Commento

Mimmo Provenzano RdB/CUB Pubblico Impiego

 

Chiamati a commentare i risultati di una inchiesta condotta tra i lavoratori del pubblico impiego dal Dipartimento Lavoro della Federazione romana di Rifondazione Comunista, il primo elemento che vogliamo mettere in risalto è il ritorno al metodo dell’inchiesta, uno strumento da troppo tempo desueto ma straordinariamente importante di conoscenza e di verifica e/o di costruzione di una politica nei confronti di un mondo troppo spesso trascurato o liquidato, anche a sinistra, come sacca di privilegi e, al contrario di quanto dimostrano gli esiti di questa iniziativa, senza coscienza di classe.

 

Già solo per questo una iniziativa lodevolissima!

 

Non sappiamo quale tipo di utilizzo, Rifondazione Comunista, voglia fare delle risposte al questionario fornite dai lavoratori sulle loro condizioni e le loro aspettative ma è certo che quelle risposte testimoniano una straordinaria disponibilità ( specie se si considera che a gestire il questionario sono state persone chiaramente schierate e che RC non ha certo nel pubblico impiego il bacino privilegiato di consenso ), sollecitano attenzione da parte della politica, interrogano pesantemente il sindacato, noi stessi che pure ci affanniamo a dare rappresentazione e risposte concrete a quel sentire diffuso.

 

E’ un dato che va tenuto in seria considerazione proprio per la dimensione universalistica dell’inchiesta. Non si tratta, infatti, di un campione di "addetti ai lavori" o di lavoratori schierati da una parte sola ma ha caratteristiche trasversali.

 

Condotta a fine 2001 e all’inizio del 2002, l’inchiesta rischia di apparire un po’ datata ed è, invece, ancora attualissima, almeno per due motivi:

perché non è cambiato, di sicuro non in meglio, il quadro di riferimento delle condizioni di lavoro;

perché l’orientamento dei lavoratori è oggi semmai più consapevole e più netto perché hanno preso più sembianza e più corpo le trasformazioni che aggrediscono la dimensione pubblica dell’amministrazione dello Stato.

 

L’attendibilità dei risultati, oltre che per le considerazioni svolte dal gruppo di lavoro, è rafforzata dalle diverse caratteristiche dei luoghi di lavoro prescelti per ruolo, funzioni e competenze e per una diversa distribuzione dei carichi di lavoro.

Riteniamo sia estremamente utile "restituire" i risultati dell’inchiesta a coloro che hanno contribuito con le loro risposte al questionario e a tutti i lavoratori da loro rappresentati.

Da parte di ognuno di loro vedere che nelle proprie risposte si riconoscono tanti altri non può che rafforzare lo spirito di classe, i tratti d’identità che emergono per molti versi (identità che continua ad essere aggredita di continuo) e contribuire a sconfiggere, così, il pessimismo e la frustrazione.

La lettura dei risultati, anche solo ognuno di per sé, risulta oltremodo intrigante ma in questa sede, anche per ragioni di spazio, ci limitiamo a commentarne solo alcuni.

 

Senza per questo metterci al riparo da ogni possibile critica, ritroviamo nelle risposte la conferma della nostra stessa lettura della situazione e l’articolazione della piattaforma che la RdB P.I. propone ai lavoratori in tema di riforma della Pubblica Amministrazione e dello Stato Sociale, di salario, ordinamento professionale, organici, precariato, democrazia sindacale, ecc.

 

Può apparire un‘affermazione interessata ma non la facciamo né per iattanza, né per caso ma perché frutto, oltre che di una scelta, di una necessità.

Un’organizzazione sindacale come la nostra, che non vive di clientelismo o di rapporti con il potere politico a qualsiasi titolo, è costretta, per ritrovare e rinnovare le ragioni della sua stessa esistenza, a fare inchiesta giorno per giorno.

 

Ci sembra, viceversa, che il quadro che emerge dall’inchiesta sia un forte atto di accusa alla politica adottata fin qui dai governi di centrosinistra prima e di centrodestra oggi verso la Pubblica Amministrazione e alla politica concertativa, che non accenna ad alcun cambiamento, assunta da Cgil, Cisl e Uil in primo luogo.

 

Da qui anche il pessimismo e l’incertezza di futuro che emerge dall’inchiesta, un dato che però non va letto come caratteristico del pubblico impiego ma come rappresentativo di un disagio che riguarda l’intera società, una società oramai malata di angoscia del futuro.

E’ un’angoscia causata dalla precarietà crescente, dalla demolizione di ogni tipo di tutele e diritti che causano, come viene giustamente messo in rilievo, scomposizione e frammentazione del mondo del lavoro e accentuano il senso d’impotenza.

 

Anche a questo sentimento è riferibile la frustrazione, certo anche per il proprio lavoro avvertito come "disconosciuto" dai più, soprattutto, però, per il contrasto con la "sapienza" accumulata in fatto di amministrazione pubblica, dei mali che l’affliggono, dei tanti sprechi e inefficienze organizzate, dei suggerimenti sui possibili rimedi inascoltati, per il fatto, insomma, che è stato impedito loro di farsi protagonisti di un vero processo di riforma della Pubblica Amministrazione nel quale convivano convergenti gli interessi dei dipendenti e quelli degli utenti.

 

Una considerazione che rimanda in primo luogo al ruolo del sindacato drammaticamente messo in luce da quel 94% che chiede, indicandone la strada, al sindacato di cambiare.

Quel 43% che denuncia i troppi legami con i vertici degli enti mette in rilievo, al tempo stesso, le pratiche clientelari dominanti e rivendica autonomia di classe.

