Dopo il voto del 25 settembre. Documento della Direzione Nazionale di Rifondazione Comunista

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Documento approvato dalla Direzione Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea

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Le elezioni del 25 settembre ci consegnano un Paese in cui per la prima volta nella storia repubblicana il partito più votato è erede della formazione storica dei nostalgici del fascismo con la loro fiamma nel simbolo. La maggioranza di seggi conquistati nel parlamento non è conseguenza di una crescita impetuosa del consenso verso il complesso della destra. Piuttosto, è avvenuta una redistribuzione del voto all’interno della coalizione che già con Salvini aveva assunto negli anni scorsi un profilo di ultradestra trumpiana e lepenista.

La destra non ha conquistato la maggioranza dei voti, ha vinto elezioni caratterizzate dall’ulteriore crescita dell’astensionismo. Siamo di fronte a dati che riflettono la profonda crisi sociale e democratica: l’affluenza più bassa nelle elezioni politiche (63.9%) e il maggior calo della partecipazione al voto rispetto alla precedente tornata  (oltre il 9%) nella storia repubblicana. Dopo anni di politiche neoliberiste, di svuotamento della democrazia costituzionale e di cancellazione di un’alternativa di sinistra, è cresciuto enormemente il distacco delle classi popolari dalla politica e dalla rappresentanza. La vittoria della fiamma tricolore è il risultato di un processo di lunga durata di sdoganamento del fascismo e revisionismo storico, di un trentennio di bipolarismo e soprattutto dell’ultimo decennio di governi con dentro il PD. L’affermazione di Fratelli d’Italia non va sottovalutata perché non è un episodio isolato, ma si inserisce in un contesto europeo e internazionale che ha visto nell’ultimo decennio la crescita globale dell’ultradestra, dagli Stati Uniti al Brasile e in molti Paesi europei.

In Italia però i dati dicono chiaramente che non siamo di fronte a un’onda nera. La percentuale delle astensioni è più alta di quella ottenuta complessivamente dalla coalizione di destra che non ha ottenuto nemmeno la maggioranza dei voti. Va ribadito con nettezza che la vittoria di Giorgia Meloni è conseguenza delle scelte elettorali del PD e di una legge elettorale su cui chiese la fiducia il governo Gentiloni e che Enrico Letta ha deciso di non modificare facendo un patto con la leader della destra. Con una legge elettorale proporzionale non ci sarebbe un governo guidato da Giorgia Meloni.

Questa legge elettorale palesemente incostituzionale e antidemocratica non solo ha consegnato alla destra una maggioranza che non ha nel Paese, ma ha negato rappresentanza a 2.817.883 elettori pari al 10,47% dell’elettorato.

Il profilo di Fratelli d’Italia è caratterizzato dai temi condivisi con la Lega di Salvini: xenofobia, razzismo, “guerra culturale” contro diritti delle donne e lgbtqi, politiche sicuritarie, rottura dell’unità del Paese e dei principi di uguaglianza. Sono state però accantonate le velleità sovraniste di rottura con l’Unione Europea, dentro la quale cresce il peso delle forze nazionaliste di destra ed è palese la volontà di rassicurare l’establishment economico italiano e internazionale. E’ totale l’allineamento con gli USA e la NATO. Nonostante la demagogia populista, l’estrema destra che torna al governo non è antisistemica sul piano economico e sociale, né su quello della collocazione internazionale. Per questo Clinton e Draghi prima del voto hanno pubblicamente legittimato la nascita di un esecutivo guidato da Giorgia Meloni.

La sconfitta del PD non è un dato che può essere attribuito soltanto a scelte sbagliate contingenti. Siamo di fronte al fallimento dell’intero progetto fondativo, dall’impianto programmatico neoliberista e della identificazione subalterna con la governance europea e atlantica. La composizione sociale del voto al PD è il risultato delle politiche antipopolari che hanno caratterizzato la storia del centrosinistra.

La tragedia italiana è che per milioni di persone la sinistra continua a identificarsi con il PD, con le conseguenze che sono ormai evidenti. Lo stesso relativo successo della lista di Si-Verdi come formazione alleata del PD è stato alla base della mancata aggregazione di un polo alternativo di sinistra.

In assenza di una sinistra autonoma, forte e percepibile a livello di massa, il M5S di Conte è diventato il riferimento per un’area consistente di elettori di sinistra, nonostante il trasformismo e le contraddizioni che lo hanno caratterizzato negli ultimi 5 anni di ininterrotta presenza al governo. Il successo nel meridione, come partito del reddito di cittadinanza, ha cancellato il dato dell’enorme crollo del consenso rispetto al 2018. Il M5S continua a occupare in forme nuove lo spazio della protesta e dell’alternativa, ma con caratteristiche diverse da quelle originarie del “né di destra, né di sinistra”. Il suo riposizionarsi come forza “progressista” è sicuramente stata una scelta elettorale forzata, ma con un governo di destra non può che essere confermata.

