
Referendum per cambiare regole sulla cittadinanza. C’è molto da fare
Pubblicato il 18 ott 2024
Stefano Galieni*
Dopo quasi due settimane dalla consegna di 637.487 firme, raccolte perché si possa decidere, mediante referendum, come modificare l’assurda, vetusta e xenofoba legge che rende impervio e spesso inaccessibile l’accesso a tale diritto è il caso di fare il punto su alcuni elementi, a partire dal successo della Campagna e proporre alcune tappe da concordare col comitato promotore di cui Rifondazione Comunista fa parte a pieno titolo. Bisogna chiarire intanto che l’iniziativa è stata concordata durante l’estate da alcune delle associazioni di ragazze e ragazzi con background migratorio, sovente senza cittadinanza, stanche dei rinvii imposti dalle istituzioni e che hanno trovato sponda soprattutto in + Europa e nel loro parlamentare Riccardo Magi. Si sono interrogati a lungo i promotori iniziali se fosse il caso di proporre l’abrogazione dell’intera legge 91/1992 che regola l’accesso alla cittadinanza, se scegliere di affrontare diversi quesiti, la cui modifica avrebbe radicalmente modificato l’impianto normativo o se, come poi è stato fatto, proporne uno solo che, a scanso di diversa interpretazione della Corte Costituzionale che all’inizio del 2025 sarà chiamata a pronunciarsi in materia, potrebbe portare da 10 a 5 gli anni di residenza continuativa che permetterebbero, a chi lo chiede, di rendere effettivo tale diritto. La proposta ha viaggiato in ambiti quasi riservati, si è poi estesa al mondo associativo (Arci, A buon diritto, Action Aids per citare alcuni soggetti) e poi a forze politiche come Radicali, Partito Socialista, Possibile. Rifondazione Comunista, va detto ad onore del vero, è giunta quando il quesito stava per essere depositato in Cassazione divenendo fra i 19 soggetti firmatari. Qualora il quesito venga giudicato ammissibile, la consultazione referendaria si terrà fra aprile e giugno, quasi certamente in concomitanza con gli altri indetti precedentemente – no ad Autonomia Differenziata e quesiti sul lavoro proposti dalla Cgil – e dovrà per aver valore, vedere la partecipazione, come noto, il 50% + 1 delle/gli aventi diritto. Ed è curioso che, in questo caso, possano votare unicamente le persone che, avendo la cittadinanza italiana, non sono toccate direttamente da tale limitazione dei diritti. Il tema che si pone oggi ha molte sfaccettature. Intanto ad aggregarsi nel comitato promotore inizialmente, non sono state né le grandi organizzazioni politiche né quelle sindacali. L’avvicinarsi del traguardo al numero delle firme necessarie, ha portato alcune forze, ad aderire e ad esporsi, ma in maniera non troppo convinta ecomunque tardiva. Prevale l’idea che tale tema debba essere affrontato, inevitabilmente con una trattativa al ribasso che riguarderebbe una parte delle nuove generazioni, in grado di prevalere in parlamento. Le numerose delusioni accumulate negli anni passati, fanno poco sperare in un simile percorso, da troppo tempo giocato per strumentali battaglie politiche di palazzo che poco hanno a che vedere con le esigenze reali. La raccolta firme e questo è un primo grande risultato, anche mainstream, dalle dichiarazioni sguaiate degli imprenditori del razzismo alle riflessioni che contengono almeno parziali elementi di autocritica di alcuni settori rimasti sinora freddi. Del tema si parla e si parlerà sempre più se saranno le/i dirette/i protagonisti a esporsi, supportati, come strumenti di servizio, dalle forze che credono nell’importanza di tale battaglia di civiltà. E si badi bene, la proposta referendaria va considerata, indipendentemente dall’esito e dal percorso affatto semplice, come un primo passaggio, in quanto garantisce meno della metà delle persone con background migratorio