Una tempesta in un bicchier d’acqua. Tutto qui il progetto di politica industriale?

Una tempesta in un bicchier d’acqua. Tutto qui il progetto di politica industriale?

di Roberto Romano

Gli inve­sti­menti dovreb­bero cre­scere per 8,2 mld di euro in ragione di un cre­dito d’imposta del 15%; il soste­gno al cre­dito attra­verso fonti di finan­zia­mento alter­na­tivo alle ban­che potrebbe muo­vere risorse per 20 mld; la cre­scita della Borsa e del mer­cato non rego­la­men­tato, via cor­po­rate bond, super ACE, nuove obbli­ga­zioni e voto plu­rimo (due voti) per le azioni dete­nute, faci­li­ta­zioni per la crea­zione di spa, dovrebbe gui­dare le imprese ita­liane verso sistemi di gover­nance più coe­renti con il mer­cato inter­na­zio­nale. Sem­pre dalla rela­zione tec­nica è pos­si­bile intrav­ve­dere qual­cosa che più di altre asso­mi­glia ad una bozza di poli­tica indu­striale. Infatti, il bonus per gli inve­sti­menti si appli­cherà per appa­rec­chia­ture e mac­chi­nari e saranno esclusi i capan­noni, i com­pu­ter come i soft­ware e bre­vetti. Si tratta, sostan­zial­mente, di incen­tivi desti­nati all’acquisto, sot­to­li­neo la parola acqui­sto e non dimen­ti­ca­tela, di mac­chi­nari per la mani­fat­tura. La stessa soglia degli inve­sti­menti age­vo­lati sem­bra pri­vi­le­giare le imprese di media dimen­sione: 10.000 euro. La coper­tura finan­zia­ria passa attra­verso il ban­co­mat del fondo svi­luppo e coe­sione, la ridu­zione degli incen­tivi alle ener­gie rin­no­va­bile, su que­sto punto il governo ha pro­prio ragione, e la pos­si­bi­lità, dopo il 2019, di aumen­tare l’accisa su car­bu­ranti. La noti­zia non è banale: per la prima volta la spen­ding review non con­corre alla coper­tura dei prov­ve­di­menti.
La sem­pli­fi­ca­zione fiscale sem­bra più che altro una age­vo­la­zione per pagare meno tasse. In par­ti­co­lare trovo ingiu­sti­fi­cata la misura (delega fiscale) che punta a esten­dere da 3 a 5 anni il periodo in cui una società può chiu­dere in rosso senza rischiare pena­liz­za­zioni fiscali come l’aliquota Ires mag­gio­rata al 38%, così come l’agevolazione per faci­li­tare i rim­borsi Iva. Le imprese per loro natura devono pro­durre pro­fitti o al limite avere costi e ricavi in pareg­gio. Imma­gi­nare una impresa che per 5 anni non pro­duce utili è irrea­li­stico, se non nella misura di elu­dere una parte delle tasse dovute allo Stato. Pro­prio la crisi inter­ve­nuta a par­tire dal 2007 dovrebbe avere inse­gnato qual­cosa: se le imprese non pro­du­cono utili chiu­dono. Il mer­cato si inca­rica di esclu­derle, non per ragioni fiscali, ma per­ché pro­du­cono una per­dita per tutto il paese. Diversa sarebbe stata una ini­zia­tiva che favo­risse la ricon­ver­sione delle imprese via mana­ge­ment pub­blico verso nuove atti­vità e pro­dotti. La ridu­zione del 25% della pro­du­zione indu­striale non ha nulla a che vedere con la pos­si­bi­lità di (non) pagare le tasse, piut­to­sto con quello che si pro­duce.
La finanza, l’accesso al cre­dito e il ricorso al mer­cato rego­la­men­tato e non rego­la­men­tato pos­sono con­cor­rere allo svi­luppo di un sistema d’impresa più moderno, ma lo stru­mento adot­tato incon­tra dei vin­coli di strut­tura che la leva fiscale e il diritto (gover­nance) delle imprese con dif­fi­coltà pos­sono risol­vere. In altri ter­mini, le imprese diven­tano spa, emet­tono azioni e obbli­ga­zioni in ragione della pro­pria strut­tura pro­dut­tiva, non per moti­va­zioni squi­si­ta­mente fiscali e civi­li­sti­che. Cer­ta­mente abbas­sare la soglia a 50.000 euro per la costi­tu­zione di una spa con­corre alla modi­fica del nani­smo indu­striale ita­liano, ma il nani­smo indu­striale è figlio della spe­cia­liz­za­zione pro­dut­tiva, non