I dati OCSE non la raccontano giusta

I dati OCSE non la raccontano giusta

Si fa un gran parlare sui media dei dati OCSE, pubblicati in questi giorni, e naturalmente stante il livello di omologazione, che regna sovrano, vengono richiamati in modo acritico, perfino rispetto all’esaltazione del “Jobs Act” e della “Buona Scuola”, che secondo l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico provocherebbero un risanamento della mal messa situazione italiana. A entrare nel merito però, non solo per alcuni dati contraddittori, viene avvalorato il sospetto che la ricerca commissionata dai paesi “sviluppati” voglia dare un sostegno “autorevole” all’ideologia dell’impresa e del liberismo dominante.
Per quello che riguarda il sistema d’istruzione, il focus è concentrato sull’Università e sulle rilevazioni dell’INVALSI, che in Italia misurerebbe le “competenze” dei nostri studenti e studentesse nella scuola superiore.
Come vengono fatte queste rilevazioni? Principalmente con dei test a quiz, per di più standardizzati, cioè uguali per tutte/i, che non tengono conto di differenze individuali, territoriali e situazioni contingenti, proponendo quesiti in cui le scelte tra le soluzioni sono poste tra il bianco e il nero e non prevedono la presenza di quelle sfumature di cui è proprio la concretezza tanto richiamata ad essere ricca. Secondo queste rilevazioni, i nostri studenti e studentesse, con il solito divario a favore del nord e anche di genere (nettamente a sfavore delle ragazze), sarebbero nella media per la matematica, sotto 8 punti per la lettura e di 13 per le scienze.
Stiamo parlando della formazione che precede quella universitaria, rispetto alla quale risulta che “solo il 20% degli italiani tra i 25 e i 34 anni è laureato mentre la media OCSE è del 30%” e per l’Unione Europea il dato è ancora più alto, poco inferiore al 40%. Naturalmente l’OCSE non si preoccupa di comparare anche i costi da sostenere per le tasse universitarie, tra le più alte in Europa o l’esistenza crescente di facoltà a numero chiuso, dove l’ingresso è affidato a un “terno a lotto” o peggio.
In questo contesto invece si scatena la critica alle facoltà umanistiche, che sarebbero obsolete, inutili e non fornirebbero le necessarie “competenze” necessarie alla società di oggi, quando persino negli USA stanno inserendo nelle facoltà tecniche e scientifiche materie umanistiche, per correggere il pensiero “corto” di tecnici e scienziati. Si sono accorti infatti di aver formato individui privi di duttilità e creatività, necessarie a quell’industria avanzata che non funziona senza usufruire di cultura generale. Inoltre ciò che non serve alle imprese, ammesso e non concesso che non serva loro quello a cui negli USA si sta ponendo rimedio, non serve neanche alla società? Che è o dovrebbe essere altro dalle imprese.
L’OCSE utilizza, come parola chiave, “competenze” tradotta dall’inglese “skills”, che ha il significato di qualifiche più che di conoscenze, con diretto riferimento a categorie del lavoro, infatti il problema italiano per l’OCSE è “the skills mismatch”, cioè il non allineamento tra domanda e offerta di “qualifiche”.
Nessun dubbio pervade queste certezze, nessuna visione su un futuro che potrebbe e dovrebbe richiedere riconversione produttiva e nuove tecnologie, oltre che diversa distribuzione del lavoro, per le quali servirebbe proprio quella flessibilità, tanto evocata quando si tratta di diritti, ma mai considerata quando si tratta di agilità intellettuale.Tuttavia neanche nella fotografia dell’esistente i dati OCSE la raccontano giusta, quelli forniti dall’andamento dell’Erasmus, a cui accedono ormai il 40% degli studenti e delle studentesse italiani/e, così malamente valutate/i dalle prove INVALSI rispetto all’Europa, ci dicono quanto siano apprezzate/i soprattutto dalle imprese estere. Come rileva l’analisi della Commissione infatti, nel caso degli/delle italiani/e, dopo il tirocinio, il 51% degli studenti e studentesse (con il dato rovesciato anche di genere, sono di più le studentesse) viene assunto o viene loro offerto di lavorare nell’impresa che li ha ospitati. Si tratta di un risultato eccezionale se paragonato alla media europea di appena il 30%. Forse alle spalle hanno ancora una scuola e una università che resistono.

Loredana Fraleone
resp. Scuola Università Ricerca PRC/SE


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