Torna il terrore nell’AANES

La rivolta nella prigione dell’ISIS a Hesekê

5.000 prigionieri dell’ISIS provenienti da 54 nazioni erano detenuti nella prigione di Sina’a a Hesekê (Hasakah) in Rojava (Siria settentrionale). Di conseguenza, il 20 gennaio 2022 i militanti dell’ISIS sostenuti dal regime di Erdoğan in Turchia hanno lanciato un attacco per salvarli – una data che è stata scelta perché è l’anniversario della dichiarazione dell’Amministrazione Autonoma del Nord e dell’Est della Siria (AANES[i]).

La prima fase del tentativo di fuga è consistita in una rivolta coordinata nella prigione di Sina’a, iniziata il 20 gennaio alle 19:30, contemporaneamente all’esplosione di un’autobomba suicida contro il cancello e le mura della prigione. Questo attacco iniziale ha ucciso diverse guardie sul perimetro della prigione e ha dato il via ad un assalto da parte degli attaccanti dell’ISIS in appoggio alla rivolta che stava iniziando all’interno della prigione.

Le truppe d’assalto di questa evasione ben organizzata erano costituite da oltre 200 membri dell’ISIS provenienti dalle zone del Rojava occupate dai turchi (Serê Kaniyê e Girê Spî) e dalle zone di confine vicino all’Iraq. E quando è iniziato l’assalto, i detenuti dell’ISIS hanno dato fuoco alle loro coperte per provocare caos e confusione all’interno della prigione. Di fronte a questa minaccia emergente per la regione, le Forze Democratiche Siriane (SDF) hanno inviato dei combattenti per rinforzare le forze di sicurezza civili e le guardie carcerarie, ma sono stati attaccati da droni e aerei militari turchi, che stavano fornendo copertura aerea all’assalto dell’ISIS.

Gli obiettivi strategici della Turchia

Lo stato turco e la dittatura di Tayyip Erdoğan hanno utilizzato l’ISIS come mercenari per procura contro le AANES, come hanno fatto fin dall’inizio. La Turchia ha fornito a questi aggressori un attivo supporto di pianificazione, logistica e intelligence, così come l’intelligence turca del MIT ha per anni rafforzato la loro “autostrada jihadista” da Istanbul a Gaziantep e in Siria. L’obiettivo strategico era quello di far rivivere il terrore dell’ISIS contro l’AANES e la sua filosofia democratica e multietnica che governa la regione – rappresentata dal MSD (Consiglio Democratico Siriano).

Gli obiettivi di Damasco

Anche il governo di Assad ha cercato di approfittare della situazione, incolpando inizialmente le SDF e le forze della coalizione del caos nella prigione. Invece di stare al fianco dell’AANES contro la Turchia – una nazione che ha occupato illegalmente il suolo siriano per anni – Damasco ha affermato in modo disonesto che erano stati commessi crimini di guerra e che la demografia della zona era stata modificata dalle SDF. L’obiettivo era quello di indebolire l’AANES e rendere più probabile il ritorno di Assad nella zona, caratterizzando erroneamente il conflitto come un conflitto etnico, cioè curdi contro arabi.

La realtà è che curdi e arabi, insieme ad altre etnie come assiri, armeni, circassi e turcomanni, servono onorevolmente nelle SDF e sono rappresentati nelle strutture politiche dell’AANES. Infatti è nel regime di Assad che l’etnia o la religione costituiscono una barriera all’ingresso. Eppure la speranza è sempre stata che le forze di Assad capissero che la Turchia è un nemico di tutti i siriani, e che si schierassero a fianco delle SDF per liberare le aree terrorizzate dai mercenari turchi, come Afrin; invece recentemente hanno scelto di diffondere una propaganda che aiuta solo gli obiettivi di Ankara.