del sistema tri­bu­ta­rio e del diritto d’impresa. Pur con le dovute dif­fe­renze tra l’Italia e la Ger­ma­nia, la pre­senza di spa o meno è data dal che cosa e dal come si pro­duce. Più di tanto il diritto, almeno in Europa, non può dif­fe­ren­ziarsi. Tec­ni­ca­mente le imprese che vogliono rea­liz­zare pro­fitti, uti­liz­zano gli utili come base per raf­for­zare gli inve­sti­menti, cioè con­so­li­dano la pro­pria patri­mo­nia­liz­za­zione indi­pen­den­te­mente dall’Ace (aiuto alla cre­scita eco­no­mica), e si quo­tano in borsa per anti­ci­pare i pro­fitti futuri via ri-valutazione delle pro­prie azioni. C’è poi un aspetto che dovrebbe inter­ro­gare la Mini­stra Guidi e Padoan. Com­prendo la dif­fi­coltà delle imprese nell’accesso al cre­dito, ma pro­prio la rela­zione della Banca d’Italia ha spie­gato chia­ra­mente che la domanda di cre­dito è caduta molto più velo­ce­mente dell’offerta di cre­dito. Qual­cosa potrebbe sug­ge­rire alla Mini­stra Guidi? La pos­si­bi­lità per assi­cu­ra­zioni e società di car­to­la­riz­za­zione di finanza e imprese di ero­gare cre­dito alle imprese rischia di ali­men­tare un mer­cato non rego­lato dalla Bce. La Bce usa lo stru­mento Abs (asset bac­ket secu­ri­ties), che si fonda sullo stesso prin­ci­pio, ma agi­sce sulla soglia del cre­dito delle ban­che in sof­fe­renza, lasciando una mag­giore libertà. Il sistema è più con­trol­lato e comun­que legato a cre­dito per nuovo inve­sti­mento. La BCE usa que­sto modello per­ché al moneto non ha nes­sun altro stru­mento, anche se gli pia­ce­rebbe tanto averlo ma la poli­tica è ancora in letargo.
Il raf­for­za­mento della strut­tura pro­dut­tiva via nuovi inve­sti­menti (age­vo­lati) è un vec­chi cavallo di bat­ta­glia. Gia­vazzi con il governo Monti si era impe­gnato a tagliare que­ste age­vo­la­zioni, in altri periodi sono state pro­po­ste delle leggi che finan­zia­vano di tutto (Tre­monti). Nes­suno se mai posto la domanda se que­sti incen­tivi finan­ziano inve­sti­menti aggiun­tivi oppure favo­ri­scono l’elusione fiscale degli inve­sti­menti già pro­gram­mati. Seguendo alcune tesi e osser­vando alcuni rap­porti della Banca d’Italia si evince che que­sti incen­tivi non pro­du­cono nulla di più dell’incentivo stesso. In altre parole non è stato osser­vato nes­sun inve­sti­mento aggiun­tivo. Ma la que­stione è forse più grave. Ricor­date quando pre­stavo atten­zione alla parola acqui­sto dei beni stru­men­tali a favore delle imprese mani­fat­tu­riere? Que­sta è la situa­zione. Durante la crisi il mer­cato si è inca­ri­cato non solo di ridurre la pro­du­zione indu­striale del 25%, con la con­se­guente chiu­sura di molte imprese che da tempo erano fuori mer­cato, ma di spez­zare la pro­du­zione indu­striale che più di altre favo­ri­sce l’uscita dalla crisi, cioè la pro­du­zione di beni stru­men­tali crol­lata del quasi 30%, men­tre in Ger­ma­nia è aumen­tata del 3%. Se una impresa rea­lizza un inve­sti­mento in beni stru­men­tali con dif­fi­coltà sarà pro­dotto da una impresa ita­liana, cioè que­sti inve­sti­menti pro­dur­ranno lavoro buono in paesi diversi dall’Italia, senza spez­zare il vin­colo tec­no­lo­gico. Solo in Ita­lia l’intensità tec­no­lo­gica degli inve­sti­menti pri­vati è rima­sta al livello degli anni ’90 (Luca­relli, Palma, Romano, Moneta e Cre­dito), men­tre in tutti i paesi ha rag­giunto quasi il 40%. Forse il pro­blema del paese non sono gli inve­sti­menti in quanto tale, piut­to­sto l’impossibilità di gene­rare la cono­scenza suf­fi­ciente per non impor­tare certi beni stru­men­tali.
Renzi ha pro­dotto una tem­pe­sta in un bic­chier d’acqua, ma forse è più peri­co­losa la com­pli­cità di molti opinionisti.


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