Israele: un’ impasse sempre più a destra

di Pietro Pasculli –

È stata la quinta elezione in tre anni quella che lo scorso 1° novembre ha consegnato il Paese all’estrema destra nazionalista e ortodossa israeliana. A distanza di oltre una settimana dal risultato delle urne, nella giornata di domenica il presidente israeliano Isaac Herzog ha annunciato l’affidamento all’ex primo ministro Benjamin Netanyahu il mandato per formare un nuovo governo.

Il partito dell’ex primo ministro Netanyahu è risultato il primo partito del Paese con 32 seggi. Solo 24 invece i seggi per Yesh Atid, partito del primo ministro uscente, Yair Lapid, il quale ha commentato il voto dichiarando che lo “Stato di Israele viene prima di qualsiasi considerazione politica”, ed augurando a Netanyahu di avere successo durante il suo mandato. Benjamin Netanyahu si appresta quindi a governare il Paese con una solida maggioranza, a capo di un blocco di coalizione composto da 64 dei 120 seggi disponibili nella Knesset.

Le elezioni, oltre a riabilitare la figura dell’ex primo ministro e certificare un rinnovato sostegno alle politiche conservatrici e nazionaliste, consegnano un dato ancor più preoccupante relativo ai 14 seggi ottenuti da Religious Zionism, partito sionista ortodosso interno alla coalizione di Netanyahu, guidato da Bezalel Smotrich e dal legislatore kahanista Itamar Ben-Gvir.

Ben-Gvir è il discendente politico e spirituale di Meir Kahane, un rabbino ortodosso di origine statunitense, ultranazionalista e razzista, condannato per terrorismo interno negli Stati Uniti prima di emigrare in Israele. Già membro del partito Kach di Kahane, la carriera politica di Ben-Gvir si connota sin da subito dalle forti tinte razziste e dal suprematismo ebraico. Fervido sostenitore di Baruch Goldstein, autore del massacro di 29 palestinesi nella moschea di Abramo ad al-Khalil (Hebron) nel 1994, Ben-Gvir nel 2007 ottenne una condanna da parte di un tribunale israeliano per istigazione e sostegno a organizzazioni terroristiche. Più recentemente, Ben-Gvir ha fatto notizia quando il mese scorso durante una “visita” al quartiere palestinese di Gerusalemme di Sheikh Jarrah, è stato filmato mentre brandiva una pistola ed esortava la polizia ad aprire il fuoco sui palestinesi che stavano lanciando pietre.

Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, leader del terzo partito del Paese, hanno acquisito notorietà e sostegno attraverso una campagna elettorale improntata su una forte retorica anti-araba e per aver sostenuto la deportazione di politici o civili “sleali” dal Paese. Secondo i due portavoce, infatti, i palestinesi israeliani dovrebbero essere sottoposti a “test di lealtà” e quelli ritenuti “sleali” nei confronti di Israele dovrebbe essere esiliati.

Vanno a concludere la coalizione guidata da Benjamin Netanyahu i partiti Shas e United Torah Judaism, che hanno ottenuto rispettivamente 11 e 7 seggi.

Netanyahu e i suoi alleati devono ancora raggiungere un accordo con il leader della coalizione, che durante la campagna elettorale ha insistito per il controllo da parte del Likud dei ministeri più importanti. Ma vista la popolarità ed i risultati elettorali ottenuti da Religious Zionism, Netanyahu ha ammesso la possibilità di far entrare nel proprio gabinetto Ben-Gvir. Quella di Netanyahu si presenta quindi come una coalizione ideologicamente omogenea, con una maggioranza di nazionalisti religiosi e partiti ultra-ortodossi. Una coalizione tenuta in piedi da una sorta di suprematismo ebraico teocratico, con un’agenda che guarda alla repressione intensificata dei palestinesi ed all’aumento delle demolizioni di case e degli insediamenti in Cisgiordania. Non solo, sul fronte giudiziario la nuova coalizione dovrà dimostrarsi compatta anche nel rimuovere le accuse di frode e violazione della fiducia pubblica contro Netanyahu, attualmente sotto processo, ed altri obiettivi comuni che includono le capacità dell’Alta Corte di giustizia di annullare leggi incostituzionali e l’affidamento ai politici del controllo sulla nomina dei giudici.

