Berlinguer e la riforma costituzionale

Berlinguer e la riforma costituzionale

di Cesare Salvi

Berlinguer e Ingrao erano monocameralisti? Certamente, anzi, lo erano anche Togliatti e tutto il Pci. La posizione tradizionale in questo senso del partito comunista fu formalizzata con particolare rilievo in un seminario dei gruppi parlamentari del 1981, introdotto da Ingrao e concluso da Berlinguer.

La data non è irrilevante. Il Pci ritenne di precisare la sua posizione per proporre un progetto di rinnovamento democratico delle istituzioni alternativo alla “grande riforma” in senso presidenzialista, che veniva lanciata dal Psi di Craxi nel Congresso di Palermo del 1981.

Non si capisce però perché dal monocameralismo del Pci debbano trarsi argomenti a favore dell’approvazione del testo Boschi. La proposta del Pci era infatti in radicale contrasto con questo testo per tre ragioni.

In primo luogo, appunto, per il monocameralismo. Prevedeva l’abolizione del Senato, ed era esplicitamente contraria all’introduzione al suo posto di una seconda “camera delle regioni”.

Nel testo sottoposto al referendum di ottobre, invece, il Senato rimane, e i senatori continueranno a votare le leggi, talvolta con voto decisivo (come per quelle costituzionali), altre volte costringendo, in caso di difformità, a un voto della Camera a maggioranza assoluta. La vera differenza con il “vecchio” Senato, oltre alla riduzione del numero dei componenti, è che non sarà più eletto dai cittadini, ma dai consigli regionali al proprio interno (più 18 sindaci); oltre tutto con un meccanismo di ripartizione tra le regioni assurdo (ad es. il Trentino-Alto Adige, con un milione  di abitanti, ne avrà 4, la Liguria, con un milione e mezzo, ne avrà due).

In secondo luogo, per l’elezione della Camera unica il Pci prevedeva la legge proporzionale, all’opposto del sistema ipermaggioritario del c.d. Italicum (che non è formalmente parte del testo Boschi, ma sostanzialmente lo è; tanto che , se al referendum vincerà il no, anche l’Italicum sarà travolto, come ha giustamente notato un suo fautore, Roberto D’Alimonte).

Infine, e soprattutto, le ragioni della posizione del Pci erano diametralmente opposte a quelle invocate per sostenere l’attuale testo del governo. Se queste si basano sulla governabilità (la sera del voto si deve sapere chi ha vinto, chi vince governa per cinque anni, ecc), il Pci era, all’opposto, per la centralità del Parlamento e delle assemblee elettive, come espressione di un più ampio disegno di partecipazione popolare, considerata indispensabile per rivitalizzare la democrazia italiana.

Non è qui il caso di discutere della validità o della realizzabilità di quel disegno (a me pare ancora persuasivo, anche se certo oggi richiederebbe aggiornamenti e integrazioni). Quello che è certo in ogni caso è che usare gli argomenti e le proposte di Berlinguer e del Pci per sostenere il progetto del governo è un falso storico.

fonte: Fondazione Nenni


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