Le ragioni per le quali voterò “NO” al referendum costituzionale

Le ragioni per le quali voterò “NO” al referendum costituzionale

di Luca Nivarra*

Le ragioni per le quali voterò “NO” al referendum costituzionale:

1) La fattura tecnica del disegno di legge è veramente scadente. Non solo. Il pasticcio sulle modalità di “elezione” dei senatori e la proliferazione/segmentazione/differenziazione dei procedimenti legislativi sono i due indizi più chiari della assoluta contingenza che ispira il progetto di riforma, quando, come ci è stato insegnato sin dal primo anno di università, quello dell’ordine costituzionale è lo spazio della lunga durata, sottratto al gioco della politica quotidiana. Invece, in questo caso, la mistione tra i due piani è plateale (la stessa cosa è accaduta con la legge elettorale – nella sostanza, se non nella forma, di rango costituzionale – pensata per un PD al 40% e che oggi si vorrebbe adeguare ad un PD, nella migliore delle ipotesi, attestato su percentuali veltroniane (30-32%) e destinato ad una probabile sconfitta al ballottaggio). Perché non si è voluto abolire il Senato e imboccare, senza incertezze, la strada del monocameralismo?. La ragione è semplice. La conservazione di una “Camera Alta” su base locale risponde all’esigenza di riservare uno spazio ai notabili e ai cacicchi che presidiano i territori, gli unici capaci, in un’epoca di voto totalmente “liquido”, di orientare, se non di condizionare, il consenso di clientele, gruppi, aggregati di interesse ecc. il nuovo “Senato” sarà un potente strumento di selezione, controllo e scambio tra i piani bassi e i piani alti del sistema politico nazionale il quale ormai, dal canto suo, funziona come i proconsolati all’epoca dell’Impero (l’Italia è la Giudea, Renzi è Pilato, De Luca, Faraone ecc. le rissose famiglie dell’aristocrazia locale da tenere a bada per garantirsi un po’ di consenso e di pace sociale). Altro che “modernizzazione” delle istituzioni: qui,, trascorsi 153 anni dall’Unità, siamo alla costituzionalizzazione del notabilato (il che, dal punto di vista teorico, è interessante, perché ci dice molto sulla regressione ad uno stadio semifeudale della democrazia all’epoca del neoliberismo);

2) Il mio non è un “NO” difensivo. Rispetto, ma non mi identifico, con le posizioni di quanti voteranno “NO” per preservare, da possibili rischi di autoritarismo, la nostra bella Costituzione. Hanno ragione i fautori del “SI” a dire che la riforma non minaccia il modello di democrazia prefigurata dalla Costituzione del ’48. Il punto è che hanno molto più ragione di quanto essi stessi immaginino, perché quella democrazia è già stata liquidata da tempo, e non da Renzi (che è un modesto proconsole locale, non peggiore di Monti, Letta, Bersani) ma da globalizzazione e finanziarizzazione dell’economia (fervorosamente aiutate da Corti europee e Corti nazionali). Oggi, ad essere autoritari sono i contenuti, non le forme (che restano quelle della esangue democrazia strenuamente difesa da Kelsen e da Bobbio): la battaglia per il “NO”, almeno per come la intendo io, è una battaglia per riaprire una faglia di conflitto sociale, non certo per coltivare la memoria di un passato, in questo caso, passato per sempre.

Professore Ordinario di Diritto civile, Università di Palermo

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