Il piano tecnologico cinese di “autosufficienza” traballa davanti all’aumento della pressione USA

Juan Chingo*

Negli ultimi mesi, gli Stati Uniti hanno aumentato la pressione sull’industria cinese della produzione di chip, che già si stava barcamenando con i controlli sulle esportazioni statunitensi fin dall’era Trump, mantenuti e aumentati dall’attuale presidente Biden. La conversione, all’inizio di agosto, di un enorme programma di sussidi statunitensi per i semiconduttori, insieme al tentativo di Washington di isolare il paese con una proposta “Chip 4 Alliance” con i leader dei semiconduttori di Taiwan, Corea del Sud e Giappone, complicherà ulteriormente gli sforzi della Cina per raggiungere l'”autosufficienza” tecnologica voluta dal suo presidente, Ji Xinping.

Delocalizzare la produzione di “fabs” e ostacolarla in Cina

Sebbene gli Stati Uniti siano leader mondiali in alcuni settori chiave dell’industria dei semiconduttori, come la progettazione di chip e le apparecchiature per la loro produzione, la loro quota di produzione effettiva è costantemente diminuita negli ultimi decenni. La loro parte nella produzione globale di semiconduttori è diminuita dal 37% negli anni ’90 a circa il 12% nel 2021, secondo un recente rapporto della Semiconductor Industry Association (SIA), un gruppo di lobbying statunitense. Nel frattempo, la quota della Cina sulla produzione globale di semiconduttori potrebbe raggiungere il 24% nel 2030, rispetto al 15% di oggi, sebbene secondo la SIA la maggior parte di questi chip sia relativamente meno avanzata.

Il Chips and Science Act, approvato ad agosto con il sostegno bipartisan al Congresso, cerca di invertire questa tendenza spingendo le aziende a costruire impianti di produzione nazionali, noti anche come “fab”. Dei 52.700 milioni di dollari di incentivi per il settore, 39.000 milioni sono destinati agli aiuti finanziari diretti per la costruzione e l’ampliamento degli stabilimenti. I restanti 13.000 milioni saranno utilizzati per altri scopi, come la ricerca e la formazione del personale[1]. Questa importante somma va a rafforzare il già notevole vantaggio degli USA nel campo della Ricerca e Sviluppo (R&S). Le società statunitensi di semiconduttori spendono tra i 35 e i 40 miliardi di dollari all’anno in ricerca e sviluppo, mentre i loro rivali cinesi spendono circa 2 miliardi di dollari, anche se è probabile che quest’ultima cifra aumenti rapidamente. A sua volta, autorizza oltre 200.000 milioni di dollari in ulteriori fondi scientifici.
È improbabile che queste misure risolvano tutti i problemi strategici dell’America legati a decenni di deindustrializzazione e delocalizzazione all’estero, poiché è improbabile che queste sovvenzioni inducano le aziende taiwanesi e coreane a portare le loro tecnologie più avanzate negli Stati Uniti. Anche con le nuove strutture, gli Stati Uniti rimarranno sostanzialmente dipendenti dalla Cina per l’imballaggio dei chip e per la produzione della maggior parte dei prodotti elettronici. In compenso, il finanziamento aiuterà senza dubbio Intel, che è l’unico produttore statunitense di chip avanzati con sede negli USA, a cercare di riconquistare la sua posizione tecnologica rispetto al TSMC di Taiwan, il che fornirebbe agli Stati Uniti una notevole capacità di produrre chip avanzati, e contemporaneamente li renderebbe meno dipendenti dalla produzione a Taiwan, uno dei punti di tensione geopolitica a livello mondiale, sottoposto alla costante pressione politica e militare della Cina.

Ma il Chips and Science Act non si limita ad aumentare la capacità di produzione negli Stati Uniti, ma ha anche lo scopo di ostacolare la Cina. I produttori di chip potranno beneficiare delle sovvenzioni solo se rinunceranno per un decennio dall’investire o espandere strutture avanzate in Cina, ovvero quelle che producono chip con nodi inferiori a 28 nanometri[2]. Questa scelta difficile sarà particolarmente gravosa per le aziende non statunitensi come le leader del settore Taiwan Semiconductor Manufacturing Co. Ltd. e la sudcoreana Samsung Electronics Co. Ltd. – Ltd., che hanno già investito molto nel mercato cinese. Secondo fonti del settore, Samsung e la SK Hynix -anch’essa coreana – che hanno rispettivamente una fabbrica e un impianto di confezionamento negli Stati Uniti, stanno rivalutando i loro piani per la Cina[3].

