termini esclusivamente imprenditoriali ha portato al progressivo offuscamento di questo scopo, parallelamente allaumento dei profitti dei gruppi dirigenti delle società. La stessa figura del socio è molto ambigua: da un lato è socio di capitale, dallaltra è un dipendente. La sua remunerazione è costituita da compensi periodici, che formalmente vanno intesi come acconti rispetto al risultato annuale della gestione; secondo la legge, se il cooperatore percepisce una paga fissa periodica, il suo reddito va equiparato a quello di un dipendente per quanto riguarda lassoggettabilità ai contributi assistenziali e previdenziali; lo stesso discorso vale per lorario di lavoro, il riposo settimanale, i licenziamenti collettivi, la cassa integrazione e la mobilità; ma se lequiparazione descritta è valida ad esempio per lInps, lorientamento della giurisprudenza considera il rapporto di lavoro cooperativo come esecuzione di un patto sociale, quindi completamente estraneo alla fattispecie del lavoro subordinato. Il difficile inquadramento del rapporto di lavoro del socio, insomma, lo priva di quelle tutele processuali che sono invece garantite agli altri lavoratori. Spesso i dirigenti delle cooperative sfruttano queste ambiguità per imporre condizioni del tutto arbitrarie: salari dingresso per i nuovi soci; straordinari, festivi, notturni e ferie che non vengono pagati; trattamento di fine rapporto non riconosciuto. Sono pochi gli esempi in cui i trattamenti salariali sono stabiliti sulla base dei contratti collettivi nazionali dei settori in cui si svolge prevalentemente lattività della cooperativa; e in questi pochi casi è difficile reggere la concorrenza con chi applica esclusivamente la logica del massimo ribasso. Il momento societario più importante nella vita della cooperativa è lassemblea annuale, durante la quale viene approvato il bilancio, vengono stabilite le quote di utili da ripartire tra i soci e i compensi degli amministratori, viene nominato il consiglio di amministrazione che dirigerà la società per il periodo successivo. Dovrebbe essere quindi loccasione in cui la compagine sociale partecipa alle decisioni; in realtà, soprattutto per le cooperative con centinaia di soci, è il momento in cui i soci lavoratori si rendono definitivamente conto della loro impotenza nei confronti dei dirigenti. Anche i più combattivi sono costretti a ripiegare rispetto alle loro rivendicazioni, perché difficilmente riescono a trovare lappoggio della maggioranza dei loro colleghi, timorosi delle conseguenze che potrebbe avere una loro opposizione alla linea della dirigenza. Peraltro, sono pochi i cooperatori che conoscono i loro diritti, sanciti dallo statuto costitutivo, che assume anche il valore di contratto tra i soci; in molti casi, ed è facile capire perché, le cooperative non si preoccupano eccessivamente di diffonderlo. Lo stesso statuto prevede solitamente la distribuzione di premi annuali ai soci, i quali però, ignorando questa possibilità, non sono in grado di rivalersi nei confronti degli amministratori nel caso in cui i premi non vengano distribuiti. I dipendenti delle cooperative sono soggetti negati perché atipici: privati della loro autonomia alla stregua degli altri lavoratori dipendenti, non possono ricevere sufficiente tutela dal sindacato, ancora incapace di indirizzare la sua iniziativa allesterno della fabbrica tradizionalmente intesa; solo con lazione individuale possono affrontare le conseguenze della precarietà in cui sono costretti, nellattesa che, chi si sente in dovere di sostenerli, fornisca loro nuovi strumenti con i quali si possano emancipare. A. Brentel, L. Enzo, G. Merotto, S. Mestriner
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Uno degli obbiettivi che ci eravamo posti, come circolo, era quello
di coinvolgere in una nuova forma di lavoro politico quanti più
compagni possibile sia del circolo che di altre realtà territoriali
della regione, ma che soffrono di un isolamento organizzativo e politico
nella loro realtà lavorativa. Inoltre volevamo farci conoscere anche
dove non eravamo mai stati presenti con iniziative di circolo. Linchiesta
ha raggiunto questi obbiettivi anche se, proprio per le premesse esposte,
si è dilungata oltremodo.
