
Bocciare in Italia e in Europa l’accordo sui dazi. Fermare il riarmo. Cacciare Meloni e Von Der Leyen. Documento approvato dalla direzione nazionale, 29 luglio 2025
Pubblicato il 30 lug 2025
L’accordo sui dazi stipulato tra Trump e Von Der Leyen è pessimo e va bocciato. Lo chiediamo al Parlamento italiano ed a quello europeo. Chi ha accettato questa resa, la Presidente Von Der Leyen, dovrebbe essere sfiduciato e per questo avanziamo la richiesta di dimissioni. Analogo discorso vale per il governo Meloni che ha espresso un giudizio positivo e ha sostenuto in Europa una linea di genuflessione di fronte alla prepotenza statunitense. I dazi al 15% non sono un compromesso ma un salasso pesantissimo per l’Europa. Cui si aggiungono gli impegni a comprare a caro prezzo energia e armi dagli USA e a favorire le Big Tech nordamericane. L’Unione europea dovrebbe acquistare ogni anno il triplo dell’energia che compra attualmente dagli Stati Uniti a costi elevatissimi. I beneficiari dell’accordo capestro – vale per il gas come per le armi - sono i grandi colossi del capitalismo finanziario. È significativo e gravissimo che venga sostenuto da un governo pseudo sovranista e in realtà di destra neoliberista come quello Meloni. Von Der Leyen e Meloni sono nei fatti alleate in quella che è certo una capitolazione verso gli interessi USA ma anche l’accordo tra borghesie dominanti che si combattono ma sono unite nel voler rendere permanente e incontrovertibile quello che Luciano Gallino chiamò il rovesciamento della lotta di classe. Questa è la natura profonda e strutturale della UE di Maastricht. Rompere il compromesso sociale del dopoguerra e fuoriuscire dal modello sociale europeo considerato ormai insostenibile da borghesie proiettate nella globalizzazione. Ciò valeva nella fase espansiva della globalizzazione e vale ancor di più in quella dei contrasti crescenti tra i dominanti. Le borghesie europee hanno accettato i surplus esportativi tedeschi perché il modello ordoliberista consentiva loro di riprendere in toto il controllo dell’economia e della società. Analogamente ora accettano il riarmo tedesco come volano sostanziale ed effettivo delle scelte che devono far fuoriuscire la UE dal welfare verso il warfare. In questo quadro accettano il tallone di ferro di Trump per la medesima ragione di classe. Hanno scelto di perseguire la guerra con la Russia e in prospettiva la Cina come vincolo esterno alle proprie azioni. E accettano che gli USA non si presentino più come l’amico americano ma come la più forte tra le potenze dominanti che chiede oltre che fedeltà anche un oneroso tributo in denaro contante. Sopra tutti resta il capitalismo finanziario globalizzato, vero dominus. Ciò non significa che non esistano contraddizioni e conflitti. Anzi.
Le guerre economiche e militari confermano le previsioni più infauste del “movimento dei movimenti” come abbiamo ricordato a Genova lo scorso 20 luglio. Esse però vanno lette ed agite a partire dalle dinamiche di classe e non solo geopolitiche. Il neoliberalismo negli ultimi quarant’anni ha accresciuto la dipendenza del capitalismo europeo dagli Stati Uniti, ma dentro un modello che ha impoverito larga parte della popolazione europea e aumentato la concentrazione della ricchezza. È evidente che l’accordo sui dazi comporterà ristrutturazioni pesanti che colpiscono interi settori produttivi. Le esportazioni italiane verso gli Stati Uniti sono del valore di 65 miliardi distribuiti in vari settori: dalla farmaceutica all’agroalimentare, a quello della moda, alla meccanica ecc. Va da sé che un calo delle esportazioni con i dazi al 15%, a cui va aggiunta una percentuale quasi equivalente per la svalutazione del dollaro, va messo nel conto. L’impatto dei dazi sarà in larga parte scaricato sulle spalle delle classi popolari tagliando lo stato sociale, delle lavoratrici e dei lavoratori riducendo l’occupazione, riorganizzando il lavoro, aumentando lo sfruttamento e contenendo i salari e le retribuzioni del lavoro. La risposta non può che essere la mobilitazione contro queste scelte che passa per la denuncia delle responsabilità del governo Meloni e della Commissione Europea.