Inasprimento delle restrizioni all’esportazione di apparecchiature per la produzione di chips

Contemporaneamente all’adozione di questa nuova politica industriale come arma tecnologica contro il colosso asiatico, gli Stati Uniti hanno inasprito le restrizioni all’accesso della Cina alle apparecchiature per la produzione di chip. In questo modo, il presidente Joe Biden ha mantenuto e perfezionato il regime di controllo delle esportazioni di Donald Trump per frenare il prograsso dei chip cinesi.
Washington aveva già vietato la vendita della maggior parte dei dispositivi in ​​grado di creare chip di 10 nanometri o meno senza licenza. Questa misura colpiva in modo specifico il principale produttore cinese a contratto, Semiconductor Manufacturing International Corp. (SMIC). Ora, secondo Tim Archer, presidente e direttore esecutivo di Lam Research Corp., il Dipartimento del Commercio ha esteso il divieto alle apparecchiature in grado di produrre qualsiasi cosa più grande e più complesso di 14 nm. Archer ha affermato che è probabile che il divieto si applichi non solo a SMIC, ma anche ad altri impianti di produzione gestiti da produttori di chip a contratto che operano in Cina, inclusa la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company[4]. Da parte sua, Rick Wallace, direttore esecutivo di KLA Corp., ha confermato che la sua azienda era stata informata dal governo statunitense della modifica dei criteri per autorizzare l’esportazione di chip prodotti in Cina. Sebbene ci sia un certo numero di aziende cinesi emergenti nel campo della produzione di chip, nessuna può sostituire i prodotti di Lam o KLA. Secondo esperti del settore, senza l’accesso alle avanzate apparecchiature statunitensi per la produzione di chip, le aziende cinesi di semiconduttori impiegheranno più tempo ad avviare la produzione di massa di chip sotto i 14 nanometri.

A loro volta, nell’agosto di quest’anno, gli Stati Uniti hanno imposto requisiti di licenza su tre tecnologie relative ai chip, definite in modo molto preciso: substrati di ossido di gallio e diamante[5], software di automazione della progettazione elettronica per lo sviluppo di alcuni chip avanzati[6] e tecnologia di combustione mediante guadagno di pressione (PGC in inglese)[7]. L’ultima novità del tornello tecnologico, l’azienda high-tech californiana Nvidia non potrà più vendere alla Cina il suo ultimo chip, il modello A100. Come spiega l’analista economico del quotidiano francese Le Monde, Philippe Escande:

«L’elaborazione delle immagini è ora la pietra angolare dei sistemi di intelligenza artificiale. L’ultimo chip di Nvidia, il modello A100, racchiude 54 miliardi di transistor in un minuscolo quadrato delle dimensioni di un’unghia. Può eseguire cinque milioni di operazioni al secondo. Lanciato nel 2020, aveva alimentato i supercomputer dell’Argonne Laboratory (Illinois) del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti e poi, molto rapidamente, i sistemi di riconoscimento delle immagini in Cina. Questo non sarà più possibile. La società ha annunciato giovedì 1 settembre che il governo degli Stati Uniti le sta ora vietando di vendere l’A100 ai cinesi, così come gli altri suoi modelli in fase di sviluppo. L’amministrazione Biden sa che Pechino non è in grado di produrre un componente così sofisticato e che non potrà farlo ancora per molto tempo, e quindi pretende di bloccare i progressi cinesi nel campo dell’intelligenza artificiale[8]

La statunitense AMD ha a sua volta dichiarato di aver ricevuto nuovi requisiti per la licenza che impediranno l’esportazione in Cina del suo chip AI avanzato MI250[9].