Il motivo è che Damasco spera di tornare al potere in tutte le aree AANES, con l’appoggio dei russi. Pertanto ha creduto che il successo di un’evasione dell’ISIS gli avrebbe permesso di sostenere la necessità dell’intervento dell’esercito siriano e che le aree a maggioranza araba dell’AANES sarebbero tornate sotto il suo controllo militare.

Per fortuna, grazie all’eroismo e al sacrificio delle SDF, il 26 gennaio è stata ottenuta un’altra vittoria storica, e l’attacco alla prigione della Turchia per far risorgere l’ISIS è stato sconfitto. Come punizione una settimana dopo, il 1 febbraio 2022, l’aviazione turca e i suoi droni hanno attaccato la regione Dêrik del Rojava, insieme alle vicine aree curde di Şengal (Sinjar) e Mexmûr (Maxmur) nel Kurdistan meridionale (Iraq settentrionale). Con questi dispettosi crimini di guerra e vendetta, Erdoğan ha mostrato la sua rabbia per aver perso un’altra battaglia guidata dall’ISIS, come aveva già fatto con la famosa vittoria di Kobanê.

I prigionieri dell’ISIS come polveriera

La prigione di Sina’a è un ex edificio scolastico e quindi non è adatta per ospitare in sicurezza migliaia di pericolosi detenuti. Inoltre, le decine di migliaia di familiari dell’ISIS (mogli e figli), detenuti nel vicino campo di Al Hol, esacerbano la sfida di AANES di mantenere la regione e il mondo liberi dal terrore dell’ISIS.

Human Rights Watch (HRW) afferma che 12.000 uomini e ragazzi, tra cui ben 4.000 stranieri provenienti da oltre 50 paesi, sono detenuti dalle SDF in diversi centri di detenzione. Mentre alcuni gruppi civici lanciano accuse di maltrattamento verso questi detenuti, l’AANES nega tali affermazioni e sottolinea le sfide logistiche estreme che il mondo le ha lasciato, dato che così tante nazioni si rifiutano di rimpatriare i membri dell’ISIS originari dei loro paesi.

Per esempio, ogni giorno nel campo di Al Hol si verificano aggressioni, uccisioni, decapitazioni e incendi dolosi da parte dei detenuti dell’ISIS contro il personale di sicurezza e i compagni del campo. A peggiorare le cose, anche i bambini vengono reclutati in questi campi e crescendo si trasformano da adolescenti in combattenti dell’ISIS potenzialmente pericolosi.

L’AANES è occasionalmente criticata perché detiene dei bambini in questi campi; tuttavia questo è ingiusto, perché il resto del mondo ha trascurato le proprie responsabilità e ha lasciato all’AANES tutto l’onere di affrontare i resti dell’ISIS. A peggiorare le cose, l’AANES è costantemente sotto attacco da parte della Turchia, di cui molte nazioni occidentali si rendono complici rifiutandosi di fermare Erdoğan. Il silenzio nelle capitali occidentali diventa la violenza dei mercenari della Turchia.

La soluzione è che le nazioni si riprendano i loro cittadini che si sono uniti all’ISIS e contribuiscano a stabilire un tribunale internazionale affinché gli altri possano essere processati per i loro crimini di guerra. Un desiderio che purtroppo è caduto nel vuoto.

La simbiosi tra Turchia e ISIS

La Turchia e l’ISIS sono partner strategici e ideologici, che di solito agiscono all’unisono. L’attacco alla prigione ha ancora una volta messo in luce come ogni volta che l’ISIS si solleva per seminare il terrore è sostenuto da un coincidente attacco militare turco o da un’invasione.

Dal momento in cui, nel 2014, i militanti internazionali dell’ISIS hanno iniziato ad convergere da tutto il mondo negli aeroporti di Istanbul, il gruppo terroristico si è configurato come una seria minaccia per il Kurdistan, la Siria, l’Iraq, il Medio Oriente in generale e l’intero pianeta. In un breve periodo di tempo, con l’assistenza dello stato turco, i suoi finanziamenti e il sostegno militare, l’ISIS è stato in grado di reclutare oltre centomila mercenari e condurre una campagna di terrore su vasta scala, che si è realizzata anche nelle città europee.

