La guerra in Siria, alcune considerazioni

La guerra in Siria, alcune considerazioni

di Claudio Grassi -
Negli ultimi tempi si stanno moltiplicando le riflessioni “a commento” di ciò che accade in Siria: certamente un segno della drammaticità della situazione sul campo e, prima ancora, della difficoltà degli osservatori di decifrare ciò che accade nel nostro Vicino Oriente.

Una realtà che peraltro, proprio nel corso delle ultime settimane, si è venuta incancrenendo, al punto da indurre perfino qualcuno a dubitare della reale volontà di perseguire una soluzione politica del conflitto e preferire piuttosto, per ragioni di geopolitica e di interesse, alternativamente la conservazione dello status quo con un Assad ridimensionato ovvero una prosecuzione della guerra, dall’interno e dall’esterno, con l’obiettivo di disgregare l’unità nazionale del Paese e modellare una “nuova Siria” sulla base di aree di interesse o di egemonia, lungo i confini delle divisioni etniche e confessionali (http://t.co/b6DhU42xF8).

Un disegno che potrebbe preludere a una vera e propria “libanizzazione” o, peggio ancora, “balcanizzazione” della Siria, con ripercussioni potenzialmente catastrofiche sull’interno scenario medio-orientale ed al quale non sarebbero estranei i principali protagonisti esterni di questa contesa, gli Stati Uniti, che mirano a ri-disegnare la cartina del Medio e del Vicino Oriente in funzione delle rotte degli approvvigionamenti e della garanzia dello Stato di Israele, e della Federazione Russa, che conserva proprio in Assad uno dei propri alleati – chiave nella regione e mantiene nel Paese, in particolare a Tartus, una base militare e navale di primaria, per i suoi interessi, importanza strategica (www.livejournal.it/rischio-balcanizzazione-siria-2qid).

Il deterioramento più recente di questo “big game” è segnato da alcuni fatti, passati, come quasi sempre ciò che è legato alla vicenda siriana nelle sue più significative implicazioni, sotto silenzio dalla stampa italiana, eppure di primaria importanza, perché segnano dei veri e propri momenti-chiave e potrebbero rappresentare altrettanti “punti di svolta” nella precipitazione dello scenario siriano: da un lato, Carla Del Ponte, membro della Commissione d’Inchiesta delle Nazioni Unite sulla Siria, dichiara, in maniera del tutto sorprendente, che le famigerate armi chimiche – nella fattispecie il gas sarin – sono state usate dai gruppi armati anti-governativi e, in particolare dalle frange, violente e terroriste, dell’opposizione militare ad Assad; dall’altro, Israele, prendendo a pretesto il rischio di un possibile traffico trans-frontaliero di armi tra Siria e Libano, diretto ad Hezbollah, addirittura scatena raid aerei contro la Siria, ufficialmente diretti contro depositi di armi, in pratica  un atto di guerra, dalle conseguenze imprevedibili (http://t.co/nN5Om9SSQB).

Potrebbero bastare questi pochi elementi a caratterizzare il profilo del corso politico-militare attuale ed il connotato prevalente di quella complessa vicenda che è la guerra in Siria: una guerra, pertanto, a tutti gli effetti, “civile” e “per procura”, in cui, sulle manifestazioni e le rivendicazioni, originariamente legittime, contro la burocrazia e per la libertà della popolazione siriana della primavera del 2011, si sono venute poi innestando ragioni ed interessi del tutto esterni alla Siria, ragioni di potere e di strategia, nuovi terreni di sperimentazione del terrorismo internazionale e nuovi presidi locali del traffico internazionale di armi, in cui, sulla pelle dei siriani e delle siriane, si vengono a incrociare il lascito delle “primavere arabe” e gli interessi di nuove potenze locali, con ambizioni regionali, in primo luogo la Turchia e il Qatar, che non a caso inter-vengono al di là dei confini, militarizzano le frontiere e consentono il traffico di armi, impedendo ogni possibile soluzione diplomatica improntata al dialogo e alla riconciliazione (http://t.co/koGG0V88).

Mai come in questo frangente, riconciliazione è davvero il contrario di militarizzazione: alla militarizzazione e alla recrudescenza del conflitto, portate dallo scontro tra il governo e le milizie e dall’interferenza neo-imperialista degli alleati euro-atlantici e petro-monarchici, si contrappone lo sforzo per il dialogo e la riconciliazione portato avanti, questa volta, non solo da chi da anni, ormai, lavora, villaggio per villaggio, lontano dalle luci della ribalta mediatica, per risolvere dispute e consentire riconciliazioni locali tra cittadini e tra famiglie in Siria, ma anche da chi, nel corso degli ultimi mesi, ha concorso a mettere in piedi una vera e propria delegazione di pace, nel corso di questa seconda settimana di maggio, impegnata tra Siria e Libano in visite ai campi profughi siriani e palestinesi e, in particolare, in incontri con autorità civili e religiose e con attivisti locali impegnati nei percorsi di pace e di nonviolenza, per testimoniare la solidarietà internazionale agli sforzi per la riconciliazione in Siria e l’urgenza di percorrere le strade della soluzione politica della crisi in corso, improntata peraltro a principi di legittimità e di giustizia (http://t.co/EEP8afM3xH).

L’iniziativa di Mussalaha (in arabo “Riconciliazione”) rappresenta dunque questo cimento e la rete degli attivisti e dei movimenti internazionali a proprio sostegno testimonia della vasta risonanza che tale percorso potrebbe avere, se fosse unito ad una più intensa mobilitazione sociale e ad una meno subalterna diplomazia internazionale. Purtroppo, però, l’una e l’altra sono “in stallo”: la seconda egemonizzata dalla attiva lobby filo-imperialista del club dei cosiddetti “Amici della Siria”, la prima inibita dall’incapacità del variegato mondo dell’associazionismo democratico e pacifista ad individuare il prevalente ed esprimere una sintesi tra le diverse posizioni, da quelle anti-imperialiste classiche o geo-politiciste, spesso incapaci di leggere le ragioni di fondo della mobilitazione popolare del 2011, a quelle anarco-libertarie o moltitudinarie, talvolta, più o meno inconsapevolmente, in sintonia perfino con l’insurrezione armata e le frange protestatarie più radicali e violente. L’esigenza di un confronto aperto e di un’analisi rigorosa del conflitto in Siria diventa così, è proprio il caso di dire, bisogno e compito, allo stesso tempo, per la ripresa di un movimento dinamico ed efficace contro la guerra (http://t.co/J7QpiphK).


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