Si pone sempre più l’urgenza di rovesciare un modello basato sulle esportazioni e i bassi salari. La stessa risposta vale anche per la torsione verso l’economia di guerra. Oggi diventa ancora più necessario e decisivo l’intervento pubblico in economia, la crescita dei salari e delle pensioni, gli investimenti nell’istruzione, nella ricerca, nella sanità, nella cultura, nella risposta ai bisogni sociali, nella riconversione ecologica delle produzioni, nella messa in sicurezza dei territori, nel contrasto ai cambiamenti climatici. Un nuovo paradigma che basi la risposta all’inasprirsi del quadro della competizione internazionale, alla folle corsa al riarmo, sul soddisfacimento dei bisogni sociali, sulla cura del bene comune. Anche questa è economia. Un’altra economia per l’interesse dei molti contro quello dei pochi. Ma, come già accaduto con Maastricht e poi con la austerità, sarebbe illusorio confidare in una opposizione delle borghesie nazionali che tendono sempre ad adeguarsi al quadro sovradeterminato scaricando sulle classi lavoratrici le conseguenze anche delle guerre commerciali. In particolare nella UE si è realizzato un mix tra tecnocrazie e nazionalismi che è il contesto in cui la borghesia opera in modi diversi dal passato. La convergenza tra Von Der Leyen e Meloni è illuminante. Contraddizioni ci sono anche tra il piano ReArm dell’UE e l’aumento al 5% delle spese militari richiesto dalla NATO. La differenza tra i due è di 4 mila miliardi in 10 anni e, a differenza del piano UE, quello NATO non è coperto da flessibilità di bilancio. Flessibilità di bilancio che in realtà sono alla portata sostanzialmente della sola Germania che, come dice il Cancelliere Merz, vuole tornare ad essere ciò che era. Un incubo. E infatti la Germania boccia l’ipotesi di bilancio europeo maxi presentato da Von Der Leyen che vuole dare una parvenza europea al riarmo. Naturalmente un riarmo europeo è egualmente inaccettabile così come una difesa europea priva di qualsiasi requisito costituzionale. Già ora il testo votato dal Parlamento Europeo sul rapporto della Commissione in materia di sicurezza comune è ignobile. A 50 anni dalla Conferenza di Helsinki in realtà l’UE ci ha riportato a 50 anni prima di Helsinki.
Queste contraddizioni possono esplodere positivamente solo in presenza di una decisa azione di contrapposizione al warfare e all’economia di guerra. Per questo è necessario dare continuità, in Europa e in Italia, al movimento contro il riarmo. Sono importanti le scadenze già definite, dalla controCernobbio alla Marcia Perugia-Assisi alla quale parteciperemo in forze. Sono importanti iniziative come le delibere popolari negli enti locali contro i piani ReArm e NATO. Serve una prospettiva strategica che sia di scioglimento della NATO e, per l’Italia, di rivendicazione di un neutralismo attivo volto alla rifondazione di un’altra Europa. È importante il contrasto nelle scuole e nella società al militarismo ed all’autoritarismo. Fondamentale è che i sindacati, le lavoratrici e i lavoratori siano protagonisti di un contrasto attivo, di iniziative e scioperi, alle pratiche di guerra. E che venga costruita una piattaforma per il welfare e contro il warfare. Per questo la proposta della Cgil di una manifestazione nazionale sulla manovra economica entro ottobre è molto importante. Noi la appoggiamo e vogliamo contribuire a definire i contenuti di riscatto economico e sociale. Alzare i salari e abbassare le armi. Sanità e non bombe. Via il pareggio di bilancio non per le armi ma per scuole e case. La lotta contro la guerra e contro il riarmo è lotta di classe. La politica “estera” non deve essere condivisa ma diventare il punto di più chiara alternativa: pace contro guerra. Ursula Von Der Leyen non è una presidente di compromesso. È la presidente della guerra, delle multinazionali, della subalternità a Trump. È paradossale che sia stata la destra radicale a presentare una mozione di sfiducia. L’appoggio di Meloni al pessimo accordo sui dazi tra Trump e Von Der Leyen dice molta più verità dell’uscita dall’aula nel voto di sfiducia da parte di Fratelli d’Italia. Noi la sfiducia l’avremmo votata. Comunque solo il 50% dei Parlamentari Europei l’ha respinta. È ora di costruirne una da sinistra e il disastro dell’accordo con Trump lo conferma.
