La situazione militare in Ucraina

Pubblichiamo un’interessante analisi tratta dal sito del Centre français de recherche sur le  renseignement. L’autore, Jacques Baud, è un ex colonnello di Stato maggiore generale, ex membro del servizio di informazione strategico svizzero, specialista dei paesi dell’est. E’ stato addestrato nei servizi di informazione americano e britannico. E’ stato capo della dottrina delle operazioni di pace delle Nazioni Unite. Esperto delle Nazioni Unite per lo stato di diritto e le istituzioni di sicurezza, ha concepito e diretto il primo servizio di informazione multidimensionale delle Nazioni Unite in Sudan. Ha lavorato per l’Unione africana e per cinque anni è stato responsabile della NATO per la lotta contro la proliferazione delle armi leggere. Ha partecipato a discussioni con i maggiori responsabili militari e del servizio di informazione russo subito dopo la caduta dell’URSS. Per la NATO ha seguito la crisi ucraina del 2014, poi ha partecipato a programmi di assistenza all’Ucraina. E’ autore di diversi libri sull’informazione, la guerra e il terrorismo, ed in particolare Le détournement, Edition SIGEST, Gouverner par les fake news, L’affaire Navalny e Poutine, maitre du jeu? Edizioni Max Milo.

Data la lunghezza del testo, ne pubblichiamo solo l’inizio. Il resto della versione italiana si trova qui. L’originale in francese può essere letto sul sito del Centro, ed esiste anche una traduzione in spagnolo pubblicata su El Manifiesto.

Prima parte: in marcia verso la guerra

Per anni, dal Mali all’Afghanistan, ho lavorato per la pace e per questo ho rischiato la vita. Non si tratta quindi di giustificare la guerra, ma di capire che cosa ci ha portato fino ad essa. Devo constatare che gli “esperti” che si avvicendano sugli schermi televisivi analizzano la situazione a partire da informazioni dubbie, in generale si tratta di ipotesi assurte al ruolo di fatti; per questo non si riesce a capire cosa sta succedendo. E’ così che si creano situazioni di panico.

Il problema non è tanto di sapere chi ha ragione in questo conflitto, ma di interrogarsi sulla maniera in cui i nostri dirigenti assumono le loro decisioni.

Cerchiamo di analizzare le radici del conflitto. La storia comincia con quelli che negli ultimi otto anni ci hanno parlato di “separatisti” o di “indipendentisti” del Donbass. E’ falso. I referendum che si sono svolti nelle due repubbliche autoproclamate di Donetsk e di Lugansk nel  maggio 2014 non erano referendum sulla “indipendenza” (независимость), come affermato da alcuni giornalisti poco scrupolosi, ma referendum sulla “autodeterminazione” o sulla “autonomia” (самостоятельность). Il qualificativo “filo-russi” suggerisce che la Russia era parte del conflitto – il che non era vero; il termine “russofono” sarebbe stato più onesto. Del resto questi referendum si sono svolti malgrado il parere contrario di Vladimir Putin.

In realtà queste repubbliche non cercavano di separarsi dall’Ucraina, ma di avere uno statuto di autonomia che garantisse loro l’uso della lingua russa come lingua ufficiale. Perché il 23 febbraio 2014 il primo atto legislativo del nuovo governo, nato dal rovesciamento del presidente Ianukovitch, è stato l’abolizione della legge Kivalov-Kolesnichenko del 2012, che definiva il russo come una lingua ufficiale. Un po’ come se dei golpisti decidessero che il francese e l’italiano non saranno più lingue ufficiali in Svizzera.

Questa decisione provoca una bufera tra la popolazione russofona. Ne risulta una repressione feroce contro le regioni russofone (Odessa, Dnepropetrovsk, Kharkiv, Lugansk e Donetsk) a partire da febbraio 2014, che porta ad una militarizzazione della situazione e ad alcuni massacri (a Odessa e Mariupol, per citare i principali). Alla fine dell’estate del 2014 restano solo le repubbliche autoproclamate di Donetsk e Lugansk.

Segue…