Questo inasprimento dei controlli, pensato al millimetro, ha lo scopo di consentire ai fornitori statunitensi di fare soldi vendendo vecchie tecnologie alla Cina, impedendo al contempo l’esportazione di tutto ciò che potrebbe permettere alla Cina di piazzarsi all’avanguardia mondiale. Accanto a queste misure di estorsione economica, e con lo stesso obiettivo, gli Stati Uniti hanno intensificato la pressione sugli alleati per una campagna coordinata volta a negare alla Cina l’accesso agli strumenti più avanzati per la produzione di semiconduttori: la litografia ultravioletta profonda (DUV), che è prodotta principalmente nel Stati Uniti, nei Paesi Bassi e in Giappone; e litografia ultravioletta estrema (EUV) di fascia alta, che è praticamente un monopolio della società olandese ASML. Su questo punto c’è ancora molta resistenza, poiché la Cina è un mercato importante per queste aziende. I Paesi Bassi non sono disposti a sottoscrivere un divieto sulla tecnologia DUV, ma probabilmente si uniranno agli Stati Uniti e al Giappone entro la fine dell’anno sul divieto della tecnologia EUV. Ciò formalizzerebbe una restrizione che i Paesi Bassi hanno messo in atto sotto l’intensa pressione diplomatica degli Stati Uniti per impedire all’EUV di arrivare in Cina. Ciò riflette in parte una convergenza graduale dell’Unione Europea verso la posizione degli Stati Uniti sulla Cina, soprattutto per quanto riguarda i controlli tecnologici, facilitata in gran parte dalla recente guerra in Ucraina.

L’alleanza Chip 4 e le nuove filiere di fornitura

Gli Stati Uniti hanno anche recentemente proposto la Chip 4 Alliance – che include Taiwan, Corea del Sud e Giappone – che creerebbe una catena di fornitura di semiconduttori incentrata sugli Stati Uniti e che esclude la Cina continentale. Il suo obiettivo strategico è spezzare o ridurre qualitativamente l’attuale dipendenza dalle catene di approvvigionamento asiatiche. Ma l’unione di questi partner sarà soggetta a grandi sfide. Al momento, il Giappone è il più attivo nell’allineare i propri interessi con quelli degli Stati Uniti: entrambi hanno annunciato alla fine di luglio che istituiranno un centro di ricerca sui semiconduttori incaricato di far progredire la messa a punto di nodi di elaborazione di 2 nanometri entro il 2025. I due paesi hanno anche annunciato un nuovo sistema di dialogo ministeriale nell’ambito dello sforzo per aumentare la comunicazione. Dal canto loro, Corea del Sud e Taiwan sono più ambivalenti riguardo all’adesione all’alleanza, poiché la Cina continentale rimane un mercato e una base di produzione particolarmente importanti per entrambi. Oltre il  40% dei chip NAND prodotti da Samsung Electronics sono prodotti nella Cina continentale. È anche un mercato chiave per l’altro produttore leader di chip di memoria della Corea del Sud, SK Hynix. Tuttavia, la pressione è molto forte: un alto funzionario coreano citato dal Financial Times afferma che:

«Nel tempo, è probabile che diversi investimenti coreani nella produzione di chip in Cina vengano “abbandonati”. “Le barriere contro la Cina accelereranno il trasferimento dei produttori di chip coreani dalla Cina agli Stati Uniti”, ha affermato Kim Young-woo, capo della ricerca presso SK Securities a Seoul e consulente del governo coreano sulla politica dei semiconduttori. “Hanno ripensato le loro strategie a causa della guerra tecnologica USA-Cina e ora si stanno orientando maggiormente verso gli Stati Uniti a causa dei rischi geopolitici”. Kim ha aggiunto che gruppi coreani come Samsung e SK Hynix “costruiranno più impianti negli Stati Uniti perché non possono produrre in serie chip di prossima generazione senza le apparecchiature e la tecnologia statunitensi. Se devono scegliere tra Stati Uniti e Cina, non hanno altra scelta che optare per gli Stati Uniti”[10]

Se queste mosse si concretizzeranno, gli sforzi di Washington per incoraggiare i principali produttori di chip ad allontanarsi dalla Cina e avvicinarsi agli Stati Uniti avranno dato i loro frutti[11]. Ma gli Stati Uniti devono calibrare molto bene i loro attacchi, stando attenti a non diventare troppo duri. I loro sforzi per limitare l’accesso della Cina alle apparecchiature più antiquate potrebbero spezzare l’alleanza[12].