Il genocidio a Gaza e quanto accade in Cisgiordania, di cui l’omicidio del noto attivista Odeh Hadalin è una rappresentazione emblematica, ci dicono che l’UE ormai ha perso ogni dignità morale. Le scuse addotte per non recedere almeno dall’accordo di cooperazione con Israele sono insostenibili istituzionalmente, politicamente, moralmente. Nel dopoguerra lo stato sociale, una democrazia che riconosceva il ruolo dei movimenti operai, la stessa decolonizzazione erano stati il frutto della vittoria sul nazifascismo e dell’impegno a costruire una società che non ripetesse mai più gli orrori della guerra e del genocidio. Lo stesso processo di integrazione europea – almeno nelle enunciazioni – si presentava come tentativo di costruire un futuro di pace e progresso nonostante le ipoteche della guerra fredda. L’Unione Europea, già nata nel segno del neoliberismo, sta perdendo anche ogni legittimazione sul piano dei diritti umani per la sua complicità con il genocidio a Gaza. L’UE si presenta sempre più, come ha dichiarato Francesca Albanese, come ““una confraternita di stati guidati più da una mentalità coloniale vassalli dell’impero statunitense”. E dentro questa UE il nostro governo pone l’Italia dalla parte dei peggiori. Il governo Meloni si schiera dalla parte abietta della Storia, continua a rifiutare non solo di sospendere la cooperazione militare e di sostenere sanzioni in sede europea, ma persino di riconoscere lo Stato di Palestina. La complicità con Netanyahu è arrivata al punto di non difendere la relatrice ONU Francesca Albanese oggetto di campagne infami da parte di Israele e di sanzioni personali da parte dell’amministrazione Trump. Il premio Italia – Israele consegnato al ministro Salvini è il simbolo del livello di abiezione che caratterizza l’ultradestra nel suo sostegno a Netanyahu mentre Gaza è stretta nella morsa della fame.
Non è un caso che in questa Europa neoliberista, guerrafondaia e subalterna agli USA si affermi sempre più l’anticomunismo che è sempre stato espressione delle tendenze più reazionarie. Il silenzio da parte dei sedicenti liberali sulle norme anticomuniste approvate di recente nella Repubblica ceca è emblematico. Ribadiamo la nostra condanna e la nostra solidarietà al Partito comunista di quel paese.
La lotta contro la guerra, il riarmo e il genocidio è per noi strettamente connessa a quella contro le misure autoritarie e liberticide come il decreto sicurezza, contro l’attacco alla democrazia costituzionale e con il rilancio delle lotte sociali. Da questo punto di vista alle scadenze e agli impegni già definiti nel documento approvato nell’ultima riunione del CN si aggiunge la convocazione da parte della CGIL di una manifestazione nazionale per il prossimo autunno in vista della legge di bilancio. E’ assai importante che la CGIL rilanci la mobilitazione su un’agenda sociale dopo la sconfitta referendaria connettendo il no al riarmo e all’accordo sui dazi con le questioni dei salari, delle pensioni, della precarietà, della sanità, dello stato sociale. Per le stesse ragioni esprimiamo un giudizio positivo sul manifesto “il lavoro ripudia la guerra” promosso dall’USB.
LE MANI SULLA CITTA’: IL CASO MILANO QUESTIONE POLITICA
L’esplosione dell’inchiesta “Palazzopoli” a Milano ha posto in primo piano le contraddizioni del campo largo e del centrosinistra. L’inchiesta di Milano disvela la natura delle aree “centriste” e “riformiste” che hanno avuto l’egemonia nel centrosinistra per anni e anche il perchè del sostegno di cui godono da parte dei gruppi affaristici che hanno un enorme peso mediatico nel nostro paese. Con orgoglio possiamo rivendicare di non esserci accomodati nel sistema Sala. Alle ultime elezioni comunali la nostra federazione cercò di costruire una coalizione alternativa a Sala proprio ponendo l’attenzione sulla vicenda urbanistica. Purtroppo Sinistra Italiana e Verdi scelsero di stare con Sala fin dal primo turno. Il nostro partito scelse invece di portare avanti la lotta con la lista Milano in Comune, con i comitati e gli urbanisti che lottavano contro l’assoggettamento delle politiche urbanistiche agli immobiliaristi, contro il consumo di suolo e lo strapotere della rendita speculativa.
Gli interessi che hanno beneficiato dell’urbanistica meneghina possono contare su una destra in parlamento che potrebbe approvare il “Salva Milano” rendendo la deregulation totale regola nazionale e al tempo stesso cavalcare le inchieste per conquistare la città. Il nostro partito è impegnato a Milano, proprio sulla base della coerenza di una lunga lotta, nella costruzione di una rottura con le politiche che hanno caratterizzato la giunta Sala.
