Perché un’inchiesta nel Pubblico Impiego

A cura di Vittorio Mantelli

Perché un'inchiesta nel pubblico impiego? Il pubblico impiego interessa nel nostro paese circa centinaia di migliaia di addetti. Spesso questi lavoratori diventano i bersagli naturali dell'attacco al "pubblico" anzi su di essi viene costruita tutta una mitologia che ci parla di inefficienza-assistenzialismo in contrapposizione ad un privato efficiente. In realtà dopo aver provveduto a privatizzare il rapporto di lavoro nel pubblico impiego e dopo aver introdotto il lavoro interinale, si è realizzata in questo settore la declinazione di tutte le forme del precariato che la legislazione consente: i fenomeni di esternalizzazione, outsourcing, ecc. sono già una realtà ... niente di fronte agli affondi della finanziaria 2003 dove è prevista anche la privatizzazione degli enti di ricerca. Anche il comparto degli "Enti Locali" con il referendum federalista subirà una forte deregolamentazione in ordine alle "competenze" e al contratto. Per questo come Gruppo Inchiesta abbiamo ritenuto dare priorità ad un’indagine nel settore del Pubblico Impiego e degli Enti Locali..

Le condizioni reali di questi lavoratori c'interessano molto. E questa realtà ha a Roma, ovviamente, il suo peso specifico … sotto tutti i punti di vista: l’inchiesta vuole essere appunto l'inizio di una relazione tra il partito e questo grande numero di lavoratori.

L’indagine è stata realizzata in collaborazione con diverse realtà sindacali e semplici simpatizzanti operanti in azienda, procedendo dapprima con la distribuzione di un volantino in cui si è presentato lo scopo, avendo cura di sottolinearne il carattere anonimo. Infatti dall'esperienza FATTA in precedenza sapevamo che il momento più delicato insieme all’informazione preventiva (vedi volantino) era la programmazione-studio-articolazione del momento della raccolta dei questionari. Fase che andava costruita innanzitutto con una rete informale di rapporti nel posto di lavoro, "rete" fatta da compagni r.s.u. e non solo, che avrebbe reso la penetrazione dell'inchiesta più efficace, facendo in modo che l'iniziativa arrivasse in profondità costruendo nel vivo un insieme di "rapporti reali" con i lavoratori, rapporti fino a quel momento non esistenti. Non è possibile infatti pensare ad un lavoro d'inchiesta senza la creazione di rapporti/rete che lo preceda. Un secondo aspetto di rilievo è l'impegno, una sorta di "feedeeback", che il Partito assume con i lavoratori e che consiste nel tornare sui luoghi di lavoro per presentare i risultati (in questo caso nella primavera del 2003), in un incontro pubblico.

Dall'Inchiesta al Progetto.

La presentazione pubblica oltre a rappresentare la sintesi ci consegnerà l'opportunità concreta, reale, di agire politicamente partendo dai bisogni, insieme ai lavoratori. E’ un lavoro di analisi che ci aiuterà a individuare obiettivi e aprire vertenze, a definire percorsi di ricomposizione.