Crediamo vadano collegate la richiesta di maggiore progettualità con la denuncia degli scarsi risultati conseguiti, nel senso che la mancanza di una politica alta accompagnata ad una pratica di subordinazione indebolisce la capacità rivendicativa.

La richiesta di strumenti di rappresentanza più diretti marca un deficit di democrazia e di protagonismo diretto sempre più sofferto.

Il riconoscimento dello sciopero come lo strumento più idoneo per risolvere il conflitto, tenendo conto che in tal senso si è espresso il 70%, boccia clamorosamente la pratica della concertazione.

L’insieme delle risposte su questo tema, crediamo che esprimano un’idea alta che i lavoratori hanno del sindacato e del loro rapporto con esso.

E quel 45% che chiede maggiore unità non crediamo vogliano mettere assieme cose tra loro inconciliabili, disegnano, invece, il terreno della progettualità, del programma e della pratica che dovrebbe caratterizzare l’agire sindacale.

 

I lavoratori vogliono, insomma, IL SINDACATO.

Uno strumento che sia la loro casa, lo strumento in grado di interpretare i loro bisogni, di rappresentare ed affermare i loro interessi, di dare un orizzonte alle loro ambizioni.

Un sindacato democratico, conflittuale ed indipendente, UN SINDACATO DI CLASSE!

 

Forse è per questo che, proprio in questo settore del pubblico impiego, sia nata, oramai da un quarto di secolo, la prima esperienza del sindacalismo di base, che questa presenza si sia radicata e irrobustita ed è forse anche per questo che continui a sopravvivere e a resistere un orientamento così avanzato.

 

Questo commento è scritto mentre è ancora in pieno corso la stagione dei rinnovi contrattuali.

Una stagione che ha avuto inizio, pressappoco quando si è chiusa l’inchiesta, con l’accordo del 4 febbraio 2002 che la RdB non ha firmato.

In quell’accordo non solo non troviamo risposte, nemmeno ad alcuno dei problemi sofferti dai lavoratori, ma semmai vengono accentuati gli elementi di sofferenza.

Perché quell’accordo è esattamente antitetico al quadro emerso dal questionario.

Al primo punto di quel protocollo d’intesa è richiamato solennemente il rigoroso rispetto degli accordi di luglio ’93 sulla politica dei redditi che in questi dieci anni ha comportato una drastica riduzione dei salari reali.

Era previsto che il salario andasse a remunerare prevalentemente ed in modo selettivo la produttività.

Con quell’accordo si da il via libera ai processi di riordino, fusione o soppressione degli enti voluti dal Governo in cambio di un tavolo di confronto sulle ricadute occupazionali!

Si da il via libera alle esternalizzazioni e al più generale processo di smantellamento dell’amministrazione pubblica.

 

Nel frattempo si sono chiusi due contratti ridotti al rango del rinnovo del biennio economico, quello del personale dei Ministeri e della Scuola, che rappresentano l’applicazione concreta di quell’accordo e solo su un punto, peraltro non irrilevante, il nostro impegno, gli scioperi e le mobilitazioni dei mesi scorsi, hanno prodotto risultati: ha rovesciato il rapporto tra salario tabellare e accessorio ed imposto, anche se di poco, ulteriori stanziamenti.

 

Tutto il resto è ancora terreno di conquista, a partire dalla richiesta, pervicacemente respinta anche dalla Cgil, che su quegli accordi si pronuncino i lavoratori interessati.

 

Infine, due temi che proprio in questi giorni sono di grande attualità: pensioni e articolo 18.

 

Il dato di partenza è che una solidissima maggioranza, dal 73% al 76%, si esprime contro l’abolizione delle pensioni di anzianità, contro la trasformazione del TFR in pensione complementare e contro l’abrogazione dell’articolo 18.

 

Una straordinaria espressione di volontà che va tradotta in forte capacità d’iniziativa pratica, qui ed ora.

 

A rafforzare la necessità e l’urgenza di farlo ci ha pensato ieri l’altro il presidente di Confindustria, D’Amato.

Nella sua relazione all’assemblea annuale degli industriali ha dettato al governo i temi della sua agenda:

 

- Riforma delle pensioni prima del varo della legge finanziaria, taglio delle pensioni di anzianità e decontribuzione per i nuovi assunti, un modo fin troppo scoperto per dire che va smantellato il sistema pensionistico pubblico.

 

- Le risorse così rastrellate vanno destinate alla riduzione delle tasse sulle imprese, Irap e Irpeg, ed il giorno dopo il ministro Tremonti risponde: FATTO!

 

- Indicando a modello la "riforma" della Scuola, in realtà l’avvio della privatizzazione del sapere e dell’asservimento all’impresa, chiede che venga accelerato e irrobustito il processo di smantellamento della Pubblica Amministrazione.

 

- Chiede che vengano ridotti i salari della casta, dice proprio così, dei dipendenti pubblici.

 

- Dulcis in fundo, invita a boicottare il referendum sull’articolo 18 perché è a partire da quella sconfitta è possibile passare alla successiva fase di attacco.

 

Come vedete tutto si tiene!

La più brutale espressione della peggiore razza padrona assistita e parassita che, ignorando l’ormai evidente crisi di un modello economico basato sul taglio dei salari e dei diritti, punta solo ad imporre un comando privo di consenso.

 

Abbiamo a portata di mano un’occasione straordinaria e nel breve irripetibile, il referundum.

 

Tralasciando tante altre importanti considerazioni, siamo nella condizione d’invertire la tendenza, di passare dall’arretramento passo dopo passo all’attacco.

 

E’ importante il più massiccio impegno di tutti per ottenere il quorum e la vittoria del SI, a partire da quella vittoria è possibile rovesciare l’ordine dell’agenda!