La strada dell’autosufficienza proclamata da Xi Jinping e le recenti battute d’arresto

A peggiorare le cose, questa brutale offensiva statunitense ha coinciso con lo scoppio degli scandali di corruzione e tangenti, che mettono in dubbio le ambizioni della Cina nella produzione di chip. In effetti, diversi alti dirigenti legati al più grande fondo di investimento cinese per l’industria dei semiconduttori e un importante produttore di chip sono stati indagati per casi di corruzione, sconvolgendo l’industria che è al centro della corsa all’autosufficienza tecnologica del Paese. Come riporta Dan Macklin, a metà luglio:

«L’agenzia anticorruzione del Partito Comunista Cinese (PCC) ha indagato su almeno otto alti dirigenti dell’industria cinese dei semiconduttori, tutti collegati al National Integrated Circuit Industry Investment Fund, soprannominato il “Big Fund”. Tra i dirigenti indagati ci sono Ding Wenwu (ex presidente del Grand Fund), Diao Shijing (ex presidente del Grand Fund) e Zhao Weiguo (ex presidente della holding del Grand Fund, Tsinghua UniGroup). Indagati anche diversi ex dipendenti di Sino IC Capital (l’ente gestore della Gran Fondo). Nel frattempo, Pechino ha epurato Xiao Yaqing, l’ex capo del Ministero dell’Industria e della Tecnologia dell’Informazione (MIIT), di cui Diao e Ding erano funzionari. Xiao è diventato il primo ministro in carica sotto inchiesta in molti anni e la maggior “tigre” caduta prima del 20° congresso nazionale del Partito, svoltosi quest’anno [13]

Il Big Fund ha svolto un ruolo centrale nello sviluppo dell’industria cinese della produzione di chip fornendo finanziamenti stabili e sostegno statale alle start-up che avevano difficoltà ad accedere a capitali da altre fonti, in un settore in cui il ciclo di investimento è molto lungo e richiede un ampio quantitativo di denaro, e in cui il mercato potrebbe essere riluttante a investire. Il Fondo ha effettuato investimenti che hanno spinto l’industria cinese della memoria ai primi ranghi nel mondo; hanno ampliato notevolmente la capacità di produzione cinese nei nodi maturi (in particolare il nodo a 28 nm, che è il nodo di molti chip comunemente usati) e hanno creato una vivace catena di approvvigionamento nazionale e un ecosistema di progettazione. Tuttavia, la serie di scandali ha sollevato interrogativi sull’efficacia e sul valore futuro del fondo. Le critiche sono aumentate negli ultimi anni dopo che diversi progetti di alto profilo in cui il fondo ha investito hanno avuto problemi. Quindi, come dice Macklin, «…l’industria è stata colpita da diversi fallimenti di alto profilo, come quello della Tsinghua UniGroup[14], che quest’anno ha dovuto essere salvata dopo una prolungata crisi di insolvenza. Un’altra debacle è stato il crollo nel 2020 della Wuhan Hongxin Semiconductor Manufacturing; a quanto pare, i suoi dirigenti sono fuggiti dopo aver accumulato $ 19,6 miliardi di debiti e prodotto poco più di un guscio di cemento non finito“.»

Mentre gli arresti possono segnare il culmine di uno sforzo di due anni per ripulire la spazzatura e le frodi nel settore – cosa non sorprendente in un programma di politica industriale così generosamente finanziato – vi sono dubbi che essi riflettano un maggiore malcontento per il modo in cui si sta realizzando la politica industriale dei semiconduttori. Il fatto è che, nonostante alcuni successi[15], l’investimento di ingenti fondi non ha permesso di ridurre significativamente la dipendenza della Cina dalla tecnologia importata. Come ho spiegato nel mio articolo  “Il posto della Cina nella gerarchia del capitalismo globale”, i semiconduttori sono il tallone d’Achille delle ambizioni cinesi nel campo dell’intelligenza artificiale. Peggio ancora, le restrizioni tecnologiche adottate dagli Stati Uniti potrebbero rallentare ulteriormente il progresso di queste aziende verso una vera competitività nelle tecnologie all’avanguardia. In questo modo, la nuova politica USA, pur consentendo ai produttori di chip cinesi di espandere la propria capacità di produzione per i chip delle generazioni precedenti, in modo che le aziende americane possano continuare a vendere apparecchiature in quel mercato redditizio, cerca di impedire o di porre ostacoli alla produzione da parte delle aziende cinesi di semiconduttori di alta gamma, facendo in modo che permanga un ampio divario tra il livello tecnologico degli Stati Uniti e dei suoi alleati e quello della Cina. In breve, un duro colpo al progresso tecnologico della Cina, un complesso di misure che fungono da contraccolpo dopo anni di intesa tra le grandi società tecnologiche statunitensi ed il centro di produzione cinese, che possono essere letali: dopo che l’amministrazione Trump ha introdotto restrizioni alle esportazioni di chip nel 2020, il mercato mondiale di smartphone di Huawei è stato distrutto[16],