Le reazioni dei lavoratori sono state diverse: sospettosi o indifferenti alcuni, entusiasti di essere consultati da altri. Sulle domande che riguardavano direttamente le OO.SS si è avuto il massimo di astensioni nelle risposte (più del 10%), comunque possiamo affermare che, mediamente, è stato accolto favorevolmente anche se con scetticismo sulla sua utilità. I dati emersi sono stati oggetto di analisi e di dibattito nel circolo e di essi si terrà sicuramente conto nelle nostre future iniziative. Non ci nascondiamo che qualche sorpresa labbiamo avuta e qualche dato deve ancora essere compreso, ma questo semmai dimostra la validità dellinchiesta come conoscenza. Alcuni dati che fanno da scenario allinchiesta.
Il giudizio sulle prospettive dellENEL.
Il giudizio sulle OO.SS..
Lorario di lavoro
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di Gianni Alasia e Domenico Martelli
Linchiesta che viene promossa con questo Questionario è rivolta
al personale medico, infermieristico, di laboratorio e amministrativo.
Essa verte sulla loro prestazione di lavoro ed è finalizzata ad
accertare quale rispondenza cè fra lattività dei vari operatori
sanitari e le esigenze dei cittadini e lavoratori utenti.
Supporto fondamentale dell'inchiesta dovrà essere il Partito nelle sue organizzazioni ospedaliere, nei circoli territoriali di giurisdizione di strutture sanitarie, e negli Amministratori comunali ai vari livelli (regionali, comunali, provinciali). Liter operativo sarà: a) riunione dei Comitati politici di federazione allargati alle segreterie
dei circoli, per il lancio della inchiesta
Verrà distribuita una lettera aperta di larga diffusione cosicchè l'inchiesta avrà due momenti paralleli, l'uno più specialistico e mirato, l'altro più di massa e informativo. Nelle pagine successive dell'edizione su carta pubblichiamo il questionario che il PRC ha distribuito tra gli utenti del servizio sanitario |
La società Whirlpool Italia S.r.l. viene definita nella terminologia
burocratica, esercente lattività di produzione e commercio di
impianti ed apparecchiature sul settore dei grandi elettrodomestici bianchi.
In pratica rappresenta il principale gruppo al mondo nella produzione e
distribuzione di elettrodomestici bianchi, con una produzione di 920.000
pezzi lanno.
La Whirpool si insedia in Italia alla fine degli anni 80, rilevando dal mercato prevalentemente europeo lallora colosso olandese Philips, che a sua volta prelevava il marchio Ignis, nato negli anni 40/50 come prodotto quasi esclusivamente italiano, che nei primi anni 70 occupava circa 15.000 addetti. Alla fine degli anni 80 la Whirlpool, un colosso americano con sede nel Michigan (Usa), per acquisire una leadership su scala globale, sigla una joint-venture con la Philips, costituendo così un gruppo leader mondiale nel settore degli elettrodomestici e, specificatamente, nel settore freddo per quanto riguarda lItalia, con un mercato che si estenderà quasi esclusivamente nella cosiddetta zona del marco. La potenza occupazionale della Whirlpool si esprime attraverso 11.000 dipendenti in Europa e 6000 in Italia, nelle varie sedi di Varese, Napoli e Siena, oltre allo stabilimento di Trento (Spini di Gardolo) che occupa quasi 1.000 dipendenti, nei vari reparti di stampaggio e verniciatura lamiere, di lavorazione delle materie plastiche e dellespanso, di preparazione delle serpentine, serigrafia, cablaggio, premontaggio e montaggio, oltre allaccettazione e al carico. Dopo numerosi contatti con questa realtà produttiva particolare rappresentata dalla Whirlpool in un territorio come quello trentino da sempre caratterizzato da aziende di piccole e medie dimensioni, è emersa la necessità di conoscere ed agire in una azienda in cui la trasformazione del tessuto economico-produttivo e i processi di ristrutturazione hanno inciso ed incidono maggiormente sulle condizioni di lavoro e di non-lavoro, aprendo nuovi e più alti livelli di contraddizione del sistema, per conoscere, agire, cambiare. I circa 1.000 lavoratori occupati alla W. di Spini di Gardolo provengono in particolare da zone caratterizzate da unesigenza di emigrazione della forza lavoro (Val di Non, Val di Cembra, Valsugana) e in percentuale minore dal capoluogo. Negli ultimi anni si è verificato un aumento dellimpirego di giovani e studenti alla prima esperienza di