Le elezioni da poco conclusesi ci raccontano quindi di uno Stato, quello israeliano, che abbraccia ideologie razziste e discriminatorie contro i propri cittadini palestinesi e tutte le minoranze non ebraiche, e cerca di tutelare gli interessi dei partiti di potere. Uno Stato che Gayil Talshir, politologa dell’Università Ebraica di Gerusalemme, non ha esitato a definire prossimo a “diventare l’Ungheria di Orban”.

Di grande rilevanza per lo spostamento a destra del parlamento israeliano e per la decisiva vittoria di Netanyahu sono stati il fallimento elettorale del partito di sinistra Meretz, che pone fine a un’era di rappresentanza politica lunga tre decenni, e del partito nazionalista arabo Balad. Entrambi i partiti non sono riusciti a superare la soglia del 3.25 % per l’ingresso nella Knesset, con il primo che ha ottenuto il 3,2% del voto popolare e Balad, che ha deciso di correre da solo rispetto alle scorse elezioni, il 2,9%.

Superano invece la soglia di sbarramento i partiti a maggioranza araba Hadash-Ta’al e United Arab List, entrambi con cinque seggi. Il blocco politico della sinistra araba Hadash-Ta’al guidato da Ayman Odeh e Ahmad Tibi, risultato di un’alleanza congiunta tra il partito comunista arabo (Hadash – Fronte democratico per la pace e l’uguaglianza) e il partito arabo laico (Ta’al – Movimento arabo per il cambiamento) ha mantenuto il suo elettorato sostanzialmente invariato rispetto alle ultime elezioni. Alle elezioni del marzo 2021, il blocco si era presentato come Lista Comune (Joint List) ottenendo sei seggi ripartiti rispettivamente tra Hadash (3); Ta’al (2); e Balad (1). La Lista Comune, formata nel 2015 originariamente come lista congiunta dei quattro principali partiti politici arabi in Israele, ha dovuto affrontare diverse controversie interne che l’hanno vista dapprima sciogliersi nel gennaio 2019, per poi riformarsi per concorrere alle elezioni di settembre 2019, marzo 2020 e del marzo 2021, in quest’ultimo caso senza il quarto partito della lista Ra’am. Ciò che rimaneva della Lista Comune si è poi sciolto in vista delle elezioni del 1° novembre 2022, quando Hadash e Ta’al hanno deciso di correre insieme senza Balad.

La parlamentare Aida Touma-Sliman di Hadash ha definito la nuova realtà politica venuta fuori dalle elezioni “spaventosa per tutti”, una realtà che vede un’ala destra del governo “disposta a usare la violenza, l’incitamento selvaggio e il razzismo profondo”. La presenza dei 5 seggi del blocco politico della sinistra araba risulta quindi importante per il perseguimento degli obiettivi dell’uguaglianza civile, sociale e politica dei cittadini palestinesi in Israele, in un momento in cui le tensioni e la repressione dell’esercito israeliano continua ad aumentare all’interno e nei territori occupati. Nell’ultima settimana, infatti, pesanti scontri tra i palestinesi e le forze di occupazione israeliana hanno portato alla morte di un ragazzo di 15 anni a Nablus e di un lavoratore a Jenin. Nella giornata di domenica, invece, una donna palestinese alla guida di un’auto è stata uccisa dai colpi dei soldati israeliani nei pressi di Ramallah.

Netanyahu che ha già ricoperto la carica di primo ministro per oltre quindici anni avrà 28 giorni, da domenica, per formare il nuovo governo. Se Netanyahu dovesse richiedere una proroga, ha diritto a ulteriori 14 giorni per formare il governo, se fallisce, verrà scelto un altro leader del partito.