presenti in Italia ed ancora chi intende usufruire di tale diritto è sottoposto a vincoli di reddito, di residenza, di fedina penale, di permanenza continuativa, di conoscenza della lingua, che vanno considerati inaccettabili. Una vittoria referendaria costituirebbe il primo risultato, dopo decenni di sconfitte, che potrebbe spingere a voler ottenere di più. Non a caso, malgrado i tentativi di boicottaggio della proposta condotti anche a colpi di sondaggi e di dichiarazioni, l’esecutivo sembra voler impedire ad ogni costo il referendum, anche attraverso una riforma di facciata dell’attuale legge in materia. Per agire anche su altri fronti, cito solo due questioni: l’abrogazione dell’attuale Testo Unico sull’immigrazione (Turco Napolitano emendato e peggiorato dalla Bossi Fini) a cui faccia seguito una nuova normativa adeguata ai tempi, che abbia come obbiettivo quello dell’eliminare l’irregolarità della presenza nel Paese attraverso percorsi di regolarizzazione permanente e non basati su una presunta o dichiarata utilità delle persone arrivate all’economia italiana, spesso in termini di sfruttamento. È il caso di ricordare come tanto la legislazione vigente, quanto i continui interventi normativi messi in atto, definiscono un contesto per cui si parla di immigrazione unicamente per produrre leggi sul mercato del lavoro e, a seguire, come questioni di ordine pubblico. Ma, ed è il secondo punto, c’è l’urgenza di saldare, senza confondere i contesti, l’impegno per sostenere chi arriva in Italia, soprattutto per richiesta d’asilo, garantendo canali sicuri di ingresso con l’investimento in percorsi di convivenza che coinvolgano chi è stabilmente presente nel Paese, magari ha costruito qui il proprio nucleo familiare ma non può essere considerato appieno persona in attesa di decidere soggettivamente il percorso da intraprendere. La saldatura è possibile partendo, ad avviso di chi scrive, garantendo, non sulla base dell’utilitarismo economico, ma anche dell’inserimento sociale e affettivo, delle singole persone. Quella che va elaborata, come strategia sociale, politica, culturale e comunicativa, è un cambio di paradigma che porti a considerare la mutazione sociale intercorsa e ancora in fase di cambiamento, come riguardante persone, soggetti e non, seguendo un profondo suprematismo eurocentrico, a volte neanche consapevole, come oggetti, merce, numeri con cui fare i conti.
Cosa fare ora?
Nei prossimi 4 mesi, in attesa del pronunciamento della Corte, corre l’obbligo, a partire dalla scadenza referendaria, di “battere il ferro finché è caldo”. Proviamo quindi ad avanzare proposte
1) Occorre organizzare un momento di incontro, possibilmente anche pubblico, con costituzionaliste/i in grado di fornire ulteriori pareri rispetto all’ammissibilità del quesito. Si potrebbero coinvolgere, oltre a Giovanni Russo Spena, Gaetano Azzariti, Alessandra Algostino, Massimo Villone ed altre/i per smontare innanzitutto la tesi secondo cui il quesito, per come congegnato, diventa propositivo e non abrogativo e, in quanto tale, inammissibile.
2) Monitorare i tentativi di modifica della legge vigente. Ius scholae, culturae o italiae, comunque si vogliano chiamare, intervengono su nate/i o cresciute/i in Italia, che ottemperino ad obblighi scolastici. Ammesso e non concesso che tali accenni di riforma trovino spazio in parlamento, non andrebbero però a scalfire la situazione delle persone adulte. Per tale ragione diviene indispensabile un rapporto con le forze politiche di opposizione, presenti in parlamento, che, pur avendo approcci diversi rispetto alla proposta referendaria, possono convergere su una comune strategia. Ovvio che, almeno per rimediare agli errori passati, non sono ammesse deroghe rispetto agli impegni che verranno presi.
