Che fare?

Che fare?

di Lidia Menapace

 Cominciamo coi no: LA GUERRA NO, in qualsiasi forma mascherata.

  Le operazioni di polizia sì, soprattutto di intelligence cooperanti: é una occasione da non perdere per avviare un piccolo pezzo di Europa, applicando il secondo comma dell’art.11cost., cioè rinunciando reciprocamente a pezzi di sovranità nazionale per fare un pezzo di Europa federale. NO invece a iniziative prese unilateralmente da singoli paesi europei, le quali accentuano il carattere oligarchico delle istituzioni europee.

  Queste sono le cose che si possono fare subito.

  Ma più importanti sono quelle di lunga lena e però necessarissime per togliere terreno scuse giustificazioni irrazionali simpatie luoghi di arruolamento per giovani aspiranti terroristi. Culturalmente bisogna riconoscere che i tentativi di accordo, dialogo, vera e propria cittadinanza comune, addirittura integrazione accolta sono fin qui falliti, bisogna dunque ripassarli e con l’aiuto di antropologia sociologia politica cercare strade, magari molte differenti varie, adatte ad islamisti di prima generazione europea o seconda o terza.

  Insomma quella rivoluzione culturale che appare anche la sola operazione politica atta ad “uscire dal capitalismo in crisi”, come appunto consiglia un grande economista arabo di cultura francese, stato professore alla Sorbona e che ora a Dakar  presiede il Forum mondiale delle Alternative, ha da aggiungre ai suoi temi quello che stiamo considerando. Seguiamo dunque i suggerimenti appunto di Samir Amin, che ha pure scritto di recente un bellissimo saggio sulle spinte fasciste che il capitalismo lasciato alla spontaneità della sua crisi produce. C’è lavoro e gloria per tutte e tutti.  

Che ci fanno?

  Intendo teste di cuoio francesi e americane nella capitale del Mali? Secondo me, ogni potenza excolonale non dovrebbe mai essere autorizzata a prendere parte ad operazioni nei territori delle proprie excolonie, dato che di solito ciò che da loro è stato fatto dovrebbe essere cancellato. Il fatto che invece facciano guerre a favore o contro fazioni nate nelle excolonie, indica che stanno ancora giocando un ruolo da potenza occupante.

 Integrazione o assimilazione?

  Quelli e quelle che straparlano nei talk show ogni pomeriggio mattina e sera in tv, si scandalizzano virtuosamente perchè “gli islamici non si integrano”.

  Integrarsi non è un dovere, nè una legge. In ogni caso non può essere imposta e deve essere reciproca: che “integrazione” è se il bambino o la bambina araba deve imparare l’italiano e i bambini e bambine italiane non debbono nemmeno imparare a dire buon giorno e grazie? Questa si chiama “assimilazione” e non è affatto una buona pratica.

   Un signore intervistato per strada ha detto pari pari che lui segue il modello inglese, che accetta di integrare le varie “subculture” ecc.ecc. Subculture? La cinese sarebbe una subcultura? L’araba sarebbe una subcultura? Intanto ambedue sono parlate da una enormità di persone, niente di paragonabile alle dimensioni  d’uso dell’italiano, che pure è una importante lingua culturale.  Inoltre hanno letterature filosofie fiabe racconti poesie.

  Se i filosofi arabi non avessero tradotto Aristotele dal greco anche in latino, mai san Tommaso avrebbe potuto scrivere la Summa, dato che non sapeva il greco. E Dante ammirava tanto la filosofia sapienza grandezza dei filosofi arabi che li mette al Limbo, sembrandogli impossibile e ingiusto che dovessero finire all’inferno così onesti innocenti e bravi, solo perchè non erano stati battezzati, essendo arabi e islamici. 

  Se a nostra volta approfittassimo delle orrende tragedie terroristiche per fare un qualche ripasso di storia, ne avremmo vantaggi e la finiremmo di dire sciocchezze eurocentriche.

 


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