lavoro, in qualità di stagionali, a cui vengono imposti ritmi di lavoro ancora più pesanti. I lavoratori più adulti in genere provengono da altre realtà industriali ed il loro inserimento viene agevolato da rapporti di parentela o conoscenza con altri dipendenti dellazienda. Si registra anche una forte presenza della componente femminile che lavora meglio e di più, ma a cui non vengono risparmiate offese e maltrattamenti. Alla fine del 97 lazienda aveva annunciato che avrebbe proceduto allassunzione di 50 persone, ma in pratica si trattava di contratti a termine, che prevedevano lavoro al sabato, alla domenica o di notte con qualsiasi orario, secondo le esigenze produttive aziendali e nel rispetto della massima flessibilità. Ormai infatti i lavoratori vengono assunti con tutti i tipi di regime orario, stabiliti senza la minima regolamentazione: notte/giorno, sabato/domenica, per un mese, per 2/4 mesi, oltre al massiccio ricorso al contratto di formazione, che implica un lavoro non qualificato con mansioni che non corrispondono allinquadramento effettivo e con una ulteriore pressione psicologica rappresentata da una selezione molto dura che si basa su una specie di pagella di valutazione attribuita dallazienda in base alla manualità, alla produttività, alla presenza sul luogo di lavoro, alla disponibilità e così via, oltre al giudizio del proprio reparto sul grado di disponibilità. La situazione occupazionale è quindi completamente in balia delle esigenze produttive. Il tutto per aumentare la produttività con espedienti come laumento delle fasature attraverso modifiche non concordate con i delegati di linea, ma stabilite univocamente dalla Commissione tempi e metodi, che si occupa di definire la tempistica delle varie lavorazioni e la relativa cadenza. Ai giovani neo assunti, spesso figli o parenti dei lavoratori più diligenti, vengono poi richieste subdolamente fasature maggiorate (aumento dei ritmi) che finiscono per penalizzare gli altri lavoratori anche dal punto di vista della sicurezza, causando un aumento indiscriminato dei ritmi di lavoro con maggiori rischi di infortuni senza alcun controllo o verifica da parte del sindacato. Non a caso la maggior parte degli infortuni più gravi sono a carico dei giovani, che non possono lavorare con la necessaria tranquillità, ma sono costretti a trascurare il necessario recupero in termini di ferie e riposi settimanali. Per di più, il lavoratore che non si dimostra disponibile ad effettuare gli straordinari spesso richiesti dallazienda o ad aumentare il ritmo va incontro a minacce ed intimidazioni, oltre che a provvedimenti disciplinari come lettere di richiamo, multe e sospensioni, sanzioni che comunque vengono applicate in modo piuttosto arbitrario, creando così operai di serie A e operai di serie B. In azienda quindi il clima è teso e difficile, fra i colleghi e con i superiori, rendendo ancora più ardua la comunicazione e il passaggio di informazioni tra i lavoratori stessi. Anche gli scatti di anzianità e lattribuzione di incentivi non avvengono in base alleffettivo merito del lavoratore, ma come concessione di favoritismi. In nome della flessibilità i carichi di lavoro diventano sempre più pesanti, i ritmi sempre più pressanti, fino ai tentativi operati dallazienda di trasformare i diritti acquisiti (pausa mensa, cambi e agevolazioni per i trasporti) in privilegi e al ricatto delloccupazione in cambio di una flessibilità ancora maggiore. In pratica bisogna quasi guadagnarsi le pause producendo un numero maggiore di pezzi, che compensino quelli non prodotti durante lassenza dal posto di lavoro. La flessibilità colpisce duramente la vivibilità dei lavoratori, ed è la causa del ritmo stressante necessario per mantenere la produttività elevatissima (+ 5% nel 96, + 6% nel 97, con previsioni di incremento del 7,2% nel 98). Secondo laccordo integrativo del 95, poi anche il salario è legato alla produttività aziendale, quindi al raggiungimento di obiettivi stabiliti allinizio dellanno, dal momento che il cosiddetto premio di risultato è legato ad indici produttivi variabili e viene commisurato alla produttività e alla qualità raggiunta dalla produzione, calcolata mediante il cosiddetto C.S.Q. con collaudi a campione. Tutto questo si traduce nella necessità di produrre alla catena di montaggio la stessa quantità di