In pochissimo tempo, l’ISIS è stato in grado di occupare metà della Siria e un terzo dell’Iraq per proclamare il suo cosiddetto Califfato. All’epoca, gli osservatori erano scioccati, ma qualsiasi indagine realistica mostra le impronte digitali della Turchia su ogni conquista e vittoria dell’ISIS. Infatti, il vero “stato” dietro il cosiddetto “Stato Islamico” era quello turco. Questo si è reso ancora più evidente durante l’eroica battaglia di Kobanê, dove i carri armati turchi hanno bloccato i civili curdi in fuga e hanno aiutato a circondare la città dal confine turco, ma si sono limitati a salutare gli attaccanti dell’ISIS piuttosto che sparare su di loro. Questo atteggiamento era comunque logico, poiché l’ideologia dell’ISIS è compatibile con la visione e la filosofia dell’AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo) di Erdoğan.

L’AANES ha accumulato migliaia di documenti, registri finanziari, testimonianze e interviste che provano inconfutabilmente come l’ISIS fosse sotto la supervisione dell’intelligence turca e di Erdoğan. Questo fatto fondamentale è il segreto peggio tenuto al mondo, poiché qualsiasi ricerca di base sulla Turchia e l’ISIS mostra un’intricata rete di supporto e assistenza.

Come l’ISIS, Erdoğan vuole un regime islamico che serva i suoi interessi di potere. È interessante notare, tuttavia, che questo ha poco a che fare con il vero Islam e concerne piuttosto l’espansionismo turco attraverso l’utilizzo di mercenari salafiti. Erdoğan vede i cittadini del Medio Oriente come ex ottomani (perché sono stati sudditi dell’impero ottomano fino al 1923) e desidera ristabilirne la sottomissione. Secondo la visione del mondo di Erdoğan, l’Impero Ottomano (1453-1923) era l’originale “Stato Islamico”, il “Califfato”, che lui vorrebbe ricreare di nuovo.

In effetti, sia l’ISIS che Erdoğan aderiscono a un’ideologia salafita pesantemente influenzata dai Fratelli Musulmani. I legami politici di Erdoğan con i Fratelli Musulmani risalgono agli anni ’70, quando Erdoğan ha partecipato alle conferenze organizzate dall’Assemblea Mondiale della Gioventù Musulmana (WAMY), un’organizzazione wahhabita-salafita. Questa relazione “di vicinato” tra obiettivi simili è stata essenziale per il successo dell’ISIS, e continua fino ad oggi.

Se qualcuno vuole vedere il risultato di questa ideologia in tutta la sua evidenza, basta guardare Efrîn (Afrin) occupata dai turchi, che è stata trasformata da gemma del Rojava in un inferno di stupri, omicidi, saccheggi, furti, rapimenti, torture, raccolta di organi e schiavitù sessuale. Efrîn è la personificazione dell’alleanza tra l’ISIS e lo stato turco e un modello di ciò che la Turchia vorrebbe imporre su tutto il nord della Siria.

Attraverso Efrîn la Turchia dimostra che il suo vero obiettivo è la turchizzazione e che dovrà  semplicemente impiegare dei mercenari salafiti arabi o dell’Asia centrale perché questi realizzino, inconsapevolmente, il suo obiettivo. Questa ideologia neo-ottomana pan-turca di Erdoğan è una componente vitale del desiderio di Ankara di espandersi nella regione e di dominare tutto il Medio Oriente, l Mar Mediterraneo orientale, gli stati turchi dell’Asia centrale e persino l’Africa settentrionale. Si dà il caso che i curdi e il Kurdistan siano il primo ostacolo da superare per realizzare questo sogno.