Visti a livello globale, tutti gli elementi sollevati in questo articolo sollevano un grosso interrogativo sulla determinazione del Paese ad essere tecnologicamente autosufficiente. Come dice Li Yuan sul New York Times:

«L’industria dei chip è molto complessa e interconnessa. Si basa su una catena di approvvigionamento globale integrata e attinge alle competenze di diverse regioni: design negli Stati Uniti; produzione a Taiwan e Corea del Sud; assemblaggio, imballaggio e collaudo in Cina; e attrezzature nei Paesi Bassi. I vantaggi comparativi di ciascuna regione sono stati costruiti su decenni di spese in conto capitale e ricerca e sviluppo. “Qualsiasi governo che aspiri a diventare autosufficiente nel settore dei semiconduttori deve affrontare la dura realtà”, ha affermato in un’intervista Christopher A. Thomas, un senior fellow non residente presso la Brookings Institution ed ex direttore generale di Intel in Cina. ‘I semiconduttori rappresentano la forma più alta delle conquiste dell’ingegneria umana. Sono la cosa più difficile che creiamo come specie. Come può un paese “vincere tutto” da solo?[17]

Da parte sua, lo stesso editorialista cita Charles Kau, un veterano taiwanese dell’industria dei semiconduttori che ha lavorato su entrambe le sponde dello Stretto di Taiwan. In una recente intervista a un giornale, questi ha affermato di aver tentato più volte di dire ai dirigenti dell’azienda tecnologica continentale che la Cina potrebbe aver bisogno di 30 – o anche 50 – anni per diventare leader nel settore.

Gli ostacoli quasi insormontabili all’autosufficienza tecnologica cinese mostrano gli enormi ostacoli per l’emergere di nuove potenze imperialiste nel 21° secolo. La storia dirà se la Cina sarà l’unica eccezione che va contro questa “legge ferrea” che ha prevalso per tutto il secolo scorso. Nell’immediato, ciò che è chiaro è che le prospettive per la Cina si sono oscurate su un altro fronte ancora, (vedi  qui,  qui,  qui e qui ). Non è lo scenario migliore per la rielezione a tempo indeterminato del suo segretario generale nel tanto atteso XX Congresso del Partito Comunista Cinese che si aprirà il 16 ottobre. State attenti!

*Juan Chingo è membro del Comitato Editoriale di Révolution Permanente (Francia) e  dell’International Strategy Magazine . Autore di molteplici articoli e saggi sui problemi dell’economia internazionale, della geopolitica e delle lotte sociali della teoria marxista. È coautore con Emmanuel Barot del saggio  The Working Class in France: Myths and Realities. Per una cartografia oggettiva e soggettiva delle forze proletarie contemporanee  (2014) e autore del libro  Gilets jaunes. Le soulèvement  (Communard es, 2019).

Fonte: Izquierdadiario, https://www.izquierdadiario.es/El-plan-de-autosuficiencia-tecnologica-chino-tambalea-frente-a-la-redoblada-presion-norteamericana#nb17

NOTE

[1] Si tratta di importi considerevoli, ma non enormi per gli standard del settore. I 39 miliardi di dollari di aiuti diretti agli investimenti sarebbero sufficienti per costruire due fabbriche all’avanguardia o forse quattro fabbriche ordinarie di alto volume; Attualmente sono in costruzione 29 fabbriche di alto volume in tutto il mondo, di cui sei negli Stati Uniti, con un investimento totale compreso tra 80 e 100 miliardi di dollari.

[2] Nella produzione di circuiti integrati, minore è il rapporto nanometrico, più avanzata è la tecnologia

[3] “Samsung and SK Hynix rethink China exposure following US chips act”, Financial Times 03/08/2022.

[4] Secondo questo dirigente, i nuovi requisiti sono diretti ai produttori a contratto ed escludono i chip di memoria

[5] US ramps up China tech sanctions faster than expected », Asia Times 02/09/2022

[6] “Inside the software that will become the next battle front in US-China chip war”, MIT Technology Review, 18/8/2022.