pezzi in un tempo minore, cosa che va a scapito delle condizioni di vita e di lavoro, con carichi maggiori e orari annui superiori alle 42 ore settimanali medie. Il clima, nei posti di lavoro, è caratterizzato da un senso di impotenza, di apatia crescente, dal momento che ai lavoratori della Whirlpool di Trento (ma è una situazione nazionale) viene negata ogni possibilità di ribellione o di libera organizzazione. Dopo una serie di famigerati accordi imposti dallalto, e non sottoposti ai lavoratori, formalmente si è passati alla cosiddetta politica di concertazione, con la presenza in fabbrica di una struttura di rappresentanza sindacale, composta da persone scelte appositamente tra le meno preparate, funzionabilissime agli interessi del padronato, da cui è conseguito un veloce decadimento di cultura sindacale dentro la fabbrica ed il via libera a qualsiasi tipo di accordi capestro, anche giuridicamente illegali. Le poche assemblee generali servono solo per esporre proposte preconfezionate da azienda e sindacato, che non tengono conto, se non marginalmente, delle esigenze dei lavoratori. Si è così arrivati alla sottoscrizione nel 97 di un accordo ferie che prevede il superamento delle 8 ore giornaliere e delle 40 settimanali, la cancellazione delle maggiorazioni per lavoro straordinario previste dal CCNL, lannullamento della maggiorazione del 15% per lavoro notturno dalle 22 alle 22.30, la manomissione delle pause mensa epe bisogni fisiologici, con la possibilità per i lavoratori di scegliere liberamente soltanto sei giornate di ferie allanno. Le recenti dichiarazioni del Presidente della Whirlpool Europe, non fanno che rendere ancora più difficili le prospettive future per i lavoratori Whirlpool. La produzione dei 300.000 frigoriferi per lincasso sarà integralmente dirottata a Spini di Gardolo, che a sua volta cederà a Cassinetta una parte della propria attività attuale. Secondo le previsioni la produzione annua di Trento dovrebbe passare da un milione e centomila pezzi, saturando gli impianti. In provincia di Trento poi l'azienda trova terreno particolarmente favorevole potendo facilmente fare ricorso ai finanziamenti pubblici (nel 1997 la W. ha ottenuto dalla Provincia Autonoma di Trento un finanziamento di oltre 3 miliardi per un progetto di ammodernamento della durata di 5 anni e di oltre 18 miliardi per un progetto di ristrutturazione industriale sempre della durata di 5 anni) utilizzati per comprimere al massimo i costi. La Whirlpool aprirà inoltre entro un paio danni uno stabilimento nei paesi dellEst, confermando la tendenza alla delocalizzazione della produzione in aree dove il costo del lavoro è pari ad un sesto di quello del resto dEuropa. Sebbene poi le dimensioni dellimpianto di produzione dellEst saranno calibrate per quel mercato, non è escluso che in futuro i suoi prodotti vengano esportati nel resto dEuropa. Ancora più preoccupanti le dichiarazioni dei dirigenti Whirlpool secondo cui gli investimenti dellazienda non sono volti ad aumentare, ma a migliorare la capacità produttiva degli impianti attuali, il cui futuro è però condizionato dalla loro produttività. Ecco perché, se per limmediato le prospettive per lo stabilimento di Trento sono favorevoli, nel medio periodo ci sono serie incognite da non sottovalutare, tenendo anche presente che attualmente la W. a livello europeo esprime lesigenza di una riduzione occupazionale di 4.500 addetti. Anche in Italia si sta introducendo lidea di concorrenza tra i singoli stabilimenti ed in particolare con la casa madre di Varese, un ricatto padronale per alzare fino al limite della resistenza i livelli di produttività individuali. In ogni caso le reazioni dei delegati CGIL alle dichiarazioni dei vertici della Whirlpool hanno provocato una rottura tra i lavoratori impegnati sindacalmente nei COBAS, i quali sono passati per protesta alla CISL. Il sindacato è diventato agli occhi dei lavoratori organo subalterno al volere aziendale, in cambio di inconsistenti contropartite sigla accordi assolutamente negativi per gli interessi dei lavoratori, di cui questi ultimi vengono a conoscenza soltanto a posteriori, con una assoluta mancanza di trasparenza e democrazia nei rapporti, che provoca scarsa tutela e informazione. di Guido Gasperotti e Giorgio Tiziano
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