Percorsi che ripartendo dalle nuove condizioni (libro bianco - finanziaria 2003 - attacco alla previdenza, ultimo presidio collettivo del welfare state, ecc) riescano a rimettere in gioco una politica EFFICACE nel difendere le condizioni dei lavoratori. Partendo dalla discussione che si aprirà sui dati dell’inchiesta vogliamo interloquire con tutti (OO.SS, forze politiche, lavoratori e lavoratrici) sapendo, come si può evincere dalla prima lettura dei dati, che nei luoghi di lavoro si ha ben chiaro la necessità di un percorso di ricomposizione di classe: traspare infatti una rinnovata soggettività del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici a cui spesso però le stesse OO.SS, troppo ripiegate su stesse, hanno fanno da "tappo" bloccando questo processo in "fieri". Lo scenario poi che nei prossimi mesi si aprirà sui temi affrontati dal libro bianco di Maroni è tale da cambiare sul versante legislativo-contrattuale il lavoro nella pubblica amministrazione e più in generale in tutti i settori (vedi la discussione attuale sull’aumento dell’orario di lavoro nel pubblico impiego a 40 ore). Obiettivo dichiarato è la fine dei C.C.N.L. per i rapporti di lavoro individuali, l'abolizione dell'ART.18, cosi come quello del diritto di sciopero. Ciò svela la natura profondamente di classe di questo attacco e il primo passo per rispondere efficacemente è fare uscire questi lavoratori dal senso di impotenza a cui una condizione individuale li condanna. E' questo lo "spazio politico" che il partito deve riempire per fare il salto verso la costruzione di un vero partito di massa. In questo percorso l'inchiesta sarà lo strumento di orientamento per raggiungere questo obiettivo!

Essendo il pubblico impiego presente nelle aree metropolitane e in tutti i capoluoghi di regione e di provincia, occorrerà generalizzare su larga scala l’inchiesta nel pubblico impiego () poichè questo ci consentirà di avere per la prima volta la conoscenza delle condizioni reali di un segmento ancor più importante oggi perché sotto attacco sia dal punto di vistra contrattuale sia perché investito dai processi di esternalizzazione e ridimensionamento frutto delle logiche federaliste.

L’Inchiesta sul Lavoro nel Pubblico Impiego

Una prima lettura dei dati raccolti

a cura del Gruppo Inchiesta della Federazione di Roma

Il Dipartimento Lavoro della Federazione romana del Prtito della Rifondazione Comunista ha promosso tra fine 2001 e inizio 2002 un’inchiesta sul pubblico impiego per conoscere le condizioni e le aspettative di quanti operavano e operano in un settore pubblico.

E’ stato a tal fine predisposto e diffuso un questionario, per un totale complessivo di 69 domande, che toccava diverse tematiche quali: efficienza delle strutture, sicurezza, tutela sindacale, rapporti con l’utenza.

La somministrazione e la raccolta è stata effettuata in cinque enti, tre della previdenza (INPS, INPDAP, INAIL), l’Istituto per il Commercio con l’Estero (I.C.E.) e l’Istituto Zooprofilattico del Lazio e della Toscana. In totale sono state interessate 12 sedi, 6 luogo di direzione centrale e 6 territoriali. Nell’opera ci si è avvalsi della collaborazione delle rappresentanze sindacali aziendali, di iscritti al PRC e di semplici simpatizzanti.

Il criterio di intervento è stato di tipo "universalistico" nel senso che la distribuzione e la raccolta ha cercato di coinvolgere tutti i lavoratori interessati.

L’indagine ha interessato un totale di circa 5750 tra impiegati e dirigenti e ha visto la distribuzione effettiva di 4000 questionari. Quelli restituiti compilati sono stati 2127 con una media complessiva di rientro quindi del 53%.

Dei 2127 riavuti 1194 sono stati ottenuti da 6 sedi (due centrali e 4 territoriali) dove operavano in totale 1625 lavoratori: i dipendenti coinvolti sono stati quindi circa il 70% del totale in forza. Questo set di dati è stato preso a riferimento per un confronto con il campione di dati globale.

Le donne hanno rappresentato il 57% del campione a fronte del 43% degli uomini.

La maggioranza degli intervistati (quasi il 98%) è di età superiore ai 30 anni con un 39% superiore ai 50 anni; la fascia giovanile e' poco rappresentata, probabilmente, per le note difficolta' di accesso al pubblico impiego.

Possiede una laurea Il 24% e il 62% è fornito di diploma. Per il 94% il contratto di lavoro è a tempo indeterminato.

Il 14% ha una qualifica dirigenziale, il 22% è impiegato con funzioni di coordinamento e il 63% è impiegato.

Il 45% vive con un solo reddito in famiglia, il 46% ne ha due e il restante 9% più di due.