I dati elettorali confermano che in questo paese c’è bisogno di una sinistra popolare e di classe. Purtroppo l’insuccesso della nostra proposta di Unione Popolare fotografa la realtà dei rapporti di forza.

La crisi di governo e le elezioni anticipate, che ci hanno colto in ritardo nella costruzione di un progetto politico unitario della sinistra di alternativa, ci hanno impedito di sviluppare il progetto che era faticosamente partito il 9 luglio e che avrebbe avuto bisogno di mesi di tessitura, interlocuzioni, radicamento nel Paese per arrivare alla scadenza elettorale con qualche possibilità di affermazione. Siamo precipitati in una forsennata corsa per la composizione delle liste, la raccolta delle firme e poi la campagna elettorale che nonostante la generosità e l’impegno militante, non poteva non essere in salita.

Vanno ringraziate/i tutte le compagne e i compagni che hanno garantito il successo non scontato della raccolta delle firme e poi una campagna rapidissima, che aveva suscitato anche aspettative superiori al risultato raggiunto.

Lo spazio politico per la nostra lista si è ristretto per la configurazione che ha caratterizzato la campagna: rottura del PD con il M5S che ha recuperato proprio grazie alle polemiche degli avversari un’immagine di radicalità e alterità che aveva smarrito; rottura di Calenda che ha reso più digeribile la scelta di SI e Verdi di alleanza col PD. Il successo di Conte e del M5S nelle regioni meridionali ha chiuso lo spazio per Unione Popolare, nonostante la candidatura di Luigi de Magistris persino in regioni come la Calabria, dove solo un anno fa aveva raccolto quasi il 17%.

La nostra debolezza non ci ha consentito di diventare punto di riferimento percepibile dall’elettorato popolare e soprattutto di raggiungere l’area dell’astensionismo, mentre altre opzioni, seppur meno coerenti della nostra, sono apparse più efficaci anche per i settori più politicizzati e informati di sinistra, ambientalisti e pacifisti.

Abbiamo pagato anche questa volta l’ostracismo dei media – la pressocchè totale assenza dai telegiornali che rappresentano ancora il principale canale di orientamento dell’elettorato – anche se il portavoce Luigi de Magistris è riuscito a conquistare uno spazio nei talk sicuramente maggiore rispetto a quello a cui siamo abituati. Ancora una volta, ci siamo ritrovati nella difficoltà di far conoscere un simbolo e una proposta politico-programmatica nuova a vasti settori dell’elettorato soprattutto popolare.

Hanno pesato fortemente l’eredità delle sconfitte precedenti e gli stessi sondaggi. Il dubbio che Unione Popolare non potesse superare la soglia del 3% ha indotto una parte consistente dell’elettorato potenziale verso il M5S o la lista Si-Verdi. Nei comportamenti dell’elettorato pesa la questione dell’efficacia del voto e non solo nei termini del cosiddetto “voto utile” contro la destra.

Ma ancora più di tutto questo ha pesato l’assenza di un movimento sociale generalizzato. Una nuova rappresentanza politica a sinistra si alimenta e vive innanzitutto dell’apertura di una contesa sociale nel Paese, più che di un’azione propagandistica, elettorale o della personificazione di una operazione politica. Da qui dobbiamo ricominciare, da campagne contro la guerra, il carovita, l’impoverimento sociale per la ricostruzione possibile e necessaria di una forza di alternativa

Il risultato insoddisfacente non cancella il fatto che senza il progetto di Unione Popolare non avremmo certo registrato migliori risultati nella collocazione di alternativa e rottura che abbiamo scelto da anni e confermato all’ultimo congresso. Basti pensare ai risultati delle ultime tornate amministrative e regionali

In ogni caso non vanno dispersi la disponibilità all’impegno, la simpatia, il consenso e anche l’entusiasmo che si sono coagulati intorno a Unione Popolare. Se Unione Popolare sparisse dalla scena sarebbe una sconfitta ben più grave di quella elettorale.

Il percorso, nato dalla convergenza tra il nostro partito, Potere al Popolo, DeMa, le parlamentari di ManifestA, e altre formazioni e tante/i intellettuali e attiviste/i  va proseguito ed allargato, valorizzando i primi passi compiuti con la campagna elettorale, promuovendo da subito momenti assembleari territoriali, in un processo che sia di partecipazione democratica.

Intorno al progetto di Unione Popolare si è aggregata un’area di disponibilità all’impegno più larga dei partiti che hanno promosso l’aggregazione e soprattutto energie intellettuali, attiviste/i, giovani. Un’area che va appieno coinvolta.

Il percorso va proseguito riprendendo immediatamente l’iniziativa politica e sociale in questo autunno segnato dall’escalation della guerra, dalla crisi sociale prodotta dal caro bollette e dall’inflazione, dalla stessa nascita di un esecutivo di destra. Unione Popolare deve dimostrarsi utile come soggetto e spazio unitario dell’opposizione più conseguente e coerente al governo di destra e voce del malessere delle classi popolari.