L’inchiesta di Milano delinea come oggi la questione morale si pone come intreccio affari-politica nei termini di subalternità e funzionalizzazione delle scelte pubbliche agli interessi del capitale privato e della speculazione immobiliarista e di svuotamento della democrazia. La pianificazione urbanistica attraverso la partecipazione democratica e con obiettivi pubblici è stata sostituita dal via libera alla proliferazione speculativa. Il modello Milano incriminato dalla Magistratura è l’espressione più esasperata dell’urbanistica neoliberista che si andata imponendo nel nostro paese. Bisogna cogliere l’occasione dell’inchiesta milanese per porre al centro non tanto la dimensione giudiziaria ma la questione politica che è finalmente emersa. L’urbanistica messa al servizio degli immobiliaristi è uno dei capitoli della lotta di classe che in questi anni ha visto un clamoroso trasferimento di ricchezza dal basso verso l’alto. È anche una conferma della necessità di un ambientalismo antiliberista e anticapitalista come condizione per un’efficace lotta contro il consumo di suolo, per il verde pubblico, per la tutela del paesaggio, per una città vivibile. È anche la conferma che la lotta per servizi pubblici efficienti e per il diritto all’abitare pone la necessità di una rottura con l’urbanistica neoliberista. In questo quadro si pone la necessità di rilanciare anche sul piano nazionale e nelle regioni il nostro impegno sui temi dell’urbanistica.
LA NOSTRA PRESENZA NELLE ELEZIONI REGIONALI
Proprio l’inchiesta di Milano non va ridotta alla vicenda giudiziaria e conferma la necessità della rottura con le politiche portate avanti dal centrosinistra come condizione anche per costruire un’efficace opposizione e alternativa alle destre fascioleghiste e per rispondere ai bisogni del paese e delle classi popolari. Emerge la necessità, già rimarcata nell’ultimo congresso, di qualificare il nostro profilo e la nostra proposta politica sui territori in termini di contenuti dell’alternativa al neoliberismo a partire dalle questioni concrete. Questo tema si pone anche in vista delle prossime elezioni regionali. La nostra radicalità deve essere tradotta in piattaforme sui beni comuni, l’urbanistica, il consumo di suolo, la sanità, il diritto alla casa e al reddito, le privatizzazioni, l’ambiente, i servizi sociali, la corruzione e il clientelismo. Su questi contenuti vanno verificate le possibilità di conseguire risultati concreti aprendo contraddizioni in un campo largo in cui vi sono domande politiche di cambiamento reale e di contenuti di sinistra che qualifichino la lotta contro la destra e non solo i soliti gruppi dirigenti responsabili delle politiche neoliberiste che abbiamo contrastato. In vista delle elezioni regionali le nostre scelte di collocazione elettorale sono affidate all’analisi e alle decisioni che il partito assume nei territori nel rispetto dei principi democratici propri del nostro statuto. La Direzione nazionale, sulla base della linea emersa dal congresso, si attiene a questo indirizzo che corregge la precedente tendenza a calare dall’alto uno schema precostituito che spesso non corrisponde ai differenti contesti, impegnando tutte le strutture a rendere possibile ovunque la partecipazione del PRC alle elezioni ribadendo la necessità di costruire aggregazioni e liste per quanto possibile non minoritarie. La nostra credibilità e l’efficacia della nostra proposta si misurano strettamente sulla base dei contenuti programmatici, del rapporto con le dinamiche di lotta, delle risposte alle questioni sociali e ambientali, della capacità di far avanzare concretamente le rivendicazioni per il miglioramento delle condizioni di vita popolari e il nostro ruolo e impegno antifascista, pacifista, antiliberista, ambientalista e femminista.
La direzione impegna il partito sui seguenti obiettivi prioritari nei mesi estivi:
- preparazione delle elezioni regionali
- campagna su urbanistica e caso Milano
- campagna contro l’accordo UE-USA sui dazi
- mobilitazione contro il genocidio a Gaza e occupazione Cisgiordania, candidatura al Premio Nobel di Francesca Albanese, boicottaggio (BDS), campagna contro partita Italia-Israele a Udine, contestazione Sea Future a La Spezia e ogni altra iniziativa di solidarietà
- campagna contro il riarmo e sviluppo convergenza Stop Rearm Europe
- partecipazione alla marcia Perugia Assisi e alla manifestazione autunnale della Cgil
- iniziativa nazionale sul ruolo della NATO e per la neutralità dell’Italia
- ripresa campagna contro il carovita e per il salario minimo
- rilancio del tesseramento
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