 

Attendibilità dei risultati

Una conferma dell’attendibilità dell’intero set di dati raccolti e della serietà con la quale i lavoratori hanno liberamente risposto alle tematiche poste può ricavarsi da una serie di considerazioni:

l’aver riscontrato una sostanziale uniformità, nel tipo di risposta fornito alle varie domande, confrontando i dati di riferimento (1194 questionari) con quelli ottenuti dal campione complessivo (2127 questionari);

aver trovato nei dati di riferimento una distribuzione percentuale di iscritti al sindacato (uomini – donne) analoga a quella risultante dalle deleghe sindacali;

la consistente omogeneità riscontrata nell’andamento delle risposte che porta a ritenere attendibile il dato anche lì dove le percentuali di resa sono state più basse; (la differenza di genere, di qualifica, di età o altro, si evidenzia in modo netto in alcune domande specifiche ma nella generalità dei casi l’indicazione fornita nelle risposte si muove, con maggiore o minore accentuazione, sempre nella stessa direzione);

il ritrovare nell’analisi disaggregata confermate situazioni particolari di alcune realtà specifiche;

il riscontro del numero di risposte che ci si attendeva nel caso in cui le domande risultavano essere collegate alle risposte precedenti;

il basso tasso medio (5%) complessivo di non risposte ottenuto.

Analisi dei dati

Condizioni di lavoro e aspettative

Alcuni dati sembrano mostrare un lavoratore che vive un rapporto positivo con il suo tipo di attività: consapevolezza del proprio lavoro in legame a quello dell’ente (oltre l’80%), un orario che si concilia pienamente (38%) o in parte (57%) alle esigenze di vita, oltre il 65% che è convinto di offrire un servizio accettabile o adeguato all’utenza.

Ma da una lettura più attenta ne esce un quadro ben diverso: da una lato una differenziazione della condizione lavorativa con sedi periferiche (a contatto con l’utenza) dove si richiede maggiore produttività, si hanno oneri di lavoro più gravosi e minore risulta il numero di persone che hanno visto migliorare la propria retribuzione, dall’altro un diffuso senso di pessimismo e incertezza sul proprio futuro cui si abbina la frustrazione del "disconoscimento" del proprio lavoro (il 70% "sente" attorno un’opinione negativa sulla propria attività) e della non valorizzazione delle risorse pubbliche.

Il tutto, riteniamo, frutto delle politiche liberiste di questi anni che stanno puntando alla "scomposizione" e "frammentazione" del mondo del lavoro e alla svalorizzazione del settore pubblico.

Circa il 40% è poco o per niente soddisfatto della sua condizione lavorativa attuale;

Il 37% svolge mansioni non corrispondenti alla propria qualifica (quasi il 60% ritiene tali mansioni essere superiori, e nelle sedi periferiche il dato è ancor più accentuato - oltre il 70%);

vi è un carico di lavoro ritenuto gravoso per più del 27% degli intervistati con un’accentuazione nelle sedi periferiche dove oltre il 60% lo ritiene tale!;

solo un 14% vede un miglioramento in futuro della propria situazione lavorativa mentre il 43% (oltre il 55% nelle sedi periferiche) ritiene che le cose non cambieranno o cambieranno in peggio. Un restante 43% non sa cosa succederà;

rispetto al passato il 65% ritiene che la condizione lavorativa nel suo complesso non è migliorata, in particolare la ritiene peggiorata (21%) o più o meno la stessa (44%);

il 38% dei lavoratori in particolare crede siano peggiorate organizzazione del lavoro (oltre il 45% hanno risposto in tal modo nelle sedi periferiche) e prospettive di carriera (30%). A fronte di ciò è migliorata la retribuzione per il 40% degli intervistati con penalizzazione delle sedi periferiche (solo il 20%). Qui, accanto ad una peggiore organizzazione del lavoro e ad una sua maggiore gravosità, si é quindi visto meno il miglioramento retributivo!

