Giovanni Panosetti, la lunga storia di lotta nel movimento operaio di un nostro grande compagno. Da non dimenticare

Giovanni Panosetti, la lunga storia di lotta nel movimento operaio di un nostro grande compagno. Da non dimenticare

di Paolo Ferrero

E’ morto il compagno Giovanni Panosetti. Nel porre le mie più sentite condoglianze alla moglie e ai figli, voglio dare qui una testimonianza su uno di quegli eroi sconosciuti che hanno lottato per il socialismo e fatto diventare l’Italia – per una fase – un paese civile. Giovanni era nato nel campo di lavoro nazista di Esslingen, vicino Stoccarda, figlio di Vittorio Panosetti e Amalia Scovazzi, deportati. Suo padre morì nel campo di concentramento e Giovanni, tornato in Italia con la madre dovette stare in vari orfanotrofi fino all’età di 15 anni: sua madre doveva lavorare e non aveva i soldi per mantenerlo. Giovanni entrò in fabbrica negli anni 60, come operaio e iniziò subito il suo impegno sindacale che gli costò, nel corso di meno di un decennio, una decina di licenziamenti per rappresaglia. Dopo la Carello, nel 1969 Giovanni era operaio alle meccaniche di Mirafiori ed era una avanguardia di lotta riconosciuta. Nel giugno del 1969, dopo le lotte della primavera, alla FIAT si firmò “l’accordone” sui carichi di lavoro. Questo accordo prevedeva la nomina da parte del sindacato di 56 “esperti”. Il sindacato decise che questi venissero eletti su scheda bianca tra tutti i lavoratori: erano i primi delegati sindacali della nuova stagione del sindacato dei Consigli. Giovanni fu uno di questi primi delegati sindacali, che poi si estesero – nell’autunnno alla Mirafiori vennero eletti delegati per ogni squadra e gli 800 delegati formarono il “Consiglione” – e costituirono per un decennio la spina dorsale del sindacato dei consigli, vera e propria avanguardia delle lotte operaie nell’Italia degli anni ’70. In quegli anni Giovanni, giovane operaio di 26 anni, venne eletto nel Comitato Centrale del PCI. Negli anni successivi Giovanni venne relegato dalla FIAT in un reparto confino a non fare nulla. Pur di renderlo inoffensivo politicamente e sindacalmente lo pagavano per non lavorare. Da quel reparto confino Giovanni uscì solo uscendo dalla fabbrica per andare a fare il funzionario del Partito Comunista. Ma anche qui Giovanni mise sempre la dignità e la propria coerenza politica davanti al posto di lavoro e si dimise dal partito comunista per dissensi. Da disoccupato si reinventò una attività artigiana – da operaio di mestiere quale era – e riprese poi a fare politica attiva con Rifondazione Comunista, dove io l’ho conosciuto nella comune militanza nel Circolo di Pinerolo, lo stesso dove è iscritto anche suo figlio Angelo.
Vi ho raccontato questa storia perché la memoria di Giovanni, della sua dignità, delle lotte, delle aspirazioni non deve essere seppellita con il corpo di Giovanni. Una persona è di più della sua esistenza biologica. Giovanni è stato molto di più: è stato un ultimo del mondo che è diventato dirigente e organizzatore della lotta e della trasformazione sociale, senza mai tradire la sua classe e i suoi ideali. Noi dobbiamo conservare e tramandare gelosamente la memoria di Giovanni e di coloro che – come lui – non stanno solo alle nostre spalle. Camminano al nostro fianco. La terra ti sia lieve compagno Panosetti!

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Sono Giovanni Panosetti nato in un lager

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