3) Mantenere forte l’attenzione su questo tema dando sfogo a tutta la creatività di cui si è capaci: iniziative nelle scuole e nelle università, incontri nelle piazze, utilizzo dei social media e di tutti gli spazi che si riescono a raggiungere per ampliare i luoghi in cui questo tema possa entrare nella pubblica discussione. Sarebbe prezioso un sostegno delle diverse forze sindacali per trovare sponda anche nei luoghi di lavoro. In tutte queste iniziative è fondamentale il protagonismo delle varie associazioni e forze costituite da persone con background migratorio, le cui vicende sono quelle che concretamente possono maggiormente evidenziare l’urgenza almeno delle modifiche proposte col referendum. La campagna referendaria deve costituire, ad avviso di chi scrive, anche uno dei momenti in cui riesca ad esprimersi una nuova, maggiore, plurale presenza politica di uomini e donne.
4) Va inoltre rafforzata una vera e propria rete, in grado di raggiungere tutto il Paese che, senza rimuovere le proprie differenze, cerchi di mettere in connessione le almeno due milioni e mezzo di persone che, potendo accedere ai diritti che diventerebbero esigibili con l’approvazione del referendum non si è ancora riusciti a coinvolgere. Potrebbero essere insieme a noi queste donne e questi uomini, il valore aggiunto che ci permetterà di vincere il referendum, ognuna/o di loro è interno a qualche rete sociale, vive, lavora o studia, con persone che hanno diritto di voto e che potrebbero partecipare e spostare i consensi. Sarebbe utile che, in maniera ancora più ampia, tale rete, se non è ancora riuscito a farlo, assumesse la forma di coordinamento leggero ma radicato in tutto il Paese e capace di interfacciarsi per fare fronte comune davanti alle diverse problematiche che emergeranno. Una modalità di azione comune in cui le forze politiche, come quella che rappresento, devono mettere a disposizione luoghi di incontro, sostegno, energie, ma il cui protagonismo deve appartenere a coloro che più rappresentano le problematiche affrontate, le donne e gli uomini in carne ed ossa a cui oggi il diritto è negato.
5) Pur essendo il quesito referendario di carattere tematico e, per tale ragione, non omogeneo dal punto di vista politico, sarebbe necessario che si realizzassero punti di convergenza con coloro che animano le altre campagne referendarie di primavera regionale contro il jobs acts e contro l’Autonomia differenziata. L’intero pacchetto referendario è alla base di un’idea di cittadinanza sostanziale da garantire di cui i quesiti costituiscono un architrave comune. Sarebbe necessario, da questo punto di vista, elaborare anche momenti di incontro e di convergenza, sempre partendo dall’ottica di un ampliamento che deve rafforzare tutte/i e non lasciare indietro nessuna/o. Che si apra su tale approccio una discussione laica ma urgente e scevra da divisioni ideologiche.
Quello che ho provato a definire è una sorta di promemoria per un programma comune di lavoro che vi propongo di valutare, correggere, integrare e utilizzare per quanto possa risultare utile. Il Partito della Rifondazione Comunista intende sostenere comunque il percorso iniziato il 6 settembre 2024 anche partendo da un attivismo politico e sociale in tale direzione, iniziato sin dalla sua nascita risalente al 1991. Consideriamo, come già affermato, la lotta referendaria, come una parte fondamentale ma non esaustiva di un sistema da cambiare radicalmente. Ci riconosciamo in una “sinistra” che ha iniziato, tardi e non in maniera completa, a compiere un percorso di “decolonizzazione culturale” come chiave di volta per affermare un internazionalismo dei popoli che si oppone al nazionalismo delle frontiere. Un percorso che, è nostro punto basilare di analisi ma che non vogliamo assolutamente imporre ad alcuna/o parte dalla necessità di una trasformazione radicale dei rapporti sociali che affronti il tema dello sfruttamento. In Europa suprematismo e sfruttamento di chi lavora sono le due facce della stessa medaglia e rappresentano l’elemento nodale di una gerarchia di relazioni che vede contrapporsi egemoni e subalterni. Relazioni di impostazione piramidale che vedono in cima poche dinastie facoltose e poi, via via, coloro che debbono sottostare a ruoli prestabiliti che non ammettono più nemmeno mobilità sociale. Anche una riforma come quella proposta attraverso il referendum può, a mio avviso, costituire un elemento che mette in crisi questa obsoleta gerarchia. Anche per questo il nostro apporto sarà completo e trasparente.
*Resp. Immigrazione PRC-S.E.
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