risulta una chiara insoddisfazione per il modo con cui si è valutati e per le opportunità concesse: circa l’80% degli impiegati ritiene che la dirigenza non distribuisca le opportunità professionali ed economiche in modo equo e ritiene che le caratteristiche maggiormente tenute in conto per la valutazione del lavoratore siano in ordine: produttività (46%) (oltre il 60% nelle sedi periferiche!), obbedienza ai capi (37%) e collaborazione (33%) (poco o nulla considerate sono senso critico e diligenza nell’operare!);

La classica sicurezza sul posto di lavoro del dipendente pubblico comincia oggi a vacillare: il 26% non lo ritiene più sicuro e il 21% è incerto sul futuro. E tra le cause principali di questa insicurezza sono visti i processi di privatizzazione in atto (73%);

 

Efficienza del servizio e delle strutture

A fronte del dato negativo che traspare dai dati precedenti e che risulta maggiormente accentuato nelle sedi territoriali (insoddisfazione per il proprio lavoro, aumento dei ritmi-produttività, aumento retibrutivo per pochi e in modo differenziato, scarsa valorizzazione delle capacità dei singoli, svolgimento di mansioni superiori non riconosciute, incertezza sul proprio futuro) ecco un lavoratore che con criticità cerca anche di individuare risposte per migliorare il servizio offerto:

circa il 91% ritene che una migliore efficienza si possa ottenere potenziando l’organizzazione del servizio pubblico credendo inoltre (76%) che l’affidamento a società esterne di settori del servizio sia complessivamente svantaggioso (qualitativamente e/o economicamente) per l’Ente e per l’utenza. In particolare oltre il 71% dei lavoratori pensa che l’affidare a società esterne i servizi dell’Ente serva ad eludere diritti acquisiti o disconoscere il "valore sociale" del lavoro pubblico.

quasi il 77% dei lavoratori ritiene che l’alternativa ai tagli ai bilanci degli enti pubblici sia quella di eliminare sprechi ed inefficienze;

eventuali cause di inefficienza nei rapporti con l’utenza nascerebbero da un’organizzazione del lavoro burocratica e gerarchica (42%), dall’insufficenza di organico (32%), dall’incompetenza di capi e dirigenti (31%).

Interessante infine quel 47% di persone che ha ritenuto la compilazione del questionario un servizio utile per la comprensione della propria condizione lavorativa, condizione spesso distorta da un tam-tam mass mediatico che dipinge il settore "pubblico" come luogo di sprechi ed inefficienze. E il 33% di indecisi nel rispondere forse sta proprio lì ad indicare quel senso di abbandono e di disillusione che, accanto alla lontananza dei partiti e delle istituzioni, una simile immagine ha creato tra i lavoratori. E’ comunque un messaggio preciso quello che ci arriva da chi chiede più attenzione e rispetto per la propria condizione di lavoro.

 

Tutele e Diritti

La considerevole presenza di iscritti al sindacato (62%) pone in maggior risalto alcune risposte avute: complessivamente solo l’11% è soddisfatto di come operano i sindacati (percentuale che sale di poco considerando i soli iscritti: 16%), ben il 50% non lo è (38% tra gli iscritti) e l’altro 39% lo è solo in parte! E’ una insoddisfazione che porta il 94% dei lavoratori a chiedere al sindacato di cambiare.