[7] “Semiconductors and Chips: The 21st Century Arms Race”,  S&P Global , 9/1/2022. La tecnologia PGC può essere utilizzata sia in applicazioni terrestri che aerospaziali, inclusi razzi e sistemi ipersonici. Questa tecnologia ha il potenziale per aumentare l’efficienza dei motori a turbina a gas di oltre il 10%.

[8] « Les puces et le jeu de la guerre”,  Le Monde , 2/9/2022

[9]AMD says U.S. told it to stop shipping top AI chip to China”, Reuters 1/9/2022

[10] Idem nota 3.

[11] Come riportato dal Financial Times, Samsung Electronics, il più grande produttore mondiale di chip di memoria, ha annunciato l’anno scorso che avrebbe investito 17 miliardi di dollari in un nuovo stabilimento in Texas nel tentativo di eguagliare il rivale taiwanese TSMC nel settore delle fonderie. Da parte sua, Joe Biden ha visitato le strutture di Pyeongtaek del conglomerato coreano durante un viaggio in Corea del Sud a maggio. A luglio, Chey Tae-won, presidente di SK Hynix, la società madre del gruppo SK, ha tenuto un incontro virtuale con il presidente degli Stati Uniti per annunciare investimenti per 22 miliardi di dollari in semiconduttori, batterie per veicoli elettrici e tecnologia verde negli Stati Uniti, tra cui un nuovo impianto di confezionamento di chip avanzati. In questo nuovo contesto, l’impianto di chip di memoria Dram di SK Hynix a Wuxi, nella Cina orientale, è considerato l’impianto di proprietà coreana più vulnerabile agli effetti delle restrizioni USA.

[12] Come abbiamo detto, la società olandese ASML, il principale produttore mondiale di apparecchiature per litografia, è stata finora disposta a rinunciare alle vendite di EUV in Cina, visti gli ordini in eccesso da altri clienti, però potrebbe essere molto più problematico metterla sotto pressione perché interrompa le vendite di DUV in Cina. Allo stesso tempo, se Washington continuerà ad aumentare i controlli in tutti i segmenti di mercato le principali imprese di fusione di chip – come TSMC e Samsung Electronics – potrebbero improvvisamente trovare utile la creazione di stabilimenti avanzati privi di tecnologie statunitensi per poter servire il mercato cinese.

[13]What’s Driving China’s Chip Sector Crackdown?”, The Diplomat, 29/08/2022.

[14] Tsinghua Unigroup è la più grande holding di semiconduttori in Cina

[15] Le aziende cinesi hanno propagandato i loro progressi tecnologici: recentemente SMIC, la principale fonderia cinese, afferma di poter ora produrre chip su un nodo di processo a 7 nm. YMTC, il campione di memoria in Cina, sta raggiungendo i leader tecnologici nelle memorie flash. Entrambe le affermazioni dovrebbero essere trattate con cautela, poiché essere in grado di produrre chip su piccola scala in cicli sperimentali non equivale a produrli in grandi volumi con rese elevate senza difetti.

[16] Di recente, Su Ren Zhengfei in una nota ai dipendenti ha affermato che la sopravvivenza è l’obiettivo principale dell’azienda. “Con la sopravvivenza come principio principale, le attività marginali si ridimensioneranno e chiuderanno”, ha scritto Ren. “Tutti avranno i brividi”. Per preparare gli animi all’ennesima drammatica ristrutturazione del colosso tecnologico con sede a Shenzhen, ha dichiarato che i prossimi 10 anni saranno probabilmente dolorosi a causa dell’impatto della guerra della Russia con l’Ucraina e del “blocco continuo” degli Stati Uniti. Insieme agli effetti della pandemia di Covid-19, non ci sarà “nessun punto luminoso nel mondo” nei prossimi tre o cinque anni, ha scritto.

[17]Xi Jinping’s Vision for Tech Self-Reliance in China Runs into Reality”, New York Times, 29/08/2022

Fonte: Izquierdadiario, https://www.izquierdadiario.es/El-plan-de-autosuficiencia-tecnologica-chino-tambalea-frente-a-la-redoblada-presion-norteamericana#nb17

Illustrazione: Juan Atacho