Favola con morale….referendaria

Favola con morale….referendaria

di Giovanni Palombarini

C’era una volta …

Ditemi, se ne siete capaci, una sola norma della nuova costituzione che aumenti i poteri del capo del governo

(dai discorsi del signor Matteo Renzi).

Il signor Mario Rossi era il segretario politico di un partito italiano, un partito che oscillava , al momento delle varie consultazioni elettorali, fra il 25 e il 30% dei voti. Era un consenso di una certa consistenza, anche se altri ne avevano uno più o meno equivalente, ma lontano da quel 40% che secondo la nuova legge elettorale era indispensabile per conquistare il rilevante premio di maggioranza che permette di avere circa il 54% dei deputati.
Un consenso minoritario, che tuttavia ha consentito al partito di Mario Rossi, che nelle recenti elezioni ha ottenuto il 30% dei voti, di giocarsela al secondo turno. Una legge alquanto curiosa, la nuova legge elettorale, ben diversa dalla famosa “legge truffa” del 1953, che attribuiva addirittura il 66% dei parlamentari al partito o alla coalizione vincitrice, ma chiedeva che questa avesse ottenuto almeno il 50,1% dei voti, che fosse cioè nel paese, sia pure di poco, maggioranza.
Dunque, fatta la prima tornata elettorale, il partito di Rossi è andato al ballottaggio nel quale chi prevale ottiene quel 54% dei deputati che consente al vincitore di governare con grande tranquillità.
Intanto, prima del voto, grazie alla nuova elegge elettorale, l’accorto Mario Rossi, da bravo segretario politico, aveva selezionato i 300 capolista negli altrettanti collegi nei quali è suddiviso il territorio. Si tratta di un rilevante potere concesso al partito e al suo segretario: i capolista sono infatti, come si dice, bloccati, non possono cioè essere scavalcati dagli altri componenti della lista stessa. In gergo si dice che sono dei “nominati”.
Di recente si è effettuato dunque il ballottaggio e il partito di Mario Rossi ha prevalso. Gli sono arrivati in premio 340 deputati (lo stesso numero, bella coincidenza, previsto dal porcellum di Calderoli bocciato dalla corte costituzionale), e Rossi è stato nominato presidente del consiglio. Ciò gli spettava, perché il suo nome, sulle schede, era esplicitamente indicato, come è previsto dall’italicum, come capo del governo in caso di vittoria della lista.
A questo punto Mario Rossi, pur rappresentando una minoranza nel paese, si è trovato in una posizione fortissima, in parlamento e nei confronti delle regioni.
Nei confronti del parlamento – che fino a oggi, contrariamente a quel che alcuni pensano, è stato fra i più produttivi di leggi in tutta Europa – perché la nuova costituzione gli attribuisce il potere di chiedere alla camera dei deputati la trattazione rapida di tutte quelle leggi che ritiene essenziali per l’attuazione della politica governativa. I disegni di legge governativi, quanti che siano, devono essere iscritti nell’agenda dei lavori parlamentari entro 5 giorni dalla presentazione e devono essere discussi nel termine di 70 giorni. I disegni di legge degli altri partiti e dei vari parlamentari, anche quelli delle opposizioni, passano in coda. In pratica, oggi è Rossi a dettare il ritmo del parlamento incidendo come crede sul calendario dei lavori, con una sostanziale retrocessione, come è evidente, dei poteri di quest’ultimo.
Dunque, la prevalenza del partito di Rossi, e del suo governo, sul parlamento, ha una duplice faccia. Da un lato, la sua volontà, grazie alle liste sostanzialmente bloccate e al ballottaggio, è stata decisiva per la composizione della camera, dall’altro la volontà del suo governo ha una grande rilevanza per lo svolgimento dei lavori del parlamento, e per il ruolo di quest’ultimo.
E le opposizioni? Si è detto che vi sarà un apposito statuto per tutelarle. E però Rossi è tranquillo: il cosiddetto statuto verrà scritto in un regolamento parlamentare, cioè in un regolamento approvato a maggioranza non qualificata ma assoluta, cioè, in parole povere, dalla sua maggioranza. A qualche interlocutore che evidenzia l’incongruenza in termini di garanzie democratiche di una simile situazione, e chiede appunto che il regolamento venga approvato da una maggioranza parlamentare qualificata, ad esempio dei 3/5 dei deputati, nessuno ha risposto.
Mario Rossi è proprio contento. Partendo da una posizione certo consistente ma di netta minoranza, è arrivato a governare un po’ tutto, senza eccessivi fastidi. Sostanzialmente da solo potrà decidere la politica del lavoro, della scuola, della giustizia, delle pensioni, e così via. Tra l’altro, con il 30% dei voti ma con il 54% dei deputati, sarà in una posizione di forza nell’elezione del presidente della Repubblica, che negli scrutini successivi al settimo vedrà decisivi i votanti, cioè i presenti in aula, non gli “aventi diritto”, cioè tutti i componenti delle camere, e di tre giudici costituzionali.
Rossi, libero dal fastidio di dover chiedere la fiducia a questo scombiccherato senato, è ormai fortissimo anche nei confronti delle regioni. Intanto perché nella definizione delle competenze di stato e regioni è stato operato un energico ridimensionamento delle competenze di queste ultime. Basti pensare che fra le tematiche che potranno affrontare non c’è, con altre, la tutela del territorio (il che vuol dire che, per fare degli esempi, per la tav, le trivelle, lo sblocca-Italia e il ponte sullo stretto, le regioni non avranno voce in capitolo). E poi perché, anche nelle materie esplicitamente attribuite alla competenza esclusiva regionale, a Rossi rimarrà sempre la possibilità di dire che la questione ha un interesse nazionale (che, per la verità, non si sa bene cosa sia): attraverso una norma della nuova costituzione che qualcuno ha definito “clausola vampiro”, il governo potrà appropriarsi della questione, regolandola in piena autonomia.
Non male, per una riforma che qualcuno ha definito come intesa a valorizzare le autonomie regionali, e che in realtà opera una forte centralizzazione. Anche qui, grazie alla nuova costituzione, il governo nazionale può dunque stare tranquillo. Stando al vertice, al centro dello stato, Rossi potrà governare in tranquillità, con poteri pieni in tutte le direzioni.
Qualcuno ha chiamato tutto questo “democrazia della delega”, qualcun altro democrazia “plebiscitaria”, oppure “democrazia decidente”. A Mario Rossi tutto questo interessa poco. In nome della costituzione nuova e della legge elettorale, essendo pienamente delegato, potrà decidere davvero. Ma come?
Morale della favola.
Quella norma indicata nel titolo della favola in effetti nella riforma non c’è.
Il legislatore, scaltro e spregiudicato, sapeva bene che inserirla sarebbe stato uno scandalo controproducente; e quindi ha realizzato l’obiettivo seguendo un altro percorso. Quello che oggi rende felice il signor Mario Rossi, capo del

Referendum:Renzi, riforma l'ha voluta Parlamento non solo io


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