Tra le accuse principali rivolte vi sono in ordine:

troppi legami con la direzione dell’ente (43%), eccessiva divisione tra sindacati (33%), scarsi risultati concreti (30%);

accuse queste che si ritrovano nel "come" si chiede al sindacato di cambiare:

45% vuole maggiore unità, il 38% strumenti di rappresentanza più diretti, il 37% maggiore progettualità;

Il 61% ritiene inoltre che il sindacato debba difendere i diritti dei lavoratori (occupati o no) nel complesso. In sintonia con questo sentire assume maggior peso quel 52% e più di intervistati che si dichiara favorevole al salario minimo intercategoriale uguale per tutti e ad un salario sociale per i disoccupati. E’ questo uno spirito unitario, di classe, che trova una ulteriore conferma in quel 52% di intervistati che dichiara importante se non indispensabile il contributo dei colleghi precari (e quel 37% che non si esprime nel merito forse è anche perché nella sua realtà tali figure non sono ancora presenti!). Tutto ciò a dispetto dei tentativi oggi sempre più insistenti messi in atto per dividere i lavoratori e atomizzare la loro lotta (vedi la gestione del salario accessorio e degli straordinari in particolare);

Lo sciopero è ancora visto oggi dalla maggioranza dei lavoratori (oltre il 70%) come la soluzione più utile per risolvere concretamente i conflitti con l’azienda. E sulla limitazione del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali ben l’82% di quelli che conoscono tale legge (il 64%) crede che sia stata una legge voluta per altri (aziende e utenti) ma non nell’interesse dei lavoratori!;

Dirompente per la sua chiarezza e inequivocabilità è anche il dato sulle pensioni e sull’art.18 che sono oggi fra i temi di maggiore scontro sociale. Dati che si commentano da soli:

il 73% è contrario in modo netto all’abolizione delle pensioni di anzianità e il 75% alla trasformazione del TFR in fondi pensione! (anche tra i dirigenti il rifiuto è consistente: il 62% in un caso e il 71% nell’altro); sul passaggio ad un sistema di tipo contributivo per tutti il no è meno deciso (ma sempre maggioritario) con il 41% circa e con una larga fetta di indecisi: il 23%;

oltre il 76% è infine fermamente contrario ad una abrogazione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori.

 

 

Sicurezza sui luoghi di lavoro

Nell’analisi di questi dati abbiamo separato e trattato a parte quelli provenienti dall’INAIL.

I risultati che balzano immediatamente in primo piano sono tre:

oltre il 66% di lavoratori ritiene di non aver ricevuto un’adeguata formazione/informazione sulla sicurezza e ciò in un contesto lavorativo pubblico (che dovrebbe essere di esempio) e dopo ben 7 anni dalla operatività della legge 626 stessa! (All’INAIL le cose per quanto meno gravi - solo il 30% ritiene di non aver avuto corsi adeguati - sono comunque preoccupanti essendo proprio l’INAIL un’ente previdenziale che opera nel settore della sicurezza!);

Ben il 40% che non conosce il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (14% all’INAIL);

Il 46% che afferma di non esser stato mai sottoposto a visite mediche da parte dell’Amministrazione (10% all’INAIL) e il 25% che denuncia disturbi o malattie che ritiene dovute alle condizioni di lavoro!

E se è pur vero che si tratta di lavoratori che operano prevalentemente negli uffici e con rischi ridotti, è anche vero che da una prima estrapolazione incrociata dei dati risulta che di quel 6% che ha subito un incidente sul lavoro (124 lavoratori su 2127) ben il 75% non ha ricevuto un’adeguata formazione informazione sulla sicurezza e analogamente dei 519 lavoratori (25%) che soffrono di disturbi sempre il 75% non ha ricevuto un’adeguata formazione informazione sulla sicurezza!

 

 

NOTE "DI GENERE"

Nel campione delle donne intervistate vi è una prevalenza di appartenenza alle fasce di eta' centrali - 31/50 anni (63% rispetto al 53% maschile) :

nella fascia sopra i 50 anni c'e' una maggiore tendenza delle donne rispetto a gli uomini ad uscire anticipatamente dal mondo del lavoro

Le donne risultano in prevalenza diplomate e laureate, pero' si nota una mancanza di corrispondenza tra il titolo di studio e l'inquadramento professionale. La maggior parte e' inquadrata nei livelli intermedi.