In questa visione perversa, Erdoğan si propone come difensore internazionale e portavoce del mondo musulmano, nonostante il fatto che la maggior parte delle fosse comuni dell’ISIS siano piene di persone che credevano in versioni diverse dell’Islam. Tuttavia, egli spera di mascherare il suo nazionalismo turco con una coscienza finto-islamica, dove può impiegare mercenari impoveriti e disperati dal Medio Oriente devastato dalla guerra per destabilizzare l’intera regione e usare la Turchia per riempire i vuoti. Questo incubo contorto è già stato applicato al Kurdistan, alla Siria, all’Iraq, allo Yemen, alla Libia, alla Somalia, al Sudan, all’Afghanistan, all’Artsakh, alla Grecia, a Cipro e all’Egitto, e molte altre nazioni seguiranno. Quindi, è solo con una risposta unitaria che la comunità internazionale può resistere al terrorismo di stato turco.

Richieste

Il tentativo di evasione dell’ISIS da parte della Turchia dimostra che la cooperazione internazionale è necessaria ora più che mai. L’ONU e gli organismi giuridici internazionali dovrebbero fornire l’assistenza e il sostegno necessari per perseguire i membri dell’ISIS. Gli stati i cui cittadini sono membri dell’ISIS e le famiglie dovrebbero cercare il modo di riabilitarli dopo un giusto processo. Un tribunale internazionale dovrebbe anche essere istituito o un tribunale internazionale ufficialmente riconosciuto potrebbe essere istituito nel nord e nell’est della Siria per perseguire i colpevoli dell’ISIS. Ma per fare efficacemente questo, lo stato turco deve anche smettere di sostenere l’ISIS, in modo che possa essere completamente sconfitto.

A tal fine, la Turchia deve smettere di creare zone sicure per i terroristi dell’ISIS nella Siria occupata. Per ogni passo che l’SDF e la coalizione fanno verso la sconfitta dell’ISIS, Ankara è lì per causare un passo indietro verso l’abisso del terrore. Finché l’occupazione turca delle aree siriane non finirà, l’ISIS non potrà mai essere completamente sconfitto.

La Turchia come stato membro dell’ONU, del Consiglio d’Europa e della NATO dovrebbe essere costretta a rispettare il diritto internazionale e a ritirarsi dal territorio sovrano della Siria. Ankara non ha il diritto di sottomettere i curdi di Efrîn più di quanto ne abbia con gli arabi di Idlib.

Ma la giustizia richiede anche il risarcimento, quindi il regime di Erdoğan e lo stato turco devono essere ritenuti penalmente e finanziariamente responsabili per tutti i crimini di guerra che hanno commesso. Ogni goccia di sangue causata dall’ISIS è stata versata con l’aiuto della Turchia, che ne deve essere ritenuta responsabile.

La comunità internazionale può inoltre aiutare a raggiungere una pace duratura riconoscendo diplomaticamente le AANES e sostenendole contro qualsiasi futuro attacco turco. È disonesto acclamare le SDF per il loro eroismo nello sconfiggere l’ISIS, mentre si permette alla Turchia di attaccarle per aiutare l’ISIS a sfuggire alla propria fine.

Eliminare il PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan)

Infine, un passo cruciale verso la pace sarebbe che gli USA e l’UE cancellassero immediatamente il PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) dalla loro lista di “terroristi”. Questo perché la Turchia legittima i suoi crimini di guerra e le invasioni delle aree curde in tutto il Rojava e il Kurdistan meridionale (Iraq settentrionale) col pretesto della presenza dei guerriglieri del PKK. E poiché gli USA e l’UE hanno entrambi inserito in modo disonesto il PKK nella loro lista delle organizzazioni terroristiche allo scopo di poter vendere armi alla Turchia, questo permette a Erdoğan di affermare in modo menzognero che sta combattendo la sua “guerra al terrore”. Va notato però che il PKK non ha mai attaccato o ucciso un solo americano, e non ha alcun desiderio di recare danno all’UE.

