La nuova società riscopre il rovesciamento del capitalismo

La nuova società riscopre il rovesciamento del capitalismo

di Fulvio Lorefice

Rispetto a epoche passate, quella attuale presenta – potenzialmente – le «condizioni oggettive necessarie per liberare gli esseri umani dalla schiavitù del lavoro capitalistico e promuovere lo sviluppo onnilaterale della persona». Giunti a questo stadio di sviluppo delle forze produttive e in virtù delle straordinarie acquisizioni tecnologiche, sarebbe cioè possibile redistribuire il tempo di lavoro e di vita garantendo a tutti inediti spazi di libertà, individuale e collettiva.

ATTORNO a questa constatazione inconfutabile e «tragica» – per le difficoltà soggettive in cui si dibatte la sinistra odierna – si può dire ruoti il saggio di Paolo Ciofi, La rivoluzione del nostro tempo. Manifesto per un nuovo socialismo(Editori Riuniti, pp.96, euro 8,50). Proprio su queste difficoltà l’autore si interroga diffusamente, facendosi interprete di un’esigenza collettiva tanto inconsapevole quanto necessaria.

QUELLA DI CIOFI, già parlamentare e dirigente del Partito comunista italiano, è fin da principio una accurata critica a un certo genericismo invalso a sinistra che rifugge dalla critica al capitalismo in quanto tale, finendo per omettere la sua caratteristica saliente: lo sfruttamento. Una tendenza – a parere dell’autore – rivelatrice della passiva assunzione a sinistra della «perennità» del capitalismo, in conseguenza della quale si è pervenuti alla «soppressione concettuale del lavoro salariato e dipendente»: ciò che tiene in vita il capitale, insieme alle persone in carne e ossa. Non deve quindi sorprendere l’assenza del rovesciamento del capitalismo nella riflessione politica dei maggiori partiti.

VENUTA MENO con l’89 la rappresentanza politica del lavoro, argomenta efficacemente l’autore, il capitale ha spadroneggiato. Il progresso tecnico e scientifico – in ragione dei predetti rapporti di forza – non ha schiuso alcun orizzonte di emancipazione, divenendo strumento di accrescimento dei profitti, attraverso l’intensificazione del lavoro, il prolungamento della giornata lavorativa, la riduzione del numero degli occupati.

SI TRATTA ALLORA di riprendere l’iniziativa politica, traendo insegnamento dall’esperienza del passato: un socialismo liberato dalle incrostazioni del tempo, rinnovato e ripensato. Un assetto nel quale il surplus generato dalla forza-lavoro sia destinato all’elevazione del benessere materiale e culturale della collettività, che faccia tesoro – tra le altre cose – di una particolare previsione costituzionale: quella relativa alle forme di proprietà. Nella contestazione del monopolio della proprietà privata capitalistica possono rintracciarsi infatti i presupposti di un percorso democratico verso un nuovo socialismo.

Il riconoscimento della dualità capitale-lavoro e del conflitto che la caratterizza, sono precisi connotati della nostra Carta Costituzionale e della concezione «progressiva» da cui è originata. La sanzione costituzionale del primato del lavoro rappresentò una scelta epocale che «abbatte l’antemurale della proprietà considerata sacra e inviolabile al pari della persona umana».

SI PONE A QUESTO PUNTO il tema dell’Unione Europea, di un ordinamento che, contrariamente alla Costituzione, antepone la lotta all’inflazione e la stabilità dei prezzi al diritto al lavoro e al salario subordinando il godimento dei diritti sociali alle disponibilità dei bilanci statali. E, come spesso accade alle cose più evidenti, tale dato normativo, cristallizzato nei trattati europei, rischia di rimanere nascosto a quanti oggi ne dibattono. Secondo l’autore non è tuttavia la «retrocessione verso l’Europa delle patrie» la soluzione, ma la costruzione di una piattaforma programmatica e di lotta a livello continentale.

LA RIFLESSIONE di Ciofi rappresenta un interessante contributo e un ulteriore stimolo a confrontarsi sulla questione, tutt’ora irrisolta, della mutilazione della sovranità democratica e popolare operata dalle istituzioni europee. Sarebbe infatti esiziale per la sinistra italiana, in nome di una pur comprensibile contrapposizione al pericolo nazionalista, sottovalutare questo dato persistendo nell’implicita esaltazione di un ordinamento in cui, tra le altre cose, il Parlamento è privo dell’iniziativa legislativa: l’espressione primaria della partecipazione popolare al potere.

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