Non cadiamo nel tranello di Maroni

Non cadiamo nel tranello di Maroni

di Giovanna Capelli e Antonello Patta - il manifesto -

Da almeno 20 anni le forze democratiche, antifasciste e le sinistre si sono confrontate in Lombardia con il tentativo della Lega di costruire il consenso su una idea di governo e di società improntate all’egoismo sociale, alla rottura della solidarietà nazionale in una chiusura identitaria, securitaria e xenofoba. Questo progetto che ha indicato via via come nemico il meridionale, l’immigrato, lo zingaro e come controparte politica Roma ladrona, si è scontrato con la difficoltà di penetrazione nelle città e in genere in una società lombarda democratica e antifascista, acculturata, multietnica e meticcia percorsa dal mondo della solidarietà attiva e dell’accoglienza.

Il piano della Lega di Bossi stava dentro l’Europa delle piccole patrie. Il tentativo di Salvini di spostare la Lega su posizioni lepeniste e nazionaliste e di darsi un respiro nazionale si collega da un lato al nuovo contesto europeo e allo spazio che le politiche di austerità regalano alle destre populiste, ma anche alla presa d’atto del limite e/o dell’arresto del progetto secessionista.

Questo non significa che non persistano sacche di consenso alle originarie idee di Miglio-Bossi, né sottovalutiamo il fatto che la globalizzazione e le politiche europee possano alimentare nuovamente il desiderio delle zone ricche di autonomizzarsi. E’ chiaro dunque che la sinistra deve assumere con più forza la battaglia contro le avventure secessioniste e di rottura della solidarietà nazionale che è garanzia dell’universalismo dei diritti. La battaglia politica e culturale sarà vincente solo se saprà collegarsi alla ricostruzione dell’unità dei lavoratori e dei ceti sociali colpiti dalla crisi, riportando il conflitto alla dimensione del basso contro l’alto, fuori dallo schema leghista di padroni, artigiani e lavoratori insieme contro gli ultimi.

Ma il quesito del referendum lombardo non c’entra nulla con tutto questo e farlo credere vuol dire cadere nel tranello di Maroni, che tenta tutte le strade per innalzare il numero dei votanti, temendo la sua delegittimazione attraverso l’astensionismo. Per questo la campagna di Maroni si muove su due registri, uno quello del quesito in sé, che vede un Maroni istituzionale che si richiama alla Costituzione. Questo gli ha permesso la capitalizzazione del consenso di Forza Italia, Fdi lombardi, grillini e, utili idioti, importanti sindaci del Pd e punta ad attrarne la base elettorale.

L’altro registro è quello che Maroni usa demagogicamente per parlare soprattutto alla pancia degli elettori della Lega delle origini a cui si fa credere che votando Sì si otterranno davvero «i nostri soldi a casa nostra», ovvero la riduzione del residuo fiscale di 27 miliardi e più competenze in materia di sicurezza, ordine pubblico e migrazione. Peccato che questi temi non abbiano nessuna attinenza con il quesito referendario. Il referendum è una truffa, inutile e pagata con spreco di soldi pubblici (più di 50 milioni). Inutile perché la contrattazione sulle autonomie poteva essere avviata, come previsto dall’art.116 della Costituzione, direttamente dalla Giunta, sentiti gli Enti Locali. Maroni ha aspettato 5 anni, senza far nulla. Il quesito è così generico da non permettere l’espressione certa della volontà degli elettori, si riferisce a più di 20 materie, lasciando mano libera alla Giunta di scegliere in fase di trattativa.

In realtà siamo di fronte a un finto referendum, calato dall’alto e quindi a un plebiscito. Di questo aveva bisogno la Giunta lombarda per arrivare in campagna elettorale senza dar conto delle promesse mancate, tra queste l’abolizione dei ticket e il trattenimento del 75% delle risorse in Lombardia; ma soprattutto si vuole nascondere il fallimento di una gestione politica che utilizza le risorse pubbliche per arricchire i privati con grande crescita degli sprechi, del clientelismo e della corruzione. Le recenti inchieste della magistratura hanno mostrato ancora una volta quanto le pericolose relazioni pubblico-privato possano favorire le infiltrazioni mafiose.

Sono questi i motivi per cui da subito Rifondazione Comunista e via via le altre forze della sinistra hanno fatto la scelta del boicottaggio attivo, anche perché non conteranno politicamente i No e i Sì, ma la percentuale di quanti saranno caduti nella trappola di Maroni. Per questo l’unica arma per far fallire l’operazione Maroni è non andare a votare.

* Rifondazione Comunista Lombardia

 


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