Si riaffaccia in Siria la minaccia aggressiva dell’imperialismo USA.

di Gianmarco Pisa

 

Con una serie di bombardamenti negli ultimi giorni, gli Stati Uniti tornano ad aggredire la Siria, colpendo secondo le fonti statunitensi, milizie filo-iraniane alleate del governo siriano nelle operazioni militari che continuano ad interessare il Paese. Ad essere colpite sarebbero state le milizie di Kait’ib Hezbollah e Kait’ib Sayyid al Shuhad, e gli attacchi sarebbero avvenuti nella Siria orientale, al confine con l’Iraq. Una regione tra l’altro strategica, sia dal punto di vista delle risorse energetiche, perché legata al controllo delle vie di rifornimento e di distribuzione del petrolio, sia dal punto di vista del controllo territoriale, dal momento che vi continuano ad operare le milizie oscurantiste dello Stato Islamico (ISIS) e che ancora sono, in parte, sottratte al controllo effettivo delle autorità siriane.

La motivazione ufficiale addotta dagli Stati Uniti sarebbe quella di dare un’immediata risposta ai recenti attacchi contro le forze statunitensi in Iraq, attacchi iniziati il 15 febbraio, e proseguiti sino ai giorni scorsi, pure questi attribuiti a milizie filo-iraniane. Le ragioni effettive dell’aggressione sono invece ben altre e non possono nascondere le reali intenzioni della Casa Bianca e del Pentagono: ricuperare un ruolo strategico di primo piano degli Stati Uniti nella regione; piegare gli ulteriori sviluppi del conflitto in Siria in una direzione più favorevole, dal punto di vista strategico, agli Stati Uniti e al loro principale alleato nella regione, lo Stato di Israele; dare un segnale alla Russia che, con il proprio sistema di alleanze, con la Turchia, da un lato, e con l’Iran, dall’altro, negli ultimi anni, si è sempre più affermata come protagonista nel conflitto in Siria e, in generale, nella regione medio-orientale; condizionare, infine, il tavolo diplomatico sul nucleare iraniano.

È evidente, dunque, il «cambio di passo» della nuova amministrazione statunitense a guida “democratica”: se la strategia di Trump puntava sugli aspetti della guerra economica e della guerra commerciale, peraltro con una singolare aggressività “diplomatica”, come ha ampiamente mostrato la strategia degli “Accordi di Abramo” a vantaggio esclusivo dello Stato di Israele e in violazione dei diritti di autodeterminazione dei popoli, a partire da quelli della Palestina e del Sahara Occidentale. La strategia di Biden accelera anche sul versante della guerra aperta, in nome di un multilateralismo assertivo che non rinuncia al «primato americano», da confermare anche a suon di bombardamenti e di aggressioni. Una strategia in piena continuità con i suoi predecessori “democratici”, Barack Obama (con l’aggressione alla Libia e alla Siria), e, più indietro nel tempo, Bill Clinton, con la scandalosa campagna di aggressione della Jugoslavia. Ieri con Trump e, diversamente, oggi con Biden, non si riduce la minaccia per la pace e la sicurezza internazionale rappresentata dall’imperialismo statunitense.

Come Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea, da sempre impegnati per la pace con giustizia sociale ed a favore  di un multipolarismo rispettoso dei diritti dei popoli, siamo a fianco di chi lotta per la pace, la democrazia e la giustizia, nel Medio Oriente e nell’intero bacino del Mediterraneo. Condanniamo con forza l’imperialismo e le sue aggressioni e ci schieriamo fermamente dalla parte dei diritti dei popoli e della solidarietà internazionale. Non smettiamo di volgere il nostro sguardo e la nostra attenzione alla Siria, ribadendo le richieste dei movimenti e delle forze impegnate per la pace con giustizia nel martoriato Paese: fine immediata delle interferenze violente, delle ingerenze e delle aggressioni e immediata cessazione delle forniture di armi che alimentano sempre più la guerra nel Paese; assistenza adeguata ai profughi e agli sfollati, concordando l’apertura di canali legittimi di soccorso e di assistenza alle vittime del conflitto; cessate il fuoco definitivo; fine dell’embargo economico e delle sanzioni economiche che affamano il popolo siriano; avvio di un percorso per una soluzione politica del conflitto in linea con i principi della integrità territoriale e della libera autodeterminazione del popolo siriano in tutte le sue espressioni e articolazioni etniche e culturali.

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