In generale si puo' pensare che tale dequalificazione e' conseguenza della difficolta' (valida anche per gli uomini) di trovare un'occupazione corrispondente al titolo di studio, in realta' tale mancata corrispondenza appare piu' marcata per le donne. Inoltre lo scarto piu' evidente e' nelle qualifiche dirigenziali (10% tra le donne solo il 10% ha una tale qualifica a differenza del 19% maschile).

Si potrebbe pertanto rilevare che esistono delle differenze (o discriminazioni ) di genere legate a fattori di carattere sociale e culturale tra le quali le difficolta' che le donne incontrano nel conciliare piu' ruoli, quello legato al lavoro propriamente detto e quello legato al lavoro di cura, spesso tra loro contrapposti. Le donne, infatti, sono spesso piu' assorbite dalle cure domestiche e familiari e cio' rende forse piu' difficile sviluppare un percorso di carriera.

Evidenza di questa situazione traspare da una attenta lettura degli elementi che sono peggiorati nelle condizioni di lavoro: mentre le donne sono maggiormente preoccupate dell’’organizzazione del lavoro 39% (37% gli uomini) e dell’orario (16% rispetto l’11% degli uomini) gli uomini puntano il dito su retribuzione (25%, 14% per le donne), prospettive di carriera (33%, 27% per le donne) e lavoro gratificante (17% contro 15%): emergono differenze di genere laddove si pensi a come le donne sono costrette a gestire "tempi" di lavoro e vita che si intrecciano nella faticosità di entrambi, mentre gli uomini vivono più il senso della carriera e del benessere (i tempi di vita quotidiani se anche assorbiti dal lavoro sono maggiormente esenti dalle incombenze familiari!!!)

Tutto questo viene inoltre avvalorato dalla stessa percezione che hanno le donne piu' degli uomini dell'esistenza di una discriminazione di fondo presente nel mondo del lavoro:

tra gli uomini il 75% ritiene che nel lavoro ci sia parità tra i sessi, tra le donne solo il 54% considera vero ciò;

per il 21% degli uomini essere donna nel lavoro rappresenta un’agevolazione mentre solo per il 16% di essi risulta essere un impedimento; tra le donne le cose si invertono: il 43% ritiene l’essere donna un impedimento nella carriera e solo il 3% un’agevolazione!

Anche rispetto al tempo libero vi è una sostanziale differenza: il 48% delle donne lamenta di non avere sufficiente tempo libero a fronte di un 31% maschile

Una ulteriore conferma al fatto che forse per le donne esista un maggior malessere sul lavoro viene dalle risposte alle domande sul sistema contributivo e sull'abolizione delle pensioni di anzianita' dalle quali sembrerebbe addirittura che le donne desiderino piu' degli uomini uscire dal mondo del lavoro il prima possibile.

Si possono avanzare due ipotesi, che sono anche due facce della stessa medaglia, e cioe' che da una parte il tempo lavorativo e' possibile che sia percepito dalle donne come staccato, estraniato dall'esistenza, dall'altra il fatto che le donne sono sempre impegnate su piu' fronti, per cui la condizione lavorativa delle donne seguita ad essere quell'intreccio continuo fra lavoro produttivo e lavoro (nascosto) riproduttivo.

Pertanto acquista anche una maggiore leggibilita' quella piu' netta radicalita' e critica, che le donne mostrano nel rispondere a certe domande (vedi privatizzazioni ecc. ).

 

 

 

Pubblichiamo il testo del volantino relativo al lavoro d’inchiesta fatto a Roma.

Il materiale completo (questionario) si può richiedere presso il "Gruppo Inchiesta nazionale"

 

UN’INCHIESTA SUL

(E PER IL) LAVORO PUBBLICO

 

Tempi duri per i lavoratori del pubblico impiego

Additati a rappresentanti di una specie che sembra essere in via di estinzione - quella del lavoro a tempo indeterminato, del 'posto fisso' al riparo dal licenziamento (quasi fosse una colpa) - sono divenuti i bersagli naturali dell'attacco al ‘pubblico’, inteso come quintessenza del privilegio, dell'inefficienza, dell'assistenzialismo statalista, in contrapposizione ad un'immagine del 'privato' come luogo dell'efficienza, e dell'utilità sociale.