Non si tratta di costruire un nuovo partito e di sciogliere le organizzazioni esistenti. Un dibattito di questo genere produrrebbe, tra l’altro, un dibattito tutto interno, invece dell’iniziativa e delle interlocuzioni di cui c’è bisogno per rafforzare il progetto e radicarlo nel paese. Le nostre coordinate sono contenute nelle tesi approvate all’ultimo congresso: lavoriamo per un movimento plurale dentro al quale trovare le forme in cui la convergenza delle soggettività organizzate, la partecipazione, l’elaborazione comune possano svilupparsi.

È evidente che le modalità attraverso le quali strutturare e far vivere l’Unione Popolare, oltre che a un approfondimento da parte del nostro Partito, vanno pensate e concordate insieme a tutte le soggettività che hanno concorso alla creazione di questo spazio di confluenza che già ha assunto nel Paese durante la campagna elettorale una riconoscibilità come soggetto politico unitario. La disponibilità di una figura di portavoce come Luigi de Magistris rimane una risorsa per Unione Popolare, che ora potrà finalmente procedere a quel percorso democratico, partecipato, orizzontale, includente e aperto che non è stato possibile a causa della precipitazione elettorale. Lo stesso rapporto con le tante lotte e vertenze va sviluppato nella pratica della convergenza, che riguarda aree molto più vaste di quelle già impegnate in Unione Popolare.

Il nostro partito è chiamato a svolgere un ruolo essenziale di elaborazione e iniziativa dentro la fase che si è aperta.

La riorganizzazione e il rafforzamento del partito è questione essenziale, che si pone in relazione con il progetto di Unione Popolare e la costruzione dell’opposizione sociale e politica. A tal proposito la Direzione Nazionale impegna il Partito a riavviare nei territori il percorso relativo allo svolgimento della Conferenza Nazionale di Organizzazione da tenersi nelle giornate del 14 e 15 gennaio sulla base del mandato e dei documenti già approvati, tenendo altresì conto delle novità di quadro politico e sociale e dei nuovi compiti che fanno seguito al risultato elettorale.

Anche se ci saranno molti elementi di continuità con l’agenda dei governi precedenti, bisogna avere la consapevolezza che con un governo così marcatamente di destra si riconfigura l’intero campo dello scontro politico.

La crisi della sinistra è tale che, pur in presenza del palese fallimento del modello neoliberista, della crisi ecologica e economica e della guerra, non si sviluppano movimenti di massa in grado di cambiare l’agenda del Paese e dell’Europa.

Una sinistra con un punto di vista anticapitalista, ambientalista, femminista, intersezionale, è quanto mai necessaria di fronte a un governo che porterà avanti una miscela di populismo reazionario e neoliberismo.

Nella costruzione dell’opposizione vanno evitati due errori speculari: quello della subalternità alle forze che punteranno a una nuova soluzione tecnocratica, con la riedizione di un frontismo di centrosinistra senza contenuti di alternativa e quello della sottovalutazione della specificità e dell’aggressività della destra fascistoide.

Il risultato elettorale conferma la necessità di costruire una coalizione popolare e contro la guerra che avevamo proposto dopo la crisi di governo e da questo punto di vista va rilanciata la nostra iniziativa a partire dai contenuti dell’opposizione al governo.

La costruzione di un movimento contro la guerra e contro il carovita è il terreno immediato su cui mobilitarsi e su entrambi i temi è evidente la necessità di una rottura con le politiche perseguite dai governi degli ultimi decenni. Lavoriamo per lo sviluppo della campagna “noi non paghiamo” e più in generale contro il caro-bollette.

La Direzione Nazionale impegna la Segreteria Nazionale nella prosecuzione dell’interlocuzione con le altre componenti di Unione Popolare per individuare i prossimi passaggi e consegna alla discussione del partito e del prossimo Comitato Politico Nazionale la prosecuzione del confronto sulla fase politica e i nostri compiti.

La Direzione Nazionale impegna tutto il partito in vista delle scadenze nazionali già fissate di mobilitazione, a partire dalla manifestazione nazionale della Cgil di sabato 8 ottobre, la manifestazione di Bologna del 22 ottobre, le manifestazioni a Napoli e Roma del 5 novembre, lo sciopero dei sindacati di base del 2 dicembre, nel rilancio delle campagne per una legge elettorale proporzionale e contro ogni autonomia differenziata.

La Direzione Nazionale esprime la solidarietà e sostegno del PRC alla mobilitazione delle donne e dei giovani contro la repressione e l’oscurantismo del regime teocratico iraniano e alla resistenza del popolo e in particolare delle donne curde, che continuano a essere bersaglio del terrorismo di stato del regime di Erdogan.

Di fronte all’escalation bellica la Direzione Nazionale di Rifondazione Comunista rilancia la proposta a tutti i partiti, i sindacati, i movimenti, le associazioni, le reti schierate contro l’invio delle armi e per una soluzione di pace, di convocare una grande manifestazione contro la guerra e di proporre alla Sinistra Europea di lavorare per una giornata di mobilitazione internazionale.

Costruiamo l’Unione Popolare contro la destra, la crisi e la guerra!

 

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