Di fatto, negli ultimi 42 anni il PKK si è impegnato a combattere per l’autodeterminazione curda, ma esso è solo una reazione all’oppressione dello stato turco. Senza le migliaia di villaggi curdi bruciati, le migliaia di vittime curde assassinate dagli squadroni della morte e i milioni di cittadini curdi cui è stato negato il diritto di parlare la loro lingua madre e di vivere come curdi all’interno della Turchia, il PKK non esisterebbe. La guerriglia curda è una reazione al terrorismo di stato turco, non la sua causa.

La guerra della Turchia comunque non è veramente contro il PKK, ma contro tutti i curdi liberi ovunque vivano. La Turchia teme il PKK per lo stesso motivo per cui teme gli uomini e le donne dell’YPG[ii] e dell’YPJ[iii] o l’AANES, o le forze etniche miste dell’SDF: perché tutti questi gruppi sono organizzati e difensori della libertà e della democrazia, virtù che la Turchia non crede che i curdi meritino. Persino gli accademici e gli intellettuali turchi che parlano di questi valori si ritrovano sbattuti nelle prigioni di Erdoğan per decenni, dimostrando che si tratta di un tentativo etnico di genocidio culturale e non  di una battaglia ideologica.

Un rapporto del gruppo parlamentare All Party del Parlamento britannico sul Kurdistan in Siria e in Turchia del giugno 2021 mostra chiaramente che Erdoğan sta usando il PKK come pretesto per mantenere il suo potere autocratico. Inoltre, la sentenza del gennaio 2020 della Corte Suprema del Belgio afferma che la legislazione antiterrorismo dell’UE non può essere applicata al PKK, poiché esso è parte di un conflitto armato non internazionale, di una guerra civile dove è autorizzato l’uso della forza militare legittima.

Inoltre, i combattenti del PKK non solo hanno difeso gli Yazidi sul Monte Sinjar dal genocidio dell’ISIS nel 2014, ma hanno aiutato a vincere la battaglia di Kobanê contro l’ISIS, e hanno contribuito alla difesa delle città di Kirkuk e Mexmûr contro un’invasione dell’ISIS. Pertanto, è disonesto che il mondo occidentale faccia il tifo per la sconfitta dell’ISIS e anzi collabori, e poi tratti i suoi alleati contro l’ISIS (il PKK) come un’organizzazione terroristica. In questa battaglia per la sopravvivenza, o stai con l’ISIS o stai con quelli che lo combattono (come il PKK).

Il PKK ha dimostrato di essere una voce legittima del popolo curdo, un gruppo che fino ad oggi ha sacrificato 25.000 vittime militari nella battaglia contro l’ISIS in nome di tutta l’umanità. Tragicamente, questi martiri si uniscono ai 121 difensori della prigione di Sina’a che hanno recentemente perso la vita (molti di loro curdi, ma anche arabi e assiri). Ma il comune denominatore di tutte queste morti è l’intervento dello stato turco, alimentato da una paura patologica della felicità e della libertà curda.

In conclusione

Erdoğan sta sfruttando il silenzio di USA, ONU, NATO, UE e Consiglio d’Europa come un’opportunità per cercare vendetta contro i curdi per la sconfitta dell’ISIS e per espandere la sua visione neo-ottomana. Gli stessi yazidi di Şingal che l’ISIS non è riuscito ad annientare vengono ripetutamente bombardati dai jet turchi, poiché Ankara desidera portare a termine ciò che l’ISIS ha iniziato. E proprio come i leader dell’ISIS uccisi sul confine turco negli ultimi anni, Erdoğan non fermerà il suo regno di omicidio e occupazione finché non sarà costretto a fermarsi.

[i] AANES: Autonomous Administration of North and East Syria, comunemente nota come Rojava (NdT).

[ii] YPG: Unità di Protezione Popolare: è una milizia presente nelle regioni a maggioranza curda nel nord della Siria (NdT).

[iii] IPJ: Unità di Difesa delle Donne: è un’organizzazione militare fondata il 4 aprile 2013 come  brigata femminile della milizia di Unità di Protezione Popolare (YPG) (NdT).