Non saremo certo noi ad affermare che negli uffici pubblici tutto vada per il meglio. Diciamo però che la suddetta visione è strumentale e del tutto funzionale al disegno di deregolamentazione del mondo del lavoro: secondo lorsignori, i lavoratori - tutti - dovrebbero essere (o prima o poi diventare) flessibili e precari, possibilmente con contratto a termine, deprofessionalizzati e senza la prospettiva di un futuro lavorativo certo.

Non a caso, abbiamo già assistito all'introduzione dei lavoro interinale all'interno delle strutture pubbliche (quando non, direttamente, alla formazione di sacche di lavoro nero). Non a caso, dopo aver privatizzato il rapporto di lavoro, si è proceduto all' 'esternalizzazione' di interi settori (si pensi, ad esempio, alla gestione dell'informatica); ed oggi è nelle intenzioni del governo riprendere la trasformazione in S.p.A. dei principali enti pubblici (a cominciare da quelli previdenziali). Noi pensiamo che questa sia la via più rapida per stravolgere l'idea stessa di 'servizio pubblico', per minare le comuni nozioni di solidarietà sociale e universalismo del servizio, per peggiorare le condizioni sia degli utenti che dei lavoratori addetti.

Nel frattempo si è già largamente diffusa tra i lavoratori del pubblico impiego una sensazione di disorientamento e abbandono, dovuta in gran parte al deteriorarsi della propria condizione lavorativa: progressiva e consistente erosione delle retribuzioni reali (periodicamente ritoccate da aumenti contrattuali irrisori), ritardi nell’ aggiornamento professionale, smembramento degli organici, confusione generata da revisioni organizzative utili spesso per giustificare massicce nomine di dirigenti, crescente ipertrofia degli uffici di rappresentanza a danno di settori operativi.

L’Inchiesta

Il quadro sin qui schematicamente descritto è sufficiente per far intendere le motivazioni che ci hanno indotto a prendere l'iniziativa di un'Inchiesta tra i lavoratori del pubblico impiego, a partire dai tre maggiori enti previdenziali (INPS, INPDAP, INAIL) e da alcuni ministeri. Beninteso, si tratta di un'indagine che vuole essere quanto più è possibile oggettiva, ma non neutra: il nostro obiettivo è infatti quello di dare la parola ai lavoratori su temi concernenti la loro condizione di lavoro, per far emergere problemi e difficoltà, ma anche al fine di valutare il giudizio che viene dato dei mutamenti che negli ultimi anni hanno investito l'amministrazione pubblica. Dunque un'inchiesta utile, un'inchiesta per i lavoratori.

Nei prossimi giorni distribuiremo nei posti di lavoro anzidetti un Questionario , cercando di raggiungere il maggior numero di uffici e di addetti (cui ovviamente verrà assicurato il più assoluto anonimato). La compilazione non richiederà che pochi minuti: noi provvederemo alla raccolta dei questionari già compilati. E' importante sottolineare che l'iniziativa è aperta a tutti i contributi, comunque la si pensi e quali che siano le posizioni politiche o sindacali, poiché la riuscita dell'indagine dipende dall'estensione della popolazione lavorativa coinvolta.

Ripartire dai posti di lavoro, dal sapere di chi opera, recuperando il

"valore sociale" del lavoro pubblico: questo è il proposito dell'indagine.

 

I risultati, una volta elaborati, verranno divulgati e commentati in un incontro pubblico (che si terrà prevedibilmente nella primavera del 2002), cui saranno invitati lavoratori, forze sindacali e politiche, dirigenza, giornalisti.

 

n.b per i grafici relativi ai risultati dell'inchiesta